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Colla o Landini? La Cgil per la prima volta entra divisa in un congresso decisivo per la segreteria




Una divaricazione mai vista nella lunga storia della Cgil


Maurizio Landini, cioè il sindacalista più ‘radicale’ che la Cgil abbia conosciuto da molti decenni o Vincenzo Colla, cioè il sindacalista più ‘riformista’ che la Cgil abbia avuto (e avrebbe) alla sua testa da molto – forse troppo – tempo? La sfida interna al sindacato più grande d’Italia (5 milioni di iscritti, ma più della metà pensionati, iscritti allo Spi) che si consumerà, a partire da oggi e fino a venerdì 25 gennaio, alla Fiera del Levante di Bari, all’interno del suo XVIII congresso, si gioca tutta su questi due nomi: Landini o Colla? Una gara che si giocherà sul filo di lana, contando i delegati uno a uno, categoria per categoria, e una competizione che – per il sindacato più antico (113 anni di storia, di fatto l’organizzazione sociale e politica più antica nella storia del nostro Paese), più grande e più ‘rosso’ d’Italia – è una novità assoluta. Mai, infatti, nella sua lunga e travagliata, ma nobile, storia, la Cgil era arrivata al congresso spaccandosi in due come una mela, come accadrà, invece, in questi giorni a Bari. La ‘gara’, quando mai c’è stata, dentro la Cgil si è chiusa sempre molto prima di arrivare al congresso ordinario e in quello che, formalmente, si chiama ‘Direttivo nazionale’ e che, sostanzialmente, è l’ultimo Politburo o Comitato centrale esistente in Italia, dallo scioglimento del Pci (1991) in poi.


Susanna Camusso

Ma dato che si tratta di tempi nuovi per tutti, ecco che anche dentro la Cgil ‘todo cambia’, direbbe Mercedes Sosa. La prima – e, ad oggi, anche l’unica – cosa certa è che si chiude, dopo otto anni, l’era di Susanna Camusso, la prima donna alla guida di un sindacato italiano, anche se poi seguita dalla nomina di Annamaria Furlan a capo della Cisl. Per la prima volta, dunque, si va alla conta per scegliere il nuovo segretario generale della Cgil in uno scenario non solo del tutto inedito, ma anche logorante, per il sindacato.

“Abbiamo bisogno di un sindacato confederale davvero unitario. È una scelta obbligata, l’unica che potrebbe fare la differenza” è l’augurio del segretario generale uscente, Susanna Camusso, nella relazione che apre il congresso di Bari. La Camusso parla davanti alla platea di 868 delegati e davanti ai numerosi ospiti invitati dall’Organizzazione. Si va dai segretari generali di Cisl e Uil, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, fino all’intero stato maggiore del Pd (da Maurizio Martina a Nicola Zingaretti fino a molti altri), ma nella totale assenza di qualsiasi rappresentante del governo. In platea, tra gli altri, gli ultimi due ex segretari generali prima della Camusso, Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani.

Ma per tornare agli interna corporis della Cgil, con l'annuncio formale di Gigia Bucci, segretaria della Camera del Lavoro di Bari, oggi sono decaduti tutti gli organismi dirigenti e la guida della Cgil affidata alla presidenza. La presidente del congresso è Morena Piccinini, mentre tra i membri della presidenza ci sono tra gli altri la - a questo punto - ex segretaria Susanna Camusso e i due sfidanti per la successione, Vincenzo Colla e Maurizio Landini.


Il ‘radicale’ Landini e il ‘riformista’ Colla agli opposti


La sfida si gioca sul filo di lana: entrambi emiliani, con una lunga esperienza sindacale alle spalle e con le radici comuni nella Fiom, i due contendenti (Colla e Landini) partono, almeno sulla carta, da una situazione di sostanziale parità e la partita per il dopo-Camusso si giocherà in questi giorni. Nello scacchiere interno, gli schieramenti delle categorie sono pressoché equivalenti: con Colla ci sono molte, robuste, categorie: lo Spi (il sindacato dei pensionati che conta 2,7 milioni di tesserati, quasi la metà degli oltre 5,5 milioni di iscritti alla Cgil, ed esprime il 25% dei delegati al congresso), la Fillea (gli edili), la Filctem (i chimici-tessili), la Filt (trasporti), la Slc (il settore delle telecomunicazioni).

