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Natale! Coraggio e auguri


di Michele Lo Foco

Dato ormai per acquisito che la gestione Franceschini / Nastasi è stata mortale per il cinema nazionale e che resuscitare il nostro prodotto è di grande difficoltà, anche a causa dei colossi americani, il problema è oggi quello di rintracciare un criterio di valutazione dei prodotti minimamente oggettivo che consenta quel tanto di chiarezza che di solito si accompagna con l’onestà.

Capisco che la confusione dei dati e degli apporti costituisce oggi la nebbia che serve ad alcuni per trafficare discrezionalmente, ma prima che si verifichi il solito scandalo nazionale, mi sembra opportuno mettere di nuovo in fila gli elementi base per capire che genere di prodotto abbiamo di fronte.

Una volta esistevano un produttore, un distributore, le agenzie regionali e gli esercenti.

Il produttore creava un proprio programma produttivo e sottoponeva ogni singolo film ad un distributore nazionale e ad uno estero, cercando di ottenere approvazione e minimi garantiti.

Il distributore valutava, e dopo un serrato confronto, per esempio sugli attori, sul genere, sul costo, decideva di acquisire il film che insieme ad altri costituivano il suo listino nazionale.

Il listino veniva esposto agli agenti con un costo complessivo, che doveva essere ripartito tra le componenti regionali (che erano espresse con città) secondo le percentuali di importanza e di ricavi della zona.

Il distributore pertanto raccoglieva dai suoi agenti (alcuni dei quali esclusivi, altri in comunione con diversi distributori) i minimi garantiti per il suo listino che erano costituiti mediamente da cambiali scadenti singolarmente oltre i sei mesi.

Queste cambiali venivano “girate” dal distributore al singolo produttore in relazione alla importanza del film, e quest’ultimo le concedeva in pegno alla BNL SACC a fronte di una operazione di finanziamento.

Questo schematicamente il sistema prima dell’uscita del film, che giustificava la frase ricorrente “che il cinema si fa prima e non dopo”.

Il film veniva consegnato al distributore che provvedeva al lancio del prodotto, tramite manifesti, parapedonali, pubblicità varia, dopodichè l’esercente riceveva la copia, la pizza del film, e lo presentava al pubblico.

Con gli incassi agli esercenti, gli agenti, i distributori pagavano le cambiali, e la banca rientrava della sua esposizione.

Ovviamente non andava sempre tutto bene, anche allora c’erano i flop, le attese disilluse, le sorprese, i successi, le cambiali protestate, la materia anche allora era aleatoria, ma un minimo di previsione era possibile.

Se il film andava bene al cinema diventava un boccone prelibato per la televisione che lo pagava in proporzione e tutti i ricavi servivano prima per il recupero delle spese, poi per remunerare il lavoro, poi per far guadagnare il produttore.

Questo lungo discorso per arrivare ad oggi: grazie alle leggi degli ultimi anni questa catena di cointeressenze è stata sostituita dallo Stato, dalla televisione e da altre forme di sovvenzione pubblica.

Oggi nessuno sa quanto è la spesa per il lanciamento di un film, e non si conoscono i risultati di gradimento del pubblico sulle piattaforme, che li nascondono scientificamente.

Pertanto la valutazione di un prodotto è fatta quasi sempre da un burocrate messo a capo di una struttura o pubblica o straniera, che fa e disfa come ritiene meglio, sapendo che il risultato finale non sarà contestato da nessuno.

Un brutto film andrà male al cinema, ma sarà poi visto dal divano di casa sulle piattaforme, o su Sky, o sulle reti generalistiche e che sia costato troppo non sarà un problema, e soprattutto nessuno ne risentirà perché tutti avranno già guadagnato il necessario, salvo lo Stato che avrà perso per tutti.

Così si è annullata non solo la condivisione del rischio, ma anche la coscienza del valore dei registi, degli attori, e del film finito, perché tutto passa e nulla rimane, solo il debito dello Stato, sempre più ingente e preoccupante.

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