Cirino Pomicino, le magagne della giustizia sono sotto gli occhi di tutti, specie dopo le rivelazioni dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara nel libro intervista di Alessandro Sallusti “Il Sistema”. Quale è la sua opinione ed eventualmente la sua preoccupazione?
Parlare della crisi della giustizia è necessario ed è altrettanto necessario porvi rimedio. La crisi vera della giustizia non sta tanto, badi bene, nella magistratura giudicante, ma esclusivamente nell’esercizio delle attività delle Procure. Le iniziative delle Procure sono oggi tutte irresponsabili, nel senso che nessun Procuratore risponde a chicchessia per quello che fa. I dati statistici ci dicono che il quaranta per cento circa dei processi si conclude con l’assoluzione degli imputatati. E’ la prova lampante che il problema risiede nella magistratura inquirente e non in quella giudicante. Anzi, i dati dimostrano che la magistratura giudicante è di fatto una garanzia dello Stato di diritto. Pe risolvere la crisi della giustizia bisogna quindi, innanzi tutto, metter mano al processo penale, alla sua procedura e alla sua evoluzione. E bisogna pensare anche a un risvolto disciplinare o sulle funzioni. Chi svariate volte manda a processo persone che poi risultano innocenti, probabilmente ha qualche problema nella sua attività inquirente. I pubblici ministeri devono rendere conto a qualcuno del proprio operato.
La riforma Cartabia non mi pare affronti questi aspetti che lei considera centrali…
La riforma Cartabia è una parte della riforma della giustizia. E’ prevalentemente la riforma della prescrizione. Per tutto il resto c’è bisogno di metter mano sia sul piano penale, sia su quello civile.
Per queste mani da mettere ancora a 360 gradi sulla giustizia malata, può tornare utile la decisione di Palamara di candidarsi alle elezioni suppletive per la Camera dei Deputati nel collegio di Roma Primavalle?
La candidatura di Palamara è, innanzi, tutto l’esercizio di un diritto che la Costituzione consente a tutti, con l’unica eccezione della preesistenza di una sentenza passata in giudicato che abbia sancito il divieto di ricoprire incarichi pubblici. Palamara ha, quindi, tutto il diritto di candidarsi, ma non è solo questo. Palamara potrebbe anche dare una mano, se fosse eletto, sul piano legislativo, dopo le vicende da lui riferite, su cui si possono esprimere giudizi uguali o contrari, a seconda delle proprie tifoserie, ma che descrivono, in ogni caso, uno spaccato della crisi della giustizia. Tenendo presente che l’attività di autogoverno del Consiglio Superiore della Magistratura consente l’intreccio di rapporti fra magistrati e il Csm. Se un magistrato rappresenta al Csm le sue aspirazioni e ambizioni, non siamo di per sé di fronte a qualcosa di illecito. I problemi sorgono se la scelta viene effettuata sulla base non di criteri oggettivi, ma di camerille. Quindi nulla quaestio se i magistrati vogliono parlare con i membri laici e togati del Csm. Tutti possono proporsi all’organo di autogoverno, ma i criteri della scelta devono basarsi solo sui titoli e sui meriti acquisiti. Fine della trasmissione. Non è problema tanto di leggi, quanto di etica e di cultura. Virtù e sensibilità che il Csm ha da molto tempo smarrito.
Ben venga dunque la candidatura di Palamara…
Certo. Io credo che sia utile. In un Parlamento, sempre più sbiadito, la presenza di Palamara può essere utile, se non altro che per la conoscenza che ha di tutto il comparto della giustizia italiana.
Se risiedesse nel collegio di Roma Primavalle lo voterebbe?
Risiedo altrove e non mi sono, quindi, posto il problema, ma sicuramente non avrei nessun pregiudizio.
di Antonello Sette
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