Renzi scrive a Repubblica per attaccare Minniti e Gentiloni, sia sul caso migranti e sul caos Libia che sullo ius soli, legge che era pronti ma ‘qualcuno’ (leggasi: Gentiloni) non ha “avuto il coraggio” di portare a casa. Gentiloni scrive a Repubblica per dire che la colpa di tutto è “di Salvini”. Pure Minniti scrive, ovviamente a Repubblica, per rispondere duro agli attacchi di Renzi e rivendicare la sua, di linea. Zingaretti dà un’intervista al Foglio, ma nel giorno sbagliato, cioè lo stesso in cui Renzi scrive a Repubblica, per rivendicare la ‘linea Minniti’, che in teoria è pure la sua.
Il quotidiano Repubblica, ‘buca delle lettere’ dei dem…
Il quotidiano La Repubblica, insomma, quotidiano che ha scelta la linea ‘umanitaria’ sui migranti e sulle Ong , è diventata la ‘buca delle lettere’ del Pd. Ex leader e big la usano per ‘regolare conti’ che, in realtà, riguardano altro e che rispondono a tutt’altra domanda: chi comanda, oggi, nel Pd? La risposta, in teoria, è facile: Nicola Zingaretti, il segretario che ha vinto il congresso e le primarie con una messe di voti, comanda. La segreteria l’ha fatta lui, la maggioranza in Direzione e Assemblea le ha lui. Punto. Invece, non stanno del tutto così, le cose, nel Pd del 2019.
Pure i renziani di Base riformista si dividono sulla Libia
Prendiamo la tre giorni che “Base riformista” - la nuova corrente organizzata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini che è nata nel Pd e che conta su una settantina di parlamentari e il 20% circa dentro gli organismi dirigenti del Pd – ha tenuto a Montecatini Terme lo scorso fine settimana. Depositata la polvere dell’arringa difensiva che ha tenuto Lotti, coinvolto nello scandalo del Csm (ma, a onor del vero, non indagato), arringa seguita in diretta da tutti i suoi con il fiato sospeso (1500 le persone che sono transitate in quel di Montecatini), ma anche da un folto manipolo di giornalisti, la discussione, dentro Base riformista, si fa aperta e vivace anche perché, di giornalisti, in sala, tranne lo scrivente, per Tiscali.it, non ne è rimasto più nessuno. Al netto della solidarietà “a Luca” (Lotti), che contraddistingue, in premessa, gli interventi di tutti, e anche al netto della tiritera sulla “vocazione maggioritaria” che il Pd di Zingaretti avrebbe perso mentre quello guidato da Matteo Renzi ne aveva da vendere, gli ex renziani di ‘Br’ (sic), sull’intero scibile umano sono coesi come una falange macedone: dal Pd non usciamo, “Pd sì, ma non così”, Zingaretti non riapra le porte alla ex ‘Ditta’, 80 euro e Jobs Act non si toccano, le riforme costituzionali vanno fatte, e con tutti, mai con la Lega – ovvio – ma pure “mai con i 5Stelle”, scandisce Guerini dal palco domenica. Guerini, peraltro, offre pure una ‘notizia’, il che è singolare (da buon ex-diccì è abituato a ‘non’ darle…), e cioè che, se Zingaretti metterà davvero mano allo Statuto del Pd con l’obiettivo di separare la figura di segretario del partito da quella di candidato premier (figure che, oggi, coincidono), “noi, come area, chiederemo le primarie del centrosinistra per scegliere il candidato alle future politiche e avanzeremo un nostro nome”. Seguono, ovvio, applausi scroscianti.