Al fianco di Landini, invece, stanno, ovviamente, i metalmeccanici della Fiom, categoria che Landini ha guidato per ben sette anni, la Filcams (la categoria del commercio e servizi che conta il maggior numero di iscritti tra gli attivi, oltre mezzo milione), la Fp (il pubblico impiego), la Flai (agroalimentare), la Flc (scuola), la Fisac (i bancari) e il Nidil (che rappresenta i lavoratori atipici). Il paradosso è che entrambi i candidati sostengono lo stesso, identico, documento congressuale, che si chiama “Il lavoro è” e che ha raccolto il 98% dei consensi. Una percentuale ‘bulgara’, ma che nasconde la profonda divisione interna di un sindacato profondamente spaccato davanti a due diverse opzioni che rappresentano due modi del tutto contrapposti nel voler affrontare il ruolo e l’impegno del sindacato. Quello ‘riformista’ di Colla e quello ‘radicale’ di Landini. Del resto, anche le storie personali dei due parlano per loro. Landini – molto più conosciuto, volto televisivo noto a tutti i grandi talk show – viene dalla provincia di Reggio Emilia, ha 57 anni e ha passato la sua vita dentro i metalmeccanici, in scia agli ultimi due grandi – e molto ‘radicali’, dal punto di vista politico – segretari di confederazione della Fiom, Claudio Sabbattini, mente raffinata, e Claudio Rinaldini, persino, forse, più ‘operaista’ e di ‘sinistra’ del primo. Movimentista puro, politicamente affascinato prima dal (fallimentare) tentativo dell’ex pm di Palermo, Antonio Ingroia, di lanciare, alle elezioni del 2013, la sua lista, ‘Rivoluzione civile’, poi delegato di Sel-SI a diversi congressi ‘rifondativi’ della sinistra-sinistra post-Prc, Landini si era ‘inventato’, a un certo punto, persino una sua specifica forma di partito-movimento, denominata ‘Coalizione sociale’ che aveva attirato le simpatie di mondi variegati (si andava dai ‘professori’ ‘girotondini’ Pancho Pardi e Stefano Rodotà a ex esponenti della sinistra extraparlamentare degli anni ’70, come Oreste Scalzone e Franco Piperno fino al gruppo Abele di don Luigi Ciotti), ma che non si è poi mai trasformata in iniziativa politica. Soprattutto, Landini è sempre stato un vero ‘radicale’ sui temi sociali e politici che esulano dall’attività sindacale: ha appoggiato le lotte No-Tav e No-Trip come anti-trivelle e ha tenuto un atteggiamento non pregiudizialmente ‘ostile’ al governo gialloverde e, soprattutto, all’area dei 5Stelle, lodando il ‘decreto Dignità’ (“E’ solo un primo passo, ma migliora le condizioni dei lavoratori” disse all’epoca), anche se di recente ha cambiato giudizio, specie rispetto alla manovra economica, giudicandola “miope e recessiva”.


Colla, invece, che ha 56 anni e viene dalla provincia di Piacenza, ha vissuto tutta la sua esperienza dentro la Cgil, formandosi come ‘quadro’ sindacale e organizzativo. Tendenzialmente moderato, per quanto si può esserlo, dentro la Cgil, Colla è decisamente a favore della Tav come delle Grandi opere, ha un buon rapporto con Confindustria e, soprattutto, con le altre due organizzazioni sindacali (Cisl e Uil), crede fermamente nell’unità sindacale confederale, pensa ogni male possibile del governo gialloverde e si è schierato – anche davanti alle scelte delle prossime europee – a favore del fronte degli ‘europeisti’ e contro i sovranisti’ e i ‘populisti’. Si può considerare, di fatto, vicino al Pd attuale, anche se si è guardato bene dall’indicare preferenze per questo o quello dei vari candidati alla segreteria dem, ma è probabile che le sue simpatie vadano a Zingaretti. Di certo, con Colla segretario, il rapporto con il mondo della sinistra e, in particolare, del Pd, tornerebbe a essere soft, se non propriamente di ‘fiancheggiamento’, sanando la ferita che ha portato, in questi ultimi anni, il più grande sindacato italiano a manifestare freddezza e distanza per la sinistra, almeno per quella rappresentata dal Pd, se si escludono gli endorsement – per altro privi di sostanziale seguito – che la Camusso ha fatto, alle ultime Politiche, a favore di Leu.

