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Coletta e il successo di Sanremo manda la De Santis su tutte le furie: ora vuole fare causa alla Rai


Immaginate la scena: Teresa De Santis, defenestrata dalla Rai alla vigilia della conferenza stampa del Festival di Sanremo, la sera di martedì guarda la prima puntata della kermesse musicale dal salone di casa sua. Vede avvicendarsi sul palco dell’Ariston Amadeus, gli sketch di Fiorello, le performance di Tiziano Ferro e con nostalgia pensa all’anno precedente, quando da direttore di RaiUno dava ordini e trafficava in platea con fogli di servizio. “Questo è il mio Festival, l’ho fatto io”, continua a rimuginare nella mente e man mano sale la rabbia, che diventa furia quando Teresina vede i dati degli ascolti, che attestano che questa 70esima edizione è la migliore degli ultimi vent’anni. Lei che di ascolti ne sa qualcosa, visto che in un anno alla guida della rete ammiraglia, dove è stata posizionata da Matteo Salvini, ha fatto crollare persino trasmissioni storiche, come Uno Mattina e La vita in diretta, facendo sprofondare in un flop mai visto prima tutta la Rete. L’unica che non solo ha tenuto, ma ha addirittura in parte contenuto l’emorragia degli ascolti, è stata RaiTre, che sotto la guida di Stefano Coletta è riuscita, a volte, a battere addirittura il colosso di Canale 5 in prima serata, con ottimo seguito anche nelle altre fasce orarie. Proprio quel Coletta che, premiato dagli ascolti, è stato premiato anche dai vertici di viale Mazzini, che per mettere fine alla più disastrosa direzione della storia di RaiUno hanno promosso Coletta alla rete ammiraglia e dato il benservito alla De Santis, mettendo così fine anche a una serie di interrogazioni in Vigilanza in cui i consiglieri chiedevano la testa di Teresina. Alla fine la testa, o almeno ciò che resta della stessa, l’hanno avuta alla vigilia della conferenza del Festival, anche perché a un certo punto lo stesso Salvini, sotto attacco pure sul versante delle cammellate leghiste di esterni imbarcate in azienda dalla direttora politicizzata, l’ha mollata, sottolineando: “Non mi occupo della Rai”. E lì Teresina deve aver visto la fine sul suo viso, proprio lei che aveva detto chiaramente che il suo editore era il governo, più specificatamente la quota verde. Da quella dichiarazione alla defenestrazione il passo è stato breve. Lei, che dopo un anno di attacchi era sempre su quella poltrona e si cominciava a sentire invincibile, ha così tanto rosicato da sperare che i fatti dimostrassero che non era colpa sua se gli ascolti erano crollati. Quale migliore occasione del Festival di Sanremo, iniziato sotto le peggiori polemiche sul presunto sessismo di Amadeus, l’ospitata di Rula Jebreal e la partecipazione di Junior Cally, il rapper che nelle sue canzoni del passato inneggiava al femminicidio. Con quei chiari di luna e l’invito di Matteo Salvini a boicottare il Festival non poteva che andare male. Invece, nel salone di casa De Santis, si consumava la tragedia personale, spettatore dopo spettatore, successo dopo successo. Gli italiani, nonostante l’invito del leader della Lega, hanno guardato Sanremo 70 e ne hanno decretato, dopo vent’anni, il carattere nazional popolare della kermesse tutta italiana. Qualche critica si è sollevata, ma la bravura di Coletta, che non ha fatto insulse dichiarazioni e supercazzole tipo quella sulla contiguità ma ha invece risposto sempre da signore e con positività, hanno trasformato le polemiche in nuovi stimoli per guardare il Festival. Tutto ciò ha fatto andare su tutte le furie la De Santis, che gonfia come un rospo è andata allo studio legale D’Amati per fare causa alla Rai, per demansionamento e mobbing, perché ha perso la guerra, perché questo Sanremo gliel’hanno scippato e perché su quella poltrona stava comoda, nonostante tutto andasse a rotoli. Ci auguriamo che nessun giudice, sulla base del lavoro catastrofico del peggior direttore di tutti i tempi, si prenda la briga di ordinare un reintegro. Già è un miracolo che gli italiani non abbiano avviato una causa per danno erariale, visto che il servizio pubblico lo pagano i cittadini e che la direttrice ha avuto come obiettivo primario quello di sistemare gli amici, e non il bene della Rete che stava dirigendo. E ci auguriamo infine che nessuna forza politica di buon senso ceda a un simile ricatto: ciò che è uscito dalla porta principale cerca ora di rientrare dal comignolo del camino.


L’editoriale del direttore

Monica Macchioni

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