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Condannato l'ex sindaco Alemanno nel processo “Mondo di mezzo”: sei anni e confisca per 300mila euro



Sei anni di reclusione per corruzione e finanziamenti illeciti. Questa la sentenza della seconda sezione collegiale del Tribunale di Roma a carico dell'ex sindaco della Capitale Gianni Alemanno, travolto nell'inchiesta stralcio di Mafia Capitale, “Mondo di Mezzo”. Secondo l'accusa condotta dal pm Luca Tescaroli, l'ex An avrebbe ricevuto somme pari a trecentomila euro da parte di Salvatore Buzzi e soggetti a lui riconducibili in cambio di atti compiuti in violazione dei doveri d'ufficio. Una pena addirittura inasprita dai giudici, che hanno comminato all'ex sindaco un anno in più rispetto a quanto richiesto dalla Procura. A pesare le nomine speciali in Ama, sotto la pressione di Buzzi che agiva in concorso con Massimo Carminati, il pilotaggio delle gare d'appalto per l'organico della municipalizzata – a vantaggio della galassia delle coop di Buzzi – e lo sblocco di crediti vantati dallo stesso Buzzi nei confronti della PA, di Ama e di Eur spa. Secondo le ricostruzioni della Procura, Alemanno avrebbe ricevuto parte delle somme (228mila euro) in erogazioni indirette alla fondazione Nuova Italia da lui presieduta e parte in contanti in diverse tranche per un ammontare di circa 70mila euro. Oltre ai sei anni di reclusione, i giudici hanno disposto per l'ex sindaco la confisca di 298mila euro e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. È stata fissata inoltre una provvisoriale di 50mila euro da destinarsi ad Ama e Comune di Roma, in attesa della definizione della somma in sede civile, e il risarcimento dei danni per 10mila euro per le parti civili CittadinanzAttiva, Assoconsum e Confconsumatori federazione regionale Lazio.

«Sono innocente non c'è una vera prova certa contro di me», si difende Gianni Alemanno, che afferma di non essere «l'uomo di riferimento di Mafia Capitale, visto che sono stato prosciolto dall'accusa di associazione mafiosa».


LE TAPPE


Mafia Capitale ha inizio il 2 dicembre 2014, quando vengono arrestate 37 persone nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Roma: al vaglio degli inquirenti ore di registrazioni, intercettazioni ambientali e documentazioni che proverebbero un disegno criminale su Roma e tutto il Lazio, un “Mondo di Mezzo” in cui esponenti della politica, delle imprese, dirigenti delle municipalizzate e appartenenti a organizzazioni criminali avrebbero trovato terreno comune, sotto la guida di una associazione di stampo mafioso, per il controllo delle attività economiche e degli appalti su Roma e regione. A capo di questo disegno mafioso il presidente della cooperativa "29 giugno" Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ex Nar, associato alla Banda della Magliana, ritenuto il responsabile delle «direttive agli altri partecipi» e colui che avrebbe intrattenuto «rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali, con pezzi della politica e del mondo istituzionale, finanziario e con appartenenti alle forze dell'ordine e ai servizi segreti».


Nel giugno 2015 si giunge a una seconda fase che coinvolge ben sessantacinque soggetti (di cui 19 tradotti in carcere, 25 ai domiciliari e 21 indagati a piede libero) e in cui vengono determinati i ruoli decisionali di Buzzi e Carminati all'interno dell'associazione criminale. Tra gli altri finisce in prigione anche Luca Gramazio, ex consigliere del Pdl (confluito poi in Fi), considerato a tutti gli effetti il volto politico di Mafia Capitale, il soggetto in grado di elaborare «le strategie di penetrazione nella pubblica amministrazione». Emergono in questa fase le figure a libro paga di Buzzi e Carminati che a Roma esercitavano attività illecite su ogni tipo di affare: dai migranti alla gestione degli spazi verdi.


Il processo ha inizio il 15 novembre 2015 dinnanzi alla corte della X sezione penale del Tribunale di Roma e si protende sino ad aprile del 2017. La Procura chiede la condanna di tutti e quarantasei gli imputati, con un computo totale di 515 anni di carcere. Le richieste più alte sono quelle per Carminati (28 anni) e Buzzi (26 anni e 3 mesi), condotti rispettivamente negli istituti di massima sicurezza di Parma, dove Carminati è stato sottoposto a regime del 41bis, e nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo.


Nel febbraio del 2017, nell'ambito del procedimento stralcio, vengono archiviate le posizioni di 113 dei 116 indagati per imputazioni più o meno marginali rispetto al filone principale di Mafia Capitale, quasi tutti esponenti del mondo politico istituzionale, imprenditori ed ex militanti di destra. In accoglimento delle richieste avanzate dalla Procura, nell'agosto 2016, il gip Flavia Costantini firma così il decreto di archiviazione per i soggetti sopracitati, quasi tutti motivati dall' «assenza di elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio», mentre

per i restanti a causa delle dichiarazioni accusatorie, ritenute non credibili, fatte in fase processuale da Salvatore Buzzi. Tra questi vi è proprio l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, per cui è scongiurata l'ipotesi di concorso in associazione di stampo mafioso, così come per il capo della sua segreteria politica Antonio Lucarelli.


Il 20 luglio 2017 viene pronunciata la sentenza di primo grado per i quarantasei imputati del filone principale: caduta in toto l'accusa di associazione mafiosa (anche per i due capi), sia Carminati che Buzzi ottengono uno sconto della pena inizialmente prevista e vengono condannati a 20 anni il primo, e a 19 anni il secondo.


Il 6 marzo 2018 segna il via al processo d'Appello: per 28 dei 43 imputati la richiesta del secondo grado di giudizio è avanzata dalla Procura e riguarda quei soggetti accusati di associazione mafiosa, derubricata ad associazione semplice dal giudice di primo grado. Le richieste sono di 26 anni per Carminati e 25 per Buzzi. «Carminati è un boss, così come lo chiamano i criminali nelle intercettazioni, riconoscendolo come capo e obbedendogli in virtù del potere criminale che gli riconoscono», l'esordio del Procuratore aggiunto Giuseppe Cascini nella requisitoria in cui si chiedeva tra gli altri il ripristino dell'art 416bis, quello che profila il reato di associazione di stampo mafioso. L'11 settembre la terza sezione della Corte di Appello condanna Buzzi e Carminati a 18 anni e 4 mesi di reclusione per il primo e 14 anni e 6 mesi per il secondo, pur riconoscendo il disposto ex art 416bis.

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