Solo due giorni fa, dopo la netta vittoria del candidato della destra brasiliana Jair Bolsonaro alle elezioni politiche, era giunta via social la promessa, veicolata direttamente dal figlio del neo premier, che il terrorista pluricondannato e da anni al centro di un caso diplomatico tra l'Italia e terra Carioca, Cesare Battisti, sarebbe stato estradato e riconsegnato alle autorità italiane per scontare i due ergastoli comminatigli nel 1988. Nel post sopracitato, Bolsonaro jr. rispondeva agli auguri inviati dal vicepremier italiano Matteo Salvini promettendo «un regalo» in arrivo per l'Italia. Nonostante gli entusiasmi professati, lungo la tortuosa strada che porterebbe l'ex Pac di nuovo in patria per saldare finalmente il suo conto con la giustizia, sembrano sorgere ostacoli, sia di carattere giuridico che sostanziale.
Il secondo, il più ovvio, consiste nelle difficoltà materiali di riportare Battisti in Italia contro la sua volontà ed è intrinsecamente connesso con il primo. Venuto a conoscenza delle intenzioni di Bolsonaro, di cui avrebbe seguito la campagna che l'ha portato alla vittoria in compagnia del suo storico gruppo di amici a Cananeia, città dove risiede, Battisti avrebbe fatto perdere le sue tracce poco dopo la notte dello spoglio elettorale, riaccendendo la luce, a livello mediatico, sul suo caso per qualche ora. A rompere il silenzio è intervenuto infatti il suo legale Igor Tamasauskas, che avrebbe rigettato la tesi secondo cui Battisti si sarebbe nuovamente dato alla fuga e alla latitanza, affermando che il suo assistito avrebbe semplicemente raggiunto il team legale che lo segue a San Paolo. «Mi ha detto che avrebbe fatto visita ad alcuni amici e poi sarebbe tornato, senza darmi una data precisa». Queste le parole dell'avvocato del terrorista rosso riportate dall'Ansa, servite a placare l'agitazione anche se non in grado di sedarla completamente. Proseguendo nelle sue dichiarazioni, Tamasauskas ha voluto chiarire un altro aspetto, quello cardine, circa la posizione di Cesare Battisti nei confronti delle parole spese dal neo premier brasiliano in merito alla possibilità che la sua estradizione abbia effettivamente luogo: «Non ha bisogno di pronunciarsi in nessun modo» giacché gode «di una decisione del Supremo Tribunale Federale (Stf) che garantisce la sua permanenza in Brasile». Tutto giusto, almeno sulla carta. Infatti la più alta Corte brasiliana ha sancito, dopo l'intervento dell'ex Presidente Lula, poco prima della scadenza del suo mandato, che l'estradizione per Battisti, richiesta più volte dall'Italia non fosse concessa e gli ha inoltre rilasciato un visto permanente che gli consente di muoversi liberamente per il Paese. In base a questa misura giudiziaria assolutamente vincolante, il neo Presidente non avrebbe infatti il potere costituzionale per sovvertire una precedente delibera del Supremo Tribunale Federale, per giunta avvalorata dall'intervento di un ex Capo di Stato e l'unica possibilità in tal senso potrebbe giungere da una revisione dello stesso Tribunale del provvedimento precedentemente emesso.
Arrestato in Brasile per il suo ingresso irregolare, che gli è costato un periodo di due anni di detenzione e conseguente obbligo di firma e reperibilità, Cesare Battisti è ad oggi libero di circolare per il Paese senza alcuna restrizione e il rischio concreto di non rivederlo, almeno in breve tempo, in Italia resta molto alto. Dovrà perciò rivedere i suoi piani di viaggio il capo del Viminale Matteo Salvini, quando annunciava di non vedere «l'ora di incontrare il neo-presidente» e di recarsi «personalmente in Brasile anche per andare a prendere il terrorista rosso Cesare Battisti e portarlo nelle patrie galere». Almeno per ora, questo secondo proposito dovrà attendere.
di Alessandro Leproux
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