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Coronavirus, Crisanti: "rischio zero non esiste, apertura è stata una sfida al virus


"Per un microbiologo o un epidemiologico un caso è un caso di troppo. È chiaro che ci sono delle esigenze economiche e sociali che in qualche modo devono essere rispettate quindi si corre un rischio che, chiamiamo così, i politici hanno ritenuto accettabile, però il rischio zero non esiste". Così Andrea Crisanti, professore di microbiologia all'università di Padova in collegamento con la trasmissione di Canale 5, "Mattino Cinque News", in merito alla fase 3 in cui si trova il Paese. Alla domanda del conduttore, Francesco Vecchi se secondo lui potesse essere modulato il rischio chiedendo ai lombardi o ai piemontesi di attendere una settimana in più per la riapertura, il professore ha chiarito: "Io l'avrei trovato ragionevole. Non si tratta di trattare una regione o determinate categorie come untori o considerarli cittadini di serie B, era a mio avviso, una considerazione dettata soltanto dal numero dei contagi e basata sulla prudenza. Ho sempre detto che bisognava tenere conto delle differenze di trasmissione a livello delle differenti regioni. È stata una decisione politica, una sfida al virus". In merito alle notizie di questi giorni secondo le quali il virus ha delle manifestazioni sintomatiche sempre più lievi ed è meno aggressivo, "sono tutte stupidaggini queste - ha detto - glielo dico tranquillamente. Abbiamo completato le analisi della sierologia a Vo' Euganeo ed è emerso che il 23 febbraio c'erano già cinquantatré persone che si erano ammalate e guarite. Quindi, se noi avessimo dato un'occhiata al virus a Vo' in quel momento non ci sarebbero stati elementi che avrebbero destato la nostra preoccupazione. Non vuol dire nulla. Il virus è lo stesso. Noi non capiamo ancora il perché a certi livelli di densità di persone infette, il virus si manifesta in maniera così grave, invece quando i casi sono di meno, apparentemente la virulenza diminuisce. È una cosa che non capiamo e quando non capiamo bisogna essere più prudenti. Sembra che ci sia una soglia dopo la quale il virus si manifesta con forme gravi. Viceversa, se la frequenza è bassa, il virus tende a manifestarsi in forme lievi. Questo potrebbe essere legato alla carica virale, potrebbe essere legato invece alla possibilità che le persone si reinfettino l'una con l'altra. Non si sa. Quello che voglio dire è che se uno fosse andato a Vo' il 10 gennaio, quando probabilmente i primi casi hanno cominciato a trasmettersi, uno avrebbe avuto la stessa impressione che abbiamo adesso".

In merito a chi dice che il virus è clinicamente morto il professor Crisanti ha chiarito: "Bisogna distinguere quello che vedono i virologi da cos'è un'epidemia. Un'epidemia è un processo evolutivo, bisogna tener presente che il virus cambia, muta, non necessariamente in senso buono, in genere in maniera più aggressiva a seconda della pressione in selettiva che viene esercitata sul virus. Ora è chiaro che se uno vede solo quello che succede in corsia d'ospedale, vede solo un aspetto parziale del fenomeno. Io paragono il virologo ad un meccanico, magari sa tutti quanti i meccanismi e tutte le rotelle della macchina però se gli chiediamo di fare l'urbanista non è in grado di farlo e l'epidemia è una cosa molto più complessa di un virus. Ha degli aspetti di carattere sociale, evolutivo, genetico. È un fenomeno che si articola nel tempo e dipende da tantissimi fattori che se non si considerano poi succede i disastri che abbiamo visto". A proposito dei rapporti con il governatore del Veneto Luca Zaia, Crisanti ha poi spiegato: "Con Zaia non ho mai litigato o per lo meno non mi sono mai accorto di aver litigato. Il Veneto all'inizio ha affrontato l'epidemia con le stesse direttive nazionali poi, quando c'è stato il primo caso a Vo', il governatore ha chiuso il comune e ha ordinato che tutti quanti fossero sottoposti al tampone e questo ha creato una situazione epidemiologica unica. Dopo di che siamo intervenuti noi, abbiamo analizzato ad uno ad uno tutti i casi positivi e negativi; ci siamo accorti che c'era una grande percentuale di casi che erano asintomatici e a quel punto ci si è posto il problema di come identificare gli asintomatici perché se trasmettono il virus è chiaro che non possiamo soltanto utilizzare per fermare l'epidemia una politica basata sui ricoveri in ospedale. Bisogna cambiare strategia cioè bisogna utilizzare il tampone sia come strumento diagnostico sai come strumento di sorveglianza attiva e quindi farlo ai contatti, ai parenti, agli amici e così via o per lo meno renderlo disponibile a chiunque ritenesse di aver avuto un contatto. È chiaro che questo è un cambio di strategia che ci è voluto del tempo per maturarlo. Nessuno nega che la macchina organizzativa della regione sia stata in grado di adattarsi a questo e abbia svolto un ruolo egregio".

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