Storia lontana e recente di svolte ‘a destra’ e ‘a sinistra’. Infatti, mai negli ultimi decenni della storia sindacale era successo di arrivare al congresso con una sfida a due così aperta. Dopo i tempi – lontani, quelli della Prima Repubblica – in cui, dentro la Cgil, tutto si decideva come dentro il Pci, cioè attraverso le scelte insindacabili del Politburo interno, e in cui anche le due principali componenti sindacali (quella ‘comunista’, cioè legata a doppio filo al Pci, e quella ‘socialista’, cioè vicina al Psi) trovavano sempre la loro composizione negli assetti interni (al segretario generale, che era sempre un comunista, veniva affiancato un vicesegretario generale socialista), molte cose sono cambiate all’avvento della II Repubblica. Insomma, dopo i tempi – gloriosi – di Di Vittorio e del suo ‘Piano del lavoro’, di chiara impronta ‘riformista’, e dopo quelli di Luciano Lama che, negli anni Settanta, condusse la Cgil attraverso le temperie e i drammi di quel periodo, portandola in modo netto sia a contrastare il terrorismo che a ‘fiancheggiare’, di fatto, il Pci di Berlinguer che aveva lanciato il compromesso storico e la politica dell’austerità, la Cgil dovette ripensarsi e affrontare i ‘tempi nuovi’, quelli del ventennio berlusconiano, cui si oppose con fermezza, ma anche la fine della famosa ‘cinghia di trasmissione’ che aveva caratterizzato il rapporto tra il sindacato e il Pci lungo tutta la Prima Repubblica e un rapporto, quello con il Pds-Ds-Pd che, pur nella sostanziale vicinanza e ‘simpatia’ reciproca, divenne presto conflittuale e spesso alternativo.

Per quanto riguarda, invece, le divisioni interne più recenti, dentro la Cgil, andando a memoria, si ricordano pochi antecedenti rispetto all’attuale fase di contrapposizione. Un eccezione, rispetto alla regola dell’unanimismo interno, fu senz’altro l’elezione di Sergio Cofferati, quando a poche ore dal voto l’altro candidato in corsa, Alfiero Grandi, rappresentante della sinistra interna, si ritirò. Ma era il 1994 ed erano i tempi di Bruno Trentin (l’ultimo ‘grande’ segretario della Cgil che firmò, per poi dimettersi, il Patto sul lavoro e la produttività con il governo Amato) che, per la sua successione, decise di designare una commissione di saggi per consultare i membri del Direttivo, che all’epoca eleggeva il segretario generale, e portare un solo nome al voto. Una soluzione, quella della consultazione dei saggi, proposta e sostenuta anche oggi, in particolare dallo Spi, ma che, alla fine, non è passata. Stavolta, deciderà il congresso.


