Terzo Settore, mondo dello sport e molte altre materie: la manovra del governo giallo-verde rimanda tutto a futuri tavoli.
La cornice è quella della sala polifunzionale di palazzo Chigi, quella che si trova a fianco della galleria Alberto Sordi. Folla di giornalisti di ogni testata, come ad ogni conferenza stampa di fine anno per il governo. Conferenza che si è fatta attendere, quest’anno, intervallata da rinvii dovuti alla manovra, che ancora non era delineata in tutti i suoi aspetti.
Inevitabile che tutte le domande al presidente del Consiglio vertessero su questo tema, che si è suddiviso sui tanti articoli della legge di bilancio, anche se il maxiemendamento li ha poi riuniti in uno solo.
La prima cosa che Giuseppe Conte ha tenuto a precisare è che la manovra italiana non sia stata scritta a Bruxelles. Incalzato dalle domande dei giornalisti che sostenevano il contrario, Conte ha assicurato di “non aver mai consentito che in Europa mettessero in discussione i punti qualificanti della nostra manovra, e devo dare atto a loro di non aver mai valutato nel merito le nostre proposte. L’interlocuzione con la Commissione europea ha riguardato i saldi finali, mai le misure contenute nella manovra”. Conte insomma nega con decisione quel che affermano le opposizioni, che cioè la legge finanziaria sia stata scritta a Bruxelles. E c’è anche spazio per un siparietto, perché invece di “Bruxelles” continua a dire “New York”, e alla fine se ne scusa con un sorriso.
Poi c’è “quel pasticciaccio brutto del Terzo Settore”: la manovra elimina l’agevolazione sull’Ires di cui godevano tutte le associazioni no-profit, ovvero il dimezzamento della tassa che dal 12 per cento torna al 24. Una mossa, quella del governo, che provoca la ribellione di tutti i coinvolti. Già nei giorni scorsi il vicepremier Luigi di Maio aveva fatto un passo indietro, ma quello di Conte è decisivo: «Devo assumermi le mie responsabilità. Quando si commette un errore e lo si riconosce, bisogna anche ammetterlo. Stavamo risistemando l'ultima fisionomia della manovra e, tra le ipotesi al vaglio, si è pensato anche ed è stata proposta questa soluzione che mi è sembrata plausibile, valutando anche altre misure». Conte assicura di non aver voluto colpire uno specifico settore come quello del volontariato: «Quando si ragiona di non profit, non va dimenticato che noi abbiamo varato il codice del Terzo Settore, frutto di una legge delega del governo precedente, con un regime di agevolazioni del settore non profit. Ho pensato che, nell'equilibrio delle varie misure, questa potesse essere una che in termini di sistema potesse tenere, compensata da altre misure. La riflessione successiva, dopo alcune grida d'allarme, con i ministri Di Maio e Salvini, abbiamo pensato di metterci intorno a un tavolo per definire meglio un intervento in questa direzione. Mi assumo io questa responsabilità, non sono riuscito a valutare tutte le implicazioni. Valuteremo come ricalibrare quella misura in contraddittorio con le realtà del Terzo Settore. Che non era nostra intenzione mortificare». Insomma, Conte si prende la colpa per l'aumento delle tasse al mondo del volontariato e rimanda tutto all'anno prossimo: «A gennaio incontreremo il forum del Terzo Settore, istituiremo un tavolo, raccoglieremo le istanze e calibreremo meglio un intervento in questa direzione».
Reddito di cittadinanza: dalla conferenza stampa arriva la notizia, già nota ma finora non confermata dal vertice dell'esecutivo, che potrà servire ad agevolare anche le imprese. Conte verbalmente appare cauto: «In questo momento il progetto sul reddito di cittadinanza che ho visionato da ultimo, ma sono sempre cauto perché non mi piace autosmentirmi un domani, prevede la possibilità di agevolare anche le imprese che assumeranno i beneficiari del reddito. È secondo noi un meccanismo incentivante, che può funzionare bene». Il premier ci tiene particolarmente ad evitare le accuse che sono il refrain delle opposizioni: il reddito di cittadinanza è una misure assistenzialista. «Ma noi non vogliamo che le persone stiano lì, sedute sul divano; stiamo studiando un meccanismo proprio per evitare la logica del divano. Stiamo dosando la platea, stiamo ragionando sui 780 euro che saliranno in base al numero dei componenti il nucleo familiare».
