Dalle Acli al Psi. Chi è ancora socialista (e chi non lo è, ma è persona libera) deve moltissimo a personalità come Covatta e Acquaviva. La rivista Mondoperaio, la pubblicazione dei volumi sugli anni di Craxi. Grazie a loro la storia, questa volta, non è solo quella dei vincitori
È morto a 77 anni Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio. Una vita vissuta da quando era ragazzino con una sola passione: la politica. Una volta era così, c'erano dei ragazzi che pensavano che la politica fosse la migliore attività possibile...
"Ho conosciuto Luigi Covatta non ieri, ma proprio l’altro ieri, cioè tanti anni fa nel vivo degli anni Sessanta. Luigi Covatta. Quando andava all’Università, era stato presidente dell’Intesa (l’organizzazione che rappresentava la Dc nel parlamentino studentesco) ed era poi approdato nelle Acli e con Acquaviva, Gabaglio ed altri costituiva il nucleo di giovani cattolici raccolti intorno al presidente Livio Labor che ad un certo punto - partendo dall’esplosione del ‘68 studentesco, e poi del ‘69 operaio - mise radicalmente in discussione la tradizionale collocazione delle Acli all’interno della Dc. Per una via autonoma arrivò alla stessa convinzione anche Pierre Carniti, allora segretario dei metalmeccanici della Cisl. Di qui scontri al ca[1]lor bianco fra Labor e Donat-Cattin erede di Giulio Pastore alla guida della corrente di Forze Nuove nella Dc. Le cose non si fermavano qui. Le Acli e molte categorie dell’industria della Cisl sostenevano il progetto della unità sindacale tra la Cisl, la Uil e la Cgil che evidentemente poteva avvenire solo attraverso la piena autonomia dei sindacati dai partiti: di qui la scelta della incompatibilità tra le cariche sindacali e quelle parlamentari e politiche. Come si vede, c’era un crogiolo di elaborazioni culturali, di eresie politiche, nel vivo di uno scontro tra innovatori e conservatori che attraversava tutti i sindacati, in parte i partiti della sinistra, e investiva anche la Dc. Ebbene, Luigi Covatta fu una delle punte di diamante di questa “sfida al cielo”. A quel punto si stabilì anche un filo rosso tra minoranze collocate in diverse posizioni politico-partitiche. Di qui una convergenza tra questo nucleo di dirigenti aclisti, Pierre Carniti e la sinistra lombardiana (Riccardo Lombardi, Fernando Santi, Tristano Codignola, e i giovani Claudio Signorile, Gianni De Michelis e il sottoscritto). Fu fondata anche una associazione, l’Acpol, aperta al confronto anche con personalità come Vittorio Foa e come Bruno Trentin, che puntava ad un’affascinante ma anche velleitaria “ristrutturazione della sinistra”. Ad un ceto punto Labor, Covatta, Acquaviva, Gabaglio e lo stesso Pierre Carniti maturarono la convinzione che era così intensa la presenza cattolica nel ‘68 studentesco e nel ‘69 operaio che si poteva puntare ad una rottura della unità politica dei cattolici nella Dc per la crisi dell’interclassismo. Si trattò di una ipotesi generosa ma sbagliata. La Dc “tenne” anche perché una parte di essa non si scontrò frontalmente con i movimenti, ma giocò a riassorbirli: di qui le riflessioni culturali di Aldo Moro sui giovani nel ‘68 e il ruolo di Donat-Cattin come ministro del lavoro impegnato nella conclusione positiva del contratto dei metalmeccanici. Così l’MPL di Labor, Covatta e Acquaviva si presentò alle elezioni, ma fece un buco nell’acqua. Si erano create però tutte le condizioni per l’ingresso di questa pattuglia aclista nel Psi che li accolse con grande apertura tant’è che divennero abbastanza facilmente dirigenti di prima linea e anche parlamentari. Cosi quando Craxi andò al governo, Gennaro Acquaviva fu, con Giuliano Amato, uno dei suoi bracci operativi. Per usare il suo linguaggio, Acquaviva teneva i rapporti “con i preti”, tant’è che svolse un ruolo fondamentale per la firma del secondo Concordato con il Vaticano (insomma il “concordato democratico” dopo quello del ’29). Invece Covatta rimase nel partito dove ha sempre svolto un ruolo di raccordo con gli intellettuali socialisti, riuscendo nella difficilissima, quasi impossibile impresa di mantenere sempre un rapporto positivo