Cofferati era stato eletto su posizioni sostanzialmente ‘riformiste’ (veniva dai chimici, contrattualisti a oltranza), ma divenne il protagonista della prima, vera, svolta ‘a sinistra’ della Cgil (il famoso ‘biennio rossiccio’ del 2001-2002), quando ‘il Cinese’, come veniva chiamato a causa dei suoi tipici occhi a mandorla, cercò non solo la via delle piazze per opporsi all’allora II governo Berlusconi (l’adunata oceanica di piazza San Giovanni e gli scioperi), ma anche di ‘scalare’ gli allora Ds. Tentativo poi stoppato al congresso di Rimini del 2001, quando il partito erede del Pci-Pds elesse Piero Fassino segretario e Cofferati, ritiratosi prima dal tempo dal desiderio di capeggiare la sinistra interna, che poi candidò, inutilmente, Giovanni Berlinguer, si ritirò in buon ordine per diventare, ma molto dopo, sindaco di Bologna e, ancora dopo, europarlamentare del Pd. Il testimone della Cgil passò a Guglielmo Epifani, un altro ‘riformista’ (veniva dal settore delle comunicazioni), di formazione socialista, che però si spostò a sua volta su posizioni radicali e oggi è deputato, eletto nelle file di Leu. Infine, arrivò Susanna Camusso. La prima donna segretario generale nella storia della Cgil lascia dopo due mandati (il limite massimo per statuto) e dopo una stagione in cui la Cgil si è, di fatto, ‘ritirata’ dalla scena e dall’agone politico per dedicarsi solo a quello che dovrebbe essere, in teoria, il lavoro principale di ogni sindacato, la contrattazione. Ma proprio la Camusso ha fatto sterzare ancora di più ‘a sinistra’ la sua confederazione, prima ponendosi in sostanziale antitesi con gli ultimi governi di centrosinistra (quello guidato da Matteo Renzi, soprattutto), in particolare a causa dei provvedimenti sul lavoro (Jobs Act in testa), ma anche su un tema come il referendum costituzionale, quando la Cgil si schierò pesantemente con il Fronte del No, e poi occhieggiando, di fatto, ai 5Stelle, prima, durante e dopo le ultime elezioni, anche se la delusione, in questo caso, si è rivelata cocente. A tal punto che, oggi, la Cgil, dopo aver espresso ‘attenzione’ e ‘interesse’ per i primi provvedimenti sociali del governo gialloverde come il ‘decreto Dignità’, esprime un giudizio di netta contrarietà alla prima manovra economica varata dal governo Conte, compreso il ‘reddito di cittadinanza’ che pure alcuni dei suoi maggiori esponenti, proprio come Landini, avevano in un primo momento valutato e giudicato positivamente. Infatti, il prossimo 9 febbraio, la Cgil scenderà in piazza con la Cisl e la Uil per manifestare contro la Legge di Stabilità – e, quindi, di fatto, contro il governo Conte – in una ritrovata unità di quella che veniva detta ‘la Triplice’ (Cgil-Csil-Uil, appunto) e che ha sempre rappresentato, pur se con andamenti oscillanti e contradditori, la storia del sindacalismo confederale, quasi sempre una storia di unità.


“Serve un nuovo leader per aprire una nuova fase”


La Cgil, dunque, si prepara ad un passaggio di consegne che non potrà non segnare una nuova, importante, fase. Ora la parola passa al congresso di Bari e all’assemblea generale (circa 300 i componenti) che verrà eletta dagli 868 delegati a cui spetta il compito di eleggere il nuovo segretario generale. Scegliendo tra l’ex leader della Fiom, Landini, proposto dalla stessa Camusso alla sua successione nel’ ottobre scorso con il sostegno della maggioranza della segreteria confederale, e l’ex leader della Cgil Emilia-Romagna, Colla, subentrato nella gara interna con la sua disponibilità a candidarsi a un Direttivo di prima di Natale. L'elezione arriverà solo nel pomeriggio di giovedì 24 e con il nome che la spunterà nel testa a testa tra tutti i delegati.


I tentativi di cercare un’intesa sono tutti naufragati


Del resto, ogni trattativa in corso negli ultimi giorni e settimane, fino alle ultime ore prima del congresso, per trovare un’intesa che evitasse la spaccatura non ha finora dato esiti soddisfacenti e tutti gli osservatori, a questo punto, danno come sicura la presentazione di due liste contrapposte. I landiniani, off the records, si accreditano di circa un 60% dei delegati. I sostenitori di Colla, più prudenti, affermano comunque di avere una maggioranza risicata, al massimo di essere davanti ma in un testa a testa. Ad ogni modo, e su questo tutti concordano, è impossibile dare numeri esatti. A favore di Vincenzo Colla si sono espressi – come dicevamo - i segretari del settore Trasporti, i Pensionati, i Chimici, quelli delle Comunicazioni. A favore di Landini, oltre alla Camusso e la maggioranza della segreteria uscente, ci sono altrettante categorie ‘pesanti’ come la Funzione pubblica, i Metalmeccanici, i Lavoratori del commercio, gli Alimentaristi, i Precari, i Bancari. Ma queste indicazioni non vincolano le scelte dei singoli delegati che, a loro volta, indicheranno i nomi per l’assemblea, la quale poi voterà la segreteria. Il punto ancora da dirimere è se si arriverà alla nomina dell’assemblea con una lista unica (ipotesi improbabile) o con due liste contrapposte. E se, una volta nominata l’assemblea, si troverà un accordo dell’ultima ora oppure se ci sarà la conta drammatica e divisiva fino all’ultimo voto. Il 22 gennaio, nella sua relazione al Direttivo, la segretaria uscente ha lanciato un ultimo appello all’unità. La Cgil, ha detto la Camusso, “ha svolto un congresso unitario. Per questo appare ai più incomprensibile perché ora maturi il dividerci a posteriori. Rischiamo che, per dare senso alla duplicazione dei candidati a segretario generale, si dichiarino differenze politiche che non abbiamo visto in nessuno dei nostri congressi”. Il riferimento è, appunto, alla mancanza di due piattaforme contrapposte. Sull’elezione del nuovo leader la segretaria ha rimarcato “il valore del noi”. “Penso che la Cgil non se lo meriti” e poi aggiunge: «Mentre attendiamo delle risposte non rinunciamo ad una idea unitaria della Cgil e del suo gruppo dirigente”.