Su tutto, sono coesi, gli ex renziani, ma tanto per cambiare, come oramai è chiaro, nel Pd, non sulla questione migranti. Delrio, che di ‘Br’ è un ‘fiancheggiatore’ (ri-sic), pur se non un aderente, sposa la linea sostanzialmente umanitaria (non a caso, è salito sulla Sea Watch 3 con Orfini, giorni fa) mentre Giacomelli chiede “risposte dall’Europa” e fa capire che non è troppo lontano da quella che, ormai, viene detta “linea Minniti”. E lo stesso Guerini spiega che “non basta dirsi contro Salvini” e chiede “nuove politiche migratorie”. Ma è a cena, e nel dopocena, che il dibattito s’infiamma. Pur se ‘in amicizia’, il deputato Piero De Luca, figlio del governatore campano Vincenzo, propende per la linea ‘dura’ (quella di Minniti, appunto) e ritiene “un errore” essere saliti, come hanno fatto diversi esponenti dem, sulla Sea Watch 3, perché “così la gente normale non ci capisce” mentre il deputato siciliano Carmelo Miceli, fine avvocato, gli contro-ribatte, con tanto di citazioni e pandette in mano, perché e percome “Salvini vìola tutte le leggi internazionali e il diritto internazionale. Il decreto Sicurezza bis è del tutto incostituzionale, questa è la verità, e noi dobbiamo dirlo”. La discussione, ovviamente, è tra amici di partito e corrente ma la dice lunga sulla ‘babele di lingue’ (e di opionioni) che agita, oggi, il Pd. Manco in una componente o corrente, per il resto ultra-compatta, la pensano allo stesso modo…
Qualcuno ha capito la linea del Pd sui migranti? No…
I fatti, del resto, dicono esattamente questo. E cioè che, pochi giorni prima lo scambio delle missive tra Renzi, Gentiloni e Minniti via Repubblica, il ‘nuovo’ Pd aveva preso una ‘non-linea’ sul tema dei migranti e della Libia, astenendosi dal voto parlamentare sulle missioni militari italiane all’estero nella parte in cui, appunto, si parla della Libia. La linea Minniti ‘salta’, pur essendo Minniti oggi uno sponsor di Zingaretti, e se Zingaretti avesse voluto imporla al gruppo dem, sarebbe, sì, passata, ma a costo di una spaccatura feroce all’interno del gruppo parlamentare e, anche, del partito. Infatti, un gruppo di Giovani Turchi, capeggiati da Matteo Orfini - ex presidente del Pd e che, da sempre, va detto – ha contestato la linea Minniti, e una pattuglia di renziani pasdaran e ortodossi – i quali, invece, si sono riscoperti ‘ribelli’ e di sinistra-sinistra, sul punto, solo adesso – avrebbero votato in modo difforme dalla linea ufficiale, fino al punto di votare la mozione di LeU-SI, cioè della sinistra-sinistra impersonata da Fratoianni e Palazzolo.
D’altro canto, sempre negli stessi giorni, quelli della scorsa settimana, diversi parlamentari dem (Orfini, Faraone, etc) capitanati dal capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, erano saliti sulla nave Sea Watch 3 della ‘capitana’ Racketa rendendo plastica e visibile tutt’altra linea: il Pd, agli occhi della gente ‘normale’ - quella che un voto parlamentare per “parti separate” o sulla differenza tra astenersi “dal voto” o “nel voto” non sa neppure, giustamente, cosa diamine sia – sta dalla parte di Carola Racketa e con le ong e non certo dalla parte della linea ‘dura’ sui migranti (quella di Salvini e, prima di lui, di Minniti). Insomma, per un cittadino qualsiasi, Delrio “è come” Fratoianni, segretario di Sinistra italiana e tra gli armatori della nave ong “Mediterranea”, e la posizione del Pd sull’immigrazione è ‘pro-migranti’ e ‘pro-Ong’, non certo ‘contro-migranti’ (e contro Ong) come dovrebbe essere se avesse davvero sposato la linea Minniti. Ci avete capito qualcosa? No? “Niente paura”, neppure noi.
Sintesi delle puntate precedenti. Le ‘lettere’ dei big dem
Si comincia, appunto, con la lettera di Renzi a Repubblica. L’ex premier fa mea culpa sul tema migranti, ma per attaccare sia Minniti (allora ministro dell’Interno) che Gentiloni (all’epoca ministro degli Esteri e poi premier) e snocciola, in dieci punti, le sue riflessioni sul fenomeno. Il concetto di fondo di Renzi è questo: “Troppa esasperazione sul tema degli sbarchi, poco coraggio sullo ius soli”. Il declino del Pd, partito di cui era segretario, per lui inizia “quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia come avevamo fatto sulle unioni civili”. Un attacco secco, neppure velato, alla linea di Minniti come Gentiloni, che subito accende lo scontro, dentro il Pd.