con un rassemblement di intelligenze eretiche, quasi anarchiche, che rifiutavano ogni gerarchia e disciplina innanzitutto nei confronti delle massime gerarchie del partito. Insomma esattamente il contrario di come si comportavano gli “intellettuali organici” del Pci. Paradossalmente fu proprio dagli intellettuali socialisti che derivarono le iniziative più forti utilizzate intelligentemente da Craxi di contestazione delle intoccabili icone del partito comunista, da Gramsci e specialmente a Togliatti, cosa che la Dc non si era mai sognata di fare. Non a caso, proprio contro gli intellettuali socialisti, Tonino Tatò (portavoce e consigliere molto ascoltato di Berlinguer) in una delle sue lettere a Berlinguer sbavò il suo odio e il suo disprezzo. Ma da quel crogiolo di intelligenze Covatta riuscì sempre a estrarre un nucleo positivo di idee e di proposte che non a caso fu alla base di un rinnovato riformismo socialista e che trovò poi la sua grande occasione nel convegno di Rimini del Psi svoltosi nel 1982. Veniamo ai tempi nostri. Chi è ancora socialista (ma anche chi non lo è ed è un uomo libero) deve moltissimo a Luigi Covatta e con lui a Gennaro Acquaviva. C’è un incredibile squilibrio tra la forza politica organizzata del socialismo italiano - dopo l’operazione eversiva andata sotto il nome di “Mani Pulite” - che è ridotta ai minimi termini, e la cultura socialista che invece rimane in campo sia per la forza dei suoi contributi sia per la personalità di una serie di personaggi, sia per il lavoro operoso di alcune fondazioni prime tra tutte la Fondazione Socialista. Ciò detto, Luigi Covatta e Gennaro Acquaviva hanno un merito fondamentale: malgrado tutto, malgrado che la totalità dei mezzi di comunicazione di massa è in mano ai reazionari, a quell’intreccio di spectre e di stasi costituita da Travaglio, dal Fatto, con grillini al seguito e al guinzaglio, ai post Comunisti il cui tratto essenziale è quello della ipocrisia (un bel pezzo di esso sono dei giustizialisti- garantisti nel senso che sono garantisti per gli amici e per i compagni di merenda e rigorosi giustizialisti per gli avversari), tuttavia la storia questa volta non è solo quella dei vincitori. Come è stato ricordato anche sul Corriere della Sera e su Repubblica Luigi Covatta è riuscito a mantenere la vitalità di una rivista storica quale Mondoperaio. Luigi Covatta e Gennaro Acquaviva hanno costruito l’organizzazione culturale che ha consentito la pubblicazione dei dieci volumi sugli anni di Craxi, scritti da alcuni dei migliori storici italiani che costituiscono un fondamento culturale e storiografico da cui nessuno può prescindere. Luigi Covatta ha dedicato a questo lavoro la parte finale della sua vita con una dedizione assoluta: ma la dedizione non basta per una operazione così difficile se non è accompagnata dall’intelligenza e da un lavoro culturale svolto in profondità. Una ultima annotazione di carattere personale: Luigi è stata la persona più scontrosa e introversa che ho conosciuto. Qualche volta l’ho visto sorridere, quasi mai ridere. Però tutta la sua conversazione era sempre sul filo dell’ironia e dell’autoironia. Non ho pudore a confessare che quando l’altra mattina molto presto Biagio Marzo mi ha telefonato per darmi la notizia della sua morte, appena attaccato il telefono non sono riuscito a frenare la mia commozione che veniva dal profondo del cuore e del cervello. Non solo con Luigi ho condiviso tante discussioni e tante battaglie (straordinaria e degna da sola di un libretto di memorie quella che ci accomunò fra la fine del 1979 e i primi mesi dell’80, quando facemmo di tutto per mettere in minoranza Craxi nel comitato centrale del PSI), ma devo dire che egli è stato una delle persone più lineari, più oneste intellettualmente, più curiose sul piano culturale, più cristalline che ho conosciuto. Poi l’ironia di marca ischitana ammorbidiva il suo rigore e lo rendeva anche molto gradevole quando con lui si parlava di tutto a trecentosessanta gradi, ovviamente di tutto quello che riguardava la politica e la cultura."
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