Non sono mancate dai giornalisti le accuse e le ironie su Di Maio che festeggiava con la parte grillina del governo dal balcone di palazzo Chigi per la decisione di sforare il rapporto deficit/Pil sino al 2,4 per cento; decisione su cui poi si è dovuto tornare indietro a causa del no dall'Europa. Conte difende con decisione il suo numero due: «Di Maio affacciato al balcone era l'immagine di chi per anni si è battuto per una misura di civiltà sociale. È stato crocefisso per questo; avete evocato figure oscure del nostro passato solo perché era stata deliberata una misura che per anni è stato il manifesto di una forza politica. Io plaudo alla forza con cui Luigi di Maio ha portato avanti una battaglia, l'ha inserita nel contratto di governo ed anzi è uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare, e la realizzeremo».
E sullo sport arriva un altro, l'ennesimo tavolo: non potevano infatti mancare domande al governo dopo la morte dell'ultras neroazzurro e i cori razzisti nella partita dell'Inter col Napoli. Premesso che esiste una giustizia sportiva che fa il suo corso, Giuseppe Conte non si tira indietro e dice la sua: «Darei un segnale di cesura forte, anche ricorrendo a una pausa delle manifestazioni sportive, per una proficua riflessione di chi vi prende parte, ma lascio alle autorità competenti la valutazione». Conte si dice molto costernato nello «scoprire, e non è la prima volta, che una manifestazione sportiva sia occasione di scontri violenti, aggressioni a civili, e ci è scappato anche il morto». Il tavolo si dovrebbe aprire con l'anno nuovo dopo che anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega allo sport, il leghista Giancarlo Giorgetti, che si è detto d'accordo con quanto detto da Conte.
Il premier ha anche lanciato una futura riforma sulla legge per la legittima difesa e si è detto sicuro «di riuscire a varare un progetto riformatore equilibrato tra l'esigenza della tutela dell'integrità fisica e quella di difendere se stessi e i propri familiari da aggressioni violente e ingiustificate nel proprio domicilio». Un'esigenza quella di riformare la normativa che nasce dall'aver notato che nonostante ci sia una legge spesso i casi giuridici arrivano fino al terzo grado di giudizio, denotando così un'incertezza tra chi è chiamato a giudicare.
Che la manovra, o meglio il suo iter parlamentare, o meglio ancora la mancanza di un iter nel Parlamento, non sia piaciuta alle opposizione lo ha alla fine dimostrato la bagarre che si è scatenata alla Camera dei Deputati, dove è in corso la discussione in terza lettura della legge di bilancio. E questo proprio mentre alla sala polifunzionale di palazzo Chigi era in corso la conferenza stampa col premier Conte. La minoranza infatti ha chiesto al presidente dell'Aula Roberto Fico di sospendere la seduta sulla discussione generale alla finanziaria perché, a loro dire, la Costituzione era stata calpestata.
Il passaggio parlamentare del testo infatti ha visto un primo passaggio alla Camera inutile, visto che tutti i temi più controversi sono stati presentati nel maxiemendamento arrivato successivamente in Senato. I deputati quindi non hanno potuto dibattere sul testo come avrebbero voluto. Il presidente Fico ha deciso di mettere ai voti la richiesta di sospendere la discussione, cosa che per i numeri tutti a favore della maggioranza avrebbero portato a un no netto allo stop dei lavori. Le opposizioni a quel punto hanno abbandonato i lavori, sospesi per una decina di minuti a causa della bagarre: il deputato del Pd Emanuele Fiano, lanciando verso il governo il fascicolo degli emendamenti, ha colpito in pieno il sottosegretario Garavaglia. Tornato in aula, il presidente Fico ha risposto: «Io non posso arrivare fino in fondo ai lavori della commissione, pur auspicando che si svolga un dibattito vero, sostanziale». Parole che hanno disteso gli animi, con Fiano che si è scusato col governo e il sottosegretario colpito: «Non era mia intenzione».
Infine, diamo atto al presidente Conte di aver fatto outing sulle sue preferenze calcistiche: alla prima domanda che gli chiedeva conto del colore del suo governo e di quale fosse il suo preferito, Conte ha ammesso: «Il mio colore preferito è giallorosso».
di Paolo dal Dosso
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