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Conte si schiera per il No alla Tav, Lega e M5S ai ferri corti: Di Maio gioisce, Salvini furibondo



“Non mi avete convinto”. Le parole del premier, Giuseppe Conte, ripetute a brutto muso sia l’altra notte, ai tecnici di Salvini e allo stesso vicepremier, e ieri pomeriggio in conferenza stampa, fanno pendere il governo gialloverde verso il ‘no’ all’opera. Ma lo pongono anche in uno stato di pre-crisi di governo. Per ora, però, nonostante un vertice che è iniziato l’altra notte e che – tranne una mezza giornata di interruzione – non è mai finito tanto andrà avanti fino a domani, cioè a venerdì, a palazzo Chigi, la situazione è quella classica dello “stallo”. A certificarlo è, appunto, il presidente del Consiglio in persona che, però, esclude – bontà sua - una crisi di governo. E rinvia la decisione sui bandi a lunedì, pur ammettendo che anche qui “c’è stallo”.


Le posizioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini restano distanti, i due a stento si parlano e preferiscono trincerarsi con i loro fedelissimi, oltre che con i loro ‘tecnici’, e la situazione è esplosiva. E ahi voglia Conte a dire che il confronto “è leale e franco”, ma “non stiamo affatto litigando”. Il premier, premettendo di non avere mai espresso posizioni a favore o contro la Tav, sembra Marc’Antonio sul cadavere di Cesare: “Non sono venuto qui per lodare Cesare, ma per seppellirlo”. Ecco, appunto, di fatto il premier si schiera e ‘seppellisce’ la Tav: “Nessun pregiudizio ideologico, emotivo, o ragioni tattiche”, ma ieri al vertice notturno con i due vicepremier “ho espresso forti dubbi e perplessità sulla convenienza di questa opera”.


Parole accolte ovviamente con favore e gioia dal vicepremier pentastellato, che subito lo ringrazia. Dopo il lungo vertice notturno che non ha prodotto risultati e una giornata convulsa di netta contrapposizione tra Lega e M5S sul destino della Tav, Conte dovrebbe, in teoria, nella conferenza stampa convocata ad hoc a palazzo Chigi, gettare acqua sul fuoco e limitarsi a spiegare lo stato dell’arte di una trattativa che dura, in pratica, da due giorni. La conferenza stampa convocata a metà pomeriggio - con conseguente e irrituale rinvio di un’ora del Consiglio supremo di Difesa presieduto al Quirinale dal Capo dello Stato, non proprio felice, anzi assai piccato, dalla scelta – Conte la tiene dopo aver incontrato Mario Virano, direttore generale della Telt che lunedì dovrebbe far partire i bandi.


Con i giornalisti Conte ripercorre le varie tappe della vicenda dell’Alta velocità Torino-Lione. Il premier ricorda come si è giunti all'analisi costi-benefici, che giudica “plausibile e fondata” (primo assist a favore dei 5Stelle) ma chiarisce: “La decisione sarà politica”, cioè l’acqua calda. Dopo, però, il presidente del Consiglio affronta il nodo dei costi, e li definisce “non equi”, nella ripartizione tra Italia e Francia, altra sponda offerta a Di Maio. Quanto alle posizioni dei due ‘alleati’ di governo ammette che “restano tutt'ora contrapposte” e che “hanno creato uno stallo”. Altra constatazione che non aggiunge e non toglie nulla a quanto già si sapeva ed era sotto gli occhi di tutti. Conte, in teoria, si fa garante e spiega: “rispetto le due posizioni, ma non permetterò che pregiudizialmente si affermi una o l’altra”.


Peccato che, subito dopo, aggiunga, prendendo una posizione netta, peraltro a lui poco consona: “Se dovessimo ‘cantierizzare’ (sic) oggi la Tav mi batterei perché non sia realizzata”. Un vero siluro all’indirizzo di Salvini. Per Conte, “gli elementi negativi superano quelli positivi” e allo stato attuale l’unica via d'uscita è un confronto con Francia e Ue”. Prova, cioè, a prendere tempo e a buttare il pallone fuori dal campo, sperando che i raccattapalle lo ributtino nel terreno di gioco il più tardi possibile. Magari dopo un ‘confronto’ con Francia e Ue che scavalli le Europee. “Me ne assumo la responsabilità – dice - alla luce dei forti dubbi sin qui emersi. Credo che l’unica strada sia procedere ad una interlocuzione con i partner, ovvero la Francia e la Commissione europea, per condividere i dubbi e le perplessità in ordine all’analisi costi benefici che abbiamo”.


Conte promette che la farà lui la ‘sintesi’ tra la linea dell’M5S e quella della Lega: “L’onore e l’onore di prendere in mano la situazione tocca a me. Io rappresenterò l’intero governo” di fronte agli altri ‘attori’ della trattativa. Peccato che, appunto, Conte abbia già scelto con quale squadra giocare, quella dei 5Stelle del ‘capitano’ Di Maio, e quale maglia indossare, quella gialla, contro quella verde. E così quando Conte si alza dalla sala stampa di Palazzo Chigi e se ne va, la comunicazione della Lega – di solito una macchina perfetta - mette in scena una vera e propria contro-conferenza per cercare di smussare, ‘troncare e sopire’, quel che è appena successo, ma fa un po’ ridere, o commuovere: “Non ci sembra che Conte si sia schierato, rimane mediatore”. Seee, vabbé, replicano spicci i cronisti. Del resto, basta leggere l’Ansa: Conte sta con Di Maio. Punto. La situazione si avvita. La crisi di governo si avvicina a grandi passi, come un fantasma ineluttabile.