Per l’ex premier quella del Pd è stata una “geometrica dimostrazione d’impotenza: allarmismo sugli sbarchi, mancanza di coraggio sui valori. Il successo di Salvini inizia li”. La questione dei flussi migratori, nel Pd, “l’abbiamo sopravvalutata quando nel funesto 2017 abbiamo considerato qualche decina di barche che arrivava in un Paese di 60 milioni di abitanti, ‘una minaccia alla democrazia’. L’Italia non ha un’emergenza immigrazione - spiega - ma tre emergenze gravissime: denatalità, legalità, educazione”. Poi, l’affondo: “Non mi vergogno di ciò che ha fatto il mio governo. Non chiedo scusa per le vite salvate nel Mediterraneo. Non chiedo scusa per aver combattuto il protocollo di Dublino, firmato da Berlusconi e Lega. Non chiedo scusa per aver recuperato i cadaveri del naufragio del 2015. La civiltà è anche dare una sepoltura: ce lo insegnano Antigone e Priamo. I Salvini passano, i valori restano”. Eppure, paradossalmente, Renzi ammette che “la priorità è “aiutarli a casa loro” (cioè la linea Minniti…).
Dopo le parole di Renzi, parte la ‘guerra dei Roses’
Come nel film La guerra dei Roses, i piatti volano subito, tra moglie e marito: in teoria si parla di migranti, Libia e ius soli, in pratica si discute di chi ‘comanda’ davvero nel Pd. Le parole di Renzi suscitano subito vespai di polemiche da parte di chi, come Carlo Calenda, non va già l’attacco al governo Gentiloni: “A prescindere dal fatto che quegli atti sono tutti stati votati dal Pd di cui eri segretario l’emergenza c’era eccome. Non facciamoci del male”. Invito, ovviamente, non accolto da parte di nessuno, nel Pd.
Gli orfiniani, intanto, però, se la godono, perché, appunto, nel voto sulle mozioni parlamentari, il Pd – per evitare di spaccarsi – adotta il ‘lodo Franceschini’ (meglio non votare nulla che dover rendere plastica la vita da ‘separati in casa’). Ma dato che il ‘non voto’ è, nei fatti, una sconfessione della linea Minniti, che voleva che il Pd votasse a favore, rivendicano “la scelta di non partecipare al voto” come una vittoria. “Ora bisogna convocare al più presto una Direzione del partito ad hoc sulla Libia, tema tabù al nostro interno”, dice Giuditta Pini, orfiniana doc. Di rincalzo ecco Matteo Orfini: “Io penso quello che pensavo nel 2017, cioè che quelle parole furono sbagliate. Lo dicemmo in pochissimi: io, l’allora ministro Orlando e pochi altri. Oggi sono felice che questa riflessione sia condivisa anche da chi allora non lo disse”. “La linea Minniti”, continua, “raccontava una visione sbagliata che non può essere quella di un grande partito di centrosinistra. Con quella linea e scelte politiche ci siamo spostati sulla lettura del fenomeno di Salvini e della destra, accettando l’idea che esisteva un nesso tra immigrazione e sicurezza, ma l’idea che l’immigrazione metta a rischio la democrazia è sbagliata”. Il presidente dei senatori del Pd, Andrea Marcucci, renzianissimo, ci mette il carico da dodici: “Il governo Gentiloni non ebbe il coraggio di affiancare alla strategia di Minniti, un provvedimento giusto, lo ius soli”.
Zingaretti replica: “Più che una critica è un’autocritica”
“E’ sbagliato vivere nel passato quasi in un eterno regolamento dei conti che ci isola dalla società, che invece a noi chiede, un progetto, una visione, politiche per il lavoro, lo sviluppo” replica, amaro, Nicola Zingaretti. “Renzi era il segretario – aggiunge - e rieletto con grande consenso dalle primarie Pd. Faccio fatica a credere che questi temi gli siano sfuggiti di mano, quindi interpreto le sue parole anche come una severa autocritica”. Infine, l’accorato appello: “Tutti i dirigenti Pd intervengano per costruire e pensare il futuro non per logorare il presente”. Parole che, essendo il Pd Pd, lasciano il tempo che trovano.
Gentiloni si difende come può e, insieme, attacca
Tocca, a questo punto, a Gentiloni scrivere a Repubblica. L’ex premier prende carta e penna e risponde a Matteo Renzi sul tema migranti e pure ius soli. Gentiloni non mette sotto processo il Pd, come ha fatto Renzi solo il giorno prima, ma dice: “Io accuso Salvini per il danno che sta facendo alla funzione stessa del ministro dell’Interno” e anche perché “sta cancellando l’immagine di un’Italia che sull’immigrazione aveva ‘salvato l’onore dell’Europa’”.
