All'indomani dell'approvazione del Def, la cui bozza ha lasciato Palazzo Chigi dopo una sofferta riunione in sede di Consiglio, si infittisce il giallo sulla flat tax, il provvedimento sorretto con ambe due le braccia dalla Lega, quello che dovrebbe dar vita alla rivoluzione fiscale predicata da Matteo Salvini in estate. Nella bozza del Documento, infatti, non v'è traccia di riferimenti alle aliquote (15% e 20%) che sono la base fondamentale del provvedimento, ma soltanto un accenno nel comunicato emanato nella conferenza stampa di Palazzo Chigi, dove si menziona l'obiettivo flat tax (per il 2020) «come componente importante di un modello di crescita più bilanciato».
I retroscena alle spalle sono variegati, ma più o meno tutti concordano sulla realtà nuda dei numeri che ha avuto la meglio sull'interesse politico: in quello 0,2% di stima di crescita per il 2019, contro l'1% dichiarato a più non posso dai vicepremier soltanto qualche mese fa, si nascondono le insidie di una campagna economica che fino ad ora non sta rispettando la tabella di marcia che il governo si auspicava in autunno. Le frizioni con il titolare del Mef Giovanni Tria, presunte o meno, sono ombre che si propagano e, qualcuno vocifera, dagli incoraggiamenti a mostrare «più coraggio» da parte di Salvini si sarebbe passati allo scontro faccia a faccia. Il Ministro romano non ha mai negato, già dopo le prime avvisaglie dell'Fmi, di Bruxelles e di Confindustria, che le stime di crescita sarebbero state riviste a ribasso, così come non ha mai celato le sue perplessità riguardo l'effettiva possibilità di mettere in pratica la flat tax senza un conseguente aumento dell'Iva, un tabù dei più intoccabili nella maggioranza gialloverde, uno dei pochi punti in cui la convergenza tra le due forze è totale.
Se Salvini e Di Maio dovessero cedere su questo punto, la strategia messa in piedi – quando ci si faceva belli dietro a previsioni ottimistiche quanto surreali – si rivelerebbe un fiasco totale e qualcuno dovrebbe renderne conto. D'altro canto, per Salvini la flat tax "s'ha da fare, costi quel che costi", pure se i soldi non ci sono. E, nonostante si dica «soddisfatto», rimandando al mittente tutte le ipotesi di attrito con il primo inquilino di via XX Settembre, il suo attacco all'Europa, l'asso di cuori quando le pareti iniziano a stringersi tutt'attorno, sembra una dichiarazione di impotenza e un rimando al post Europee, quando si potranno, a suo dire, «rivedere le regole». La «gabbia» a cui allude il Ministro degli Interni, riferendosi all'Ue, è la stessa in cui sembra incappato il governo gialloverde, che dove si gira trova muri e ostacoli (detti "realtà") che ne impediscono l'attuazione dell'ambizioso Contratto da cui tutto è partito.
Se Di Maio auspica la realizzazione della flat tax «per il ceto medio» ergendosi addirittura a garante, giocando a fare il Salvini ripagandolo con la sua stessa moneta, il capo politico grillino resta fermo sull'ipotesi di attivazione dell'aumento dell'Iva, che considera «una follia». Da ambienti leghisti filtra invece ottimismo affinché si riesca a reperire le risorse e poter attuare la tassa piatta già dal prossimo anno nella sua forma completa.
Per ora tutto rimandato a settembre, quando si saprà di più sul futuro del governo e sulle reali possibilità di attuazione di una sforbiciata dell'Irpef. Per ora tiene la linea Tria, rapporti con i pentaleghisti permettendo.
di Alessandro Leproux
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