Chi, cosa, dove.
Le Giornate professionali di Sorrento sono senza dubbio la manifestazione più completa e pratica per valutare lo stato di salute dell’industria cinematografica.
Consistono nella presentazione da parte dei distributori/produttori del loro listino, dei loro film, agli esercenti, che intervengono in massa per cercare di intuire le potenzialità dei prodotti tramite la visione dei trailer.
Stando in sala, insieme agli esercenti, si colgono gradimenti e delusioni e si può prevedere, con un minimo di esperienza, il destino dell’uscita nelle sale dei lungometraggi.
Il disastro del cinema italiano è sotto gli occhi di tutti: non si è salvato un film, salvo quello di Sorrentino di cui però sono stati celati, malignamente, i risultati da parte di Neflix.
Ma anche questo film, osannato automaticamente, non è riuscito del tutto, è un insieme di quadri non sempre indovinati ed alla fine, pur ispirato ad un fatto commovente e col solito nudo integrale, non convince.
Se Sorrentino si salva, tutti gli altri film, nati da una legge sbagliata e da strutture verticistiche e burocratiche, dimostrano come si possa demolire un’industria storica e addossare alla comunità costi e favori, con la totale complicità di giornali e politici.
Chiunque sia stato a Sorrento, alla presentazione dei listini, può testimoniare che la parola chiave sia stata “emozione”.
Sono tutti emozionati, i produttori e distributori per le performance, le loro squadre che hanno faticato enormemente, gli attori, che hanno dato vita a capolavori, e nessuno si meraviglia se il listino Rai è composto al 50% da prodotti della Leone Film o se quello che viene mostrato è costato il doppio del dovuto, grazie al potere del tax credit di aumentare i costi. La parola “ricavi” è cancellata dal vocabolario cinematografico per dar posto a “contributi”, “sostegni” ed ovviamente “emozione”.
E’ emozionato Siani, che illustra uno pseudo cinepanettone senza battute e con un Cristian De Sica natalizzato, è “emozionante” presentare il trailer rudimentale, ed anticipatore della modestia del prodotto, di Diabolik, realizzato da un ex dirigente di Rai Cinema, è fin troppo emozionante descrivere il capolavoro di Mainetti, che in un anno, da regista di Jeeg Robot, si è trasformato in Fellini spendendo come il maestro; è un po' meno emozionante parlare di Castellitto, che fa l’intellettuale fascinoso, senza esserlo e ormai senza pubblico.
Un disastro italiano, stretto tra un Ministero discrezionale ed interventista di stampo nastasiano e Rai Cinema che è diventata un potentissimo tycoon, proseguendo nella politica inaugurata da Giancarlo Leone con la Like Shore.
In questa morsa si alternano le mitiche piattaforme, quelle che ci sono ma non per tutti, che determinano ma non si sa come, che esistono su piazza ma non si sa in quale piazza, che usano nomi italiani come la Andreatta ma non si sa per fare cosa, il tutto sotto lo sguardo vigile, inflessibile e complice dell’Anica di Rutelli.
Un vero disastro, nel quale sguazzano commissioni delegittimate, strutture destrutturate come Luce-Cinecittà, veicolo di ritardi e burocrazia; in definitiva un mondo del cinema popolato da personaggi che conoscono poco la materia, amanti, fidanzate, fiduciarie che non sanno cosa fare, il tutto senza controllo, senza critica, senza risultati. Ma la Cultura attuale non si può toccare, almeno fino alla nomina del nuovo Presidente della Repubblica.
Di Michele Lo Foco.
Comentarios