Ma Gentiloni rivendica anche la linea Minniti “che aveva raggiunto risultati importanti”. Quanto alle accuse di Renzi, Gentiloni si limita a dire che “so bene che anche i nostri governi avrebbero potuto fare di più e di meglio sul terreno dell’integrazione anche con scelte positive come la legge sullo ius soli. Io purtroppo non sono riuscito a farla approvare, al Senato. Per mancanza di numeri, non certo di coraggio o di volontà. Coraggio o volontà che semmai ci mancarono tra il 2015 e il 2016 ,quando i numeri c’erano eccome, ma governo e Pd decisero di non procedere. I crolli di consensi al Pd nel voto del 2018 non dipendono certo dalle politiche migratorie di Minniti. Al contrario, garantire sicurezza e protezione è compito irrinunciabile di un governo progressista”. Insomma, Gentiloni, seppure con il suo stile (sobrio) attacca Renzi e ne rintuzza le critiche.
Tocca a Minniti: uppercut a Renzi e nuova polemica
Minniti, calabrese e fumatino, oltre che ex dalemiano, non mostra l’understatement di Gentiloni, romano e ‘papalino’, e risponde a Renzi per le rime: “Mi chiedo come mai Renzi, che mi ha voluto accanto, addirittura pregandomi di ricandidarmi alle politiche del 2018 mentre avevo deciso il ritiro, ora mi attacchi. Proprio chi si è voluto mostrare con me in tv alla fine della campagna elettorale a In mezz’ora di Lucia Annunziata indicandomi uomo simbolo della coalizione, ora addita me come emblema di una linea sbagliata sugli immigrati”. Uno sfogo pesante. Minniti è durissimo nei confronti di Renzi e riconduce l’astio dell’ex premier alla mancata candidatura alle ultime primarie dopo l’investitura del mondo renziano. “Ho fatto una scelta in autonomia e ho deciso di non candidarmi dopo aver valutato quale aspetto politico prendeva la mia candidatura”, argomenta su Repubblica. E poi: “Di tale scelta non sono contento, ma contentissimo”. Quindi, la rivendicazione: “Merito rispetto, se non altro per essere stato l’uomo della sinistra che negli ultimi vent’anni ha ricoperto più a lungo incarichi di governo”. Insomma, un uppercut a Renzi in pieno volto. Abbiamo finito qui? No…
Renzi si riprende la parola: “siete diseducativi”….
Matteo Renzi, non pago, decide di contro-rispondere, ma si vede che a Repubblica non ne possono più di pubblicare lettere di big ed ex leader dem ogni giorno che Dio manda sulla Terra, e allora si sfoga dalla sua pagina Facebook: “Chi fa polemica su quella lettera (quella a Repubblica, la prima, la sua, ndr.) dovrebbe spiegare quali alternative offre: per me la priorità è culturale ed educativa”, scrive. “I proclami di Salvini – dice - durano in media poco più di una mezzoretta, ma alla fine sbarcano tutti da noi, tutti. La verità è che l’immigrazione serve a Salvini solo per dettare l’agenda, non per risolvere la questione. Occorre una battaglia culturale, lottare contro la propaganda, investire in educazione, scommettere sulla globalizzazione contro il sovranismo”. Già, peccato che l’ex premier aveva sempre difeso le politiche di Minniti, sui migranti, ringraziando ed elogiando più e più volte l’uomo cui aveva lasciato la delega ai Servizi segreti, datagli da Enrico Letta e che poi ha elevato a ministro dell’Interno. Senza contare la ventina di pagine del suo penultimo libro, La strada, in cui, con linguaggio più tipico di un altro Matteo (Salvini), sosteneva la necessità di “aiutarli a casa loro” e in cui diceva “basta buonismo” e “basta terzomondismo” perché, appunto, “non possiamo accoglierli tutti” (i migranti). Come finirà, lo scontro nel Pd, sul caso Libia e migranti? Non è dato saperlo, ma viene facile una vecchia citazione: “dum Romae consulitur, Saguntum est expugnatur”. Mentre a Roma, cioè nel Pd, l’Italia viene espugnata. Da Salvini.
di Ettore Maria Colombo
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