La contrapposizione tra ‘movimentisti’ e ‘istituzionali’


La vulgata dice che quella che si sta giocando in Cgil è una partita tra “movimentisti”, che appoggiano Landini, contro gli “istituzionali” che stanno con Colla, ma la partita è molto più complesso di così. Basti pensare che, appunto, a indicare Landini, è la segreteria uscente, con Camusso in prima fila. Il modo più corretto per guardare a quello che sta succedendo è puntare gli occhi sulla politica: disgregata la sinistra, di fronte a un governo che è incapace di pensare i corpi intermedi come interlocutori accreditati, la Cgil è in cerca di una voce che sappia farsi ascoltare. Per alcuni questa voce è quella di Landini perché segna un cambio di marcia rispetto al passato e ha un dialogo aperto con il mondo dei movimenti che oggi stanno fuori dal sindacato. Per altri è quella di Colla, considerato per certi versi meno “avventuriero”, più esperto nel confronto con il governo (è il ‘padre’ di Industria 4.0 ovviamente nella parte sindacale), e più capace di allacciare un rapporto con Cisl e Uil, considerato imprescindibile per ottenere più peso specifico. E poi c’è un problema di equilibri interni: oggi il sindacato ha cinque milioni e mezzo di iscritti, 2,5 sono pensionati. “Ma non era mai successo che i pensionati fossero determinanti nella scelta di un segretario. Oggi può essere così con Colla e sarebbe un problema”, attacca con perfida Bruno Manganaro, esponente della Fiom-Cgil di Genova. “Colla ha una solida esperienza confederale alle spalle, ha diretto il sindacato a tutti i livelli, credo che abbia uno sguardo più lungo e più largo. Landini è un quadro che viene da un’esperienza di categoria (i metalmeccanici, ndr.), importante, solida, ma è pur sempre parziale. Non è un problema tra movimentisti e riformisti, sono etichette” racconta a Lettera43 Emilio Miceli, segretario della Filctem-Cgil, che figura tra i sostenitori di Colla.


Il fatto è anche che Landini è visto ancora da alcuni come un corpo estraneo dentro una confederazione che in passato ha criticato molto duramente. “Ma non è un problema che sia stato critico in passato, quanto che non abbia reso evidenti nel tempo i cambiamenti che lo hanno portato a ricoprire un ruolo e una funzione più generale dentro la Cgil. Quello che mi è mancato, ed è mancato a tanti, è il percorso attraverso cui Landini ha chiuso una fase di aspra contrapposizione. Non è stato spiegato da lui e nemmeno dalla Camusso” conclude il suo ragionamento Miceli. Il paradosso, in fondo, è proprio questo: la segreteria della Cgil uscente ha scelto, come suo alfiere, un uomo che un certo tipo di sindacato ha sempre detto di volerlo cambiare, ma troppe incognite gravano su quella che tradizionalmente veniva definita “la linea” e non si sa quale sia quella di Landini mentre i propositi di Colla sono molto più chiari. Si vedrà, in ogni caso, quali saranno le ‘vere’ linee programmatiche dei due pretendenti al trono, a cominciare dai discorsi che i due pronunceranno dalla tribuna di Bari.