Nella Lega covano sentimenti diversi, ma il cui spettro va dallo sconforto alla rabbia fino al desiderio di vendetta. I ‘falchi’ del Carroccio iniziano a far di conto “Se apriamo la crisi adesso, andiamo a votare insieme alle Europee perché dopo non si potrebbe fare più e accorpare è sempre meglio. Anche un risparmio di soldi. Mattarella non potrebbe farci nulla. Procrastinando la crisi, invece, ci scontreremmo con le obiezioni della difficoltà di votare in concomitanza con l’estate o a ridosso della manovra”, fotogrammi di un film già visto durante la lunga crisi del 2018. E lì sì che il Capo dello Stato farebbe di tutto, anche un governo di minoranza, per impedire il ritorno alle urne. La Tav, dunque, diventerebbe la pistola fumante per entrambi gli attuali partner di governo da sbandierare davanti ai rispettivi elettorati e per cercare di uscirne il più puliti possibile. Un momento ideale vista anche la lenzuolata di nomine che hanno portato a casa i due vicepremier in pochissimi mesi. “Senza dire che il ‘decretone’ (quello che contiene il reddito di cittadinanza, ndr.) non è ancora diventato legge, è ancora all’esame delle Camere – nota, maligno, un leghista – sai che divertimento votargli contro e far saltare tutto?”. Fantapolitica? Forse, ma il clima tra i due alleati è questo.


Intanto, e per l’intera giornata M5S e Lega continuano la guerra a distanza, sulla Tav, con dichiarazioni contrapposte, quelle ‘in chiaro’, come si usa dire, ma in modo controllato. Di Maio convoca i parlamentari pentastellati per la serata e, intato, fanno tutti bivacco nel Transatlantico di Montecitorio, di solito deserto, di giovedì pomeriggio, e invece ieri pieno di pentastellati che chattano sui cellulari, scrivono ai pc e, soprattutto, ascoltano – entusiasti e stupiti - la conferenza stampa di Conte che dà ragione solo a loro. Ma intanto Di Maio mette in chiaro nero su bianco, in una lettera inviata ai gruppi prima della riunione congiunta, che l’opera va “bloccata definitivamente” e che, per farlo, “ci sono due passaggi. Il primo è quello del blocco dei bandi. Il secondo è quello del passaggio parlamentare per il no definitivo”. Per la Lega, invece, sono i governatori di Lombardia e Veneto a replicare subito: “Giusto approfondire i costi reali e chiedere di più a Francia ed Europa, ma impensabile bloccare i bandi” scandiscono Attilio Fontana e Luca Zaia, mentre Salvini si mantiene defilato, almeno per il momento, ma cova dentro la rabbia.


“A questo punto lunedì sarà più che mai la giornata decisiva: se i bandi partono, bene, sennò si perdono una parte dei fondi europei e l’opera rischia di essere affossata”, commenta il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, che chiama alla ‘mobilitazione’ tutti i sostenitori dell’opera: “di fronte a questa palese incapacità del governo di decidere, è necessario che tutte le forze economiche, professionali, sindacali, civiche, che si sono mobilitate in questi mesi per la Tav, esercitino ogni pressione possibile”.


Chiamparino è spettatore interessato perché si ricandida, il 26 maggio, alla guida del Piemonte per conto del Pd, ma forse avrà gioco facile a ‘trascinare’ nel suo campo gli imprenditori piemontesi e tutto il fronte dei ‘Si Tav’. La Lega, che vorrebbe conquistare il Piemonte per controllare tutte le regioni del Nord Italia, schiuma di rabbia. Forza Italia ha gioco facile a dire che “il premier ha definitivamente abbandonato il suo ruolo di equilibrista per appiattirsi sulla linea dei 5Stelle, che del resto sono i suoi datori di lavoro. A questo punto, se la politica ha ancora un senso, la crisi è conclamata. E’ arrivata la tempesta perfetta: il premier non è più il garante del contratto di governo e non gli resta che trarne le conseguenze, per il bene del Paese” sostiene la capogruppo azzurra Anna Maria Bernini.


Ma ci sarà davvero la crisi di governo? Salvini, per ora, tace e dai suoi fedelissimi non trapela, come succede di solito, neppure una ‘velina’. Per tutto il giorno finge di occuparsi di materie che attengono alle competenze del suo dicastero, oltre ad aver fatto un salto in Basilicata dove, il 24 marzo, si vota per le regionali, e la Lega appoggia un candidato di FI (un generale) che punta a strappare la piccola regione del Sud a un predominio ‘rosso’ che dura incontrastato da anni. La sera trapela solo, con il consueto metodo di ‘fonti Lega’, che “per la lega la Tav è utile per la crescita del Paese” e che “la conferma dei bandi resta un passaggio fondamentale per la realizzazione dell’opera”. A Roma si direbbe, in stretto vernacolo, che così, però, “siamo di capo a dodici”. Lo stallo, appunto, prosegue. Domani mattina, alle 11.30, Salvini darà la sua versione dei fatti e delle cose – oltre che, si spera, delle trattative – in una conferenza stampa convocata (fatto curioso) al Senato e non alla Camera. Forse perché al Senato, se passasse il sì alla Tav, alcuni senatori grillini se ne andrebbero sbattendo la porta (per dire, Alberto Airola lo ha già annunciato) e, di conseguenza, il governo non avrebbe più la maggioranza? Quien sabe. Domani è un altro giorno, si vedrà.


di Ettore Maria Colombo

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