La breve storia politica del premier Giuseppe Conte ci riporta all'annoso dilemma tra l'essere e l'apparire. Essere premier o sembrarlo soltanto? Che il suo sarebbe stato un ruolo di mediazione e rappresentanza, una sorta di sintesi tra le due parti in carica dotata di un cervello proprio, due gambe e due braccia, era cosa nota già dagli strani giorni che hanno portato alla formazione del governo e ora che le circostanze lo richiedono, l'ex ordinario di diritto privato deve nuovamente sfoggiare tutto il suo talento di tessitore alle prese con due stoffe difficilmente accostabili. Per quanto infatti sia stato possibile procrastinare, causa impellenze di carattere economico e di bilancio con la Commissione Ue a cui si è aggiunta la vicenda processuale di Salvini, quello della Tav era ed è rimasto un nodo che prima o poi andava sciolto. “Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia” questo recitava soltanto pochi mesi fa il Contratto di governo stilato da Lega e Movimento 5 Stelle, la ragion d'essere di questo esecutivo. Già da queste scarne righe si apprende come tra Di Maio e Salvini la questione fosse in sospeso, ma i lunghi silenzi che hanno accompagnato l'attesa della discussa analisi costi/benefici voluta dai grillini lasciavano presagire che la partita si sarebbe giocata soltanto ai tempi supplementari.
Come era per molti prevedibile, il documento redatto dalla commissione capitanata da Marco Ponti, ha riportato gli esiti già più volte sbandierati in campagna elettorale da Di Maio e i suoi, rafforzando l'intenzione di bloccare i lavori tra i parlamentari e la base stretta attorno alla piattaforma Rousseau. Di diverso avviso il leader del Carroccio Matteo Salvini che, forte dei nuovi sondaggi che lo danno ampiamente in testa rispetto agli alleati di governo e conscio che lo stop alla maxi opera potrebbe comportare una falla di voti verso lo storico compagno del centrodestra, Forza Italia, fa pressioni affinché si trovi una soluzione di comodo, il famoso compromesso, che diventa ardua impresa quando si ha a che fare con un progetto infrastrutturale da miliardi di euro, per di più a cavallo tra due Paesi e con lo zampino dell'Unione Europea.
Giorni duri, quelli a Palazzo Chigi, tra summit con facce scure, telefoni che squillano e le opposizioni strette attorno al cavillo che, sperano, possa far definitivamente vacillare il sedicente governo del cambiamento. Entra qui in scena la figura del premier, che da «burattino», come lo apostrofava soltanto qualche settimana fa il leader dei liberali europei Guy Verhofstadt, deve necessariamente farsi prestigiatore. Sventata, almeno per ora, l'ipotesi di una mini-Tav, sostanzialmente una revisione della spesa per quanto concerne la parte italiana, possibile grazie alla riduzione o all'eliminazione di alcune componenti dell'opera, al Presidente del Consiglio non restano molte frecce nell'arco e il crescente malumore dalle parti dei grillini, tra gli elettori e il direttorio e persino tra le fila parlamentari, lasciano ben poco spazio per manovre mirabolanti. Una magia, un gioco di prestigio, un'illusione. Sembrano queste le disperate armi in mano all'avvocato degli italiani, come si è definito il giorno dell'insediamento. «Siccome prenderemo la scelta migliore per i cittadini, ovviamente il governo non rischia. Mi batterò perché non sia trascurato alcun aspetto per una decisione corretta». Le intenzioni sembrano esserci tutte, ma se si sposta lo sguardo di poco e si apprende della lapidaria sentenza del sottosegretario 5S alla Presidenza del Consiglio, Stefano Buffagni, che dice che «se bisogna andare a casa perché noi non vogliamo buttare soldi per opere vecchie, io non vedo il problema», più che una magia servirà un miracolo.
di Alessandro Leproux
Comments