La ‘zona grigia’ tra i delegati e la sfida all’ultimo voto. Pesa, inoltre, il problema dei numeri: sia l’uno che l’altro dei due contendenti sono convinti di avere, dalla loro parte, la maggioranza dei delegati, ma c’è una discreto “spicchio” dell’assemblea congressuale che non ha ancora deciso, oppure ha garantito il sostegno sia all’uno che all’altro, oppure ancora ha modificato la sua idea strada facendo: su 868 delegati quest’area “grigia” potrebbe fare la differenza. Molti hanno anche osservato – come Mario Lavia, attento conoscitore di cose politiche e sindacali, nonché direttore di Democratica, il giornale on-line del Pd - che, almeno fino a oggi, il Congresso della Cgil non ha attirato l’attenzione che meriterebbe. Diverse sono le cause. Quelle “oggettive” sono la crescente disaffezione, specie fra i giovani, verso il sindacato; la progressiva marginalità del sindacato dalle grandi scelte del Paese; soprattutto, lo scompaginamento del tradizionale panorama sociale e la frantumazione del lavoro. Poi ci sono quelle “soggettive”: il non aver saputo intercettare le nuove domande di rappresentanza (specie dei giovani); l’incapacità di rinnovare modo di essere, linguaggi, gruppi dirigenti; la difficoltà di unire il mondo del lavoro attorno a una proposta unificante e mobilitante. La disattenzione generale è poi anche dovuta alle modalità del dibattito congressuale. Dibattito, per carità, ultra-democratico e tuttavia come cifrato, lento, poco leggibile”.


Un iter congressuale lungo, non al passo con i tempi


L’iter congressuale è durato quasi un anno, come si evince dai documenti ufficiali. Tra il 5 aprile e il 18 maggio si sono svolte circa 1500 assemblee generali che si sono tenute nei luoghi di lavoro su tutto il territorio nazionale. Dal 20 giugno al 5 ottobre si sono svolte, invece, le assemblee congressuali di base. A seguire e fino al 31 ottobre si sono tenuti i congressi delle categorie territoriali, delle Camere del lavoro territoriali e metropolitane e delle categorie regionali. I congressi delle Cgil regionali hanno preso il via il 5 novembre e si sono conclusi entro il 24 dello stesso mese. Dal 26 novembre al 20 dicembre si sono svolti i congressi delle categorie nazionali dei lavoratori attivi e quello del sindacato dei pensionati. “E’ la democrazia, bellezza – nota sempre Lavia – e fa onore alla Cgil. Però stride con questo nostro tempo veloce. Piaccia o non piaccia, è un tempo che richiede qualcosa di nuovo. A tutti i soggetti. In tutta Europa i partiti di sinistra si rompono la testa per cercare nuove soluzioni, nuove ricette, nuovi approcci con una realtà che non è più quella del Novecento, quando i lavoratori – i produttori – seguivano d’istinto i partiti e sindacati di sinistra e poi l’organizzazione in fabbrica o sul territorio garantiva la continuità del rapporto fra coscienza di massa e strumenti di lotta. Ma oggi dove sono quei luoghi, dove quegli strumenti? Non si riesce a venirne a capo. Chiusa l’era del sindacato classico di Luciano Lama e di Bruno Trentin e di milioni di lavoratori sindacalizzati (si rende onore in questi giorni a Guido Rossa, martire della lotta al terrorismo), prosegue da 20 anni una lunga fase di transizione nella quale il nuovo sindacato stenta a nascere. A Colla o a Landini spetterà un compito di immane difficoltà in un Paese in cui la destra ha rialzato la destra come mai prima d’ora e nel quale c’è un nuovo bisogno di consapevolezza dei diritti dei lavoratori e di lotte per affermarli”. Il congresso si concluderà con un ‘saluto alla Camusso’, di impronta un po’ ‘sovietica’ e di certo il segretario generale uscente farà pesare, come ha già fatto nella sua relazione introduttiva, la sua scelta di puntare tutto su Landini, disarcionando il tentativo di ‘scalata’ alla Cgil di Colla, che la Camusso ha sempre avversato e che non ha mai amato. Ma proprio la ‘discesa in campo’ di Colla ha scompaginato tutti i giochi che la Camusso e i suoi pensavano di aver già concluso puntando tutte le loro fiches sulla carta Landini. Solo venerdì si saprà davvero come finirà sia il congresso che quale sarà il futuro del più grande sindacato italiano.


di Ettore Maria Colombo

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