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Da una triste vicenda giudiziaria un imprenditore racconta un Paese vittima del copia e incolla



L’arroganza del potere, la superficialità della burocrazia, la propensione a considerare i cittadini sudditi - e sudditi sempre e comunque infidi - la giustizia ridotta a utile del più forte, il disinteresse per la vita della persone: eccoli gli ingredienti de “La sconcertante epoca del copia & incolla”, il libro di Roberto Gentilini edito dalla casa editrice Pendragon, nelle librerie da poche settimane. Un volume snello eppure denso, che con una formula narrativa che combina sapientemente realtà e fantasia, racconta le disavventure occorse all’autore e ci consegna la vicenda esemplare e paradigmatica di un paese dove l’albero della libertà fatica a mettere radici. Gentilini è un imprenditore.


La sua società, la Attico Soa è una società di attestazione - autorizzata dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione alla cui guida c’è Raffaelle Cantone – che ha come mission quella di verificare l'esistenza nei soggetti esecutori di lavori pubblici degli elementi di qualificazione. Il 12 marzo del 2014 la vita di Gentilini, della sua famiglia e dei 31 dipendenti della sua impresa viene travolta e stravolta dalla Guardia di Finanza che contesta all’imprenditore di essere a capo di un’organizzazione delinquenziale volta ad attestare aziende che avevano acquisito rami d'azienda ritenuti fittizi. Ad oggi il processo a Gentilini e ad alcuni dei suoi più stretti collaboratori non è nemmeno iniziato. Di più, «non c’è nemmeno l’udienza preliminare» precisa l’autore. Ci sono voluti tre anni e tre mesi di attesa per avere notizie sul responso derivato dalle perquisizioni e i sequestri. 1190 giorni. In compenso circa un anno fa l’Attico Soa si è vista ritirare dall’Anac l’autorizzazione ad operare. Praticamente la ragione sociale dell’azienda è precluso. Gli si toglie l’ossigeno. In questi anni d’inferno è stato tutto un susseguirsi di ricorsi al Tar e poi al Consiglio di Stato – che, nell’agosto del 2018 “considerato il grave ed irreparabile pregiudizio che il provvedimento impugnato è in grado di produrre nei confronti della società appellante, per la decisione dell’Anac” ha riconosciuto il diritto dell’azienda ad operare in attesa del processo– e poi, ancora sentenze del Tar che ribaltano quelle del Consiglio di Stato, in una processione dolorosa tra uffici, studi legali, carte bollate e avvisi di garanzia. Dei 31 dipendenti, tutti assunti con contratto a tempo indeterminato, ci tiene a precisare l’autore, ne è rimasto oggi solo uno. «Nacquero – è scritto nel libro, ed è la parte di “fantasia”! - novelli Torquemada, che nel semplice sospetto, o in un’ipotetica accusa, vedevano già la prova. E rifuggendo la sola idea di un plausibile dubbio, pronunciavano condanne. E poco importava se quella convinzione si sarebbe rivelata poi infondata, la sentenza emessa non prevedeva ripensamenti, era degradante ammettere d’aver sbagliato». E di sbagli racconta l’autore a “Spraynews”, ce ne sono parecchi nella sua storia. Falle macroscopiche che avrebbero dovuto indurre l’Anac a una maggiore cautela. Gentilini è un uomo paziente e anche fiducioso, è un uomo ottimista e perbene. Negli anni in cui le cose per l’azienda andavano bene ha utilizzato parte degli utili per costruire tre scuole in Kenya e formare tutor locali. Lo ha fatto perché «lo ritenevo giusto, perché bisogna restituire un po’ di quel che si è avuto».


Sperava, anzi era convinto, che se si fosse trovato a spiegare la sua vicenda a Raffaele Cantone, il presidente dell’Anac, sicuramente la questione si sarebbe risolta. Che in lui avrebbe trovato orecchie sensibili. E di cose che non tornano in questa storia ce ne sono parecchie. Come per esempio intercettazioni telefoniche in cui si fa confusione tra Gentilini e il figlio. Come il voler prendere per “mazzette” quello che altro non erano che il compenso imposto dalla legge per gli oneri derivanti dal lavoro di attestazione. Come, è qui siamo al marchiano proprio, verificare che «la maggioranza delle accuse contenute negli atti del procedimento non erano quelle presenti nell'informativa che riguardava l'Attico Soa, ma un altro procedimento relativo ad un'altra Soa condannata precedentemente». Gentilini era convinto che «grazie a Cantone avrebbero tolto la pistola che era puntata alla nostra tempia» e invece, «nonostante un’apparente disponibilità», alla fine Cantone non fa che confermare quanto deciso dalla funzionaria che aveva istruito la pratica sull’Attico Soa. «Ero fiducioso nei confronti di Cantone poi mi sono dovuto ricredere. Nulla è cambiato, se non una forma più rispettosa, rispetto a quello che io ho sempre considerato un accanimento nei nostri confronti».

Gentilini è un uomo paziente, ma anche uno con la schiena dritta. E se vede un torto non sta a guardare quanti galloni ha sul petto chi lo ha commesso. Ha preso carte e penna e ha denunciato l’Anac. Bel coraggio, gli diciamo. «Che vuole che le dica, quando non ti lasciano altra scelta…».


Il perché del titolo del libro, “La sconcertante epoca del copia & incolla” è presto detto: «L’Anac ha preso per buona una indagine fatta dalla Guardia di Finanza. Avrebbe dovuto, è nei suoi poteri, fare una sua indagine, invece si è limitata a fare il copia e incolla dalla indagine delle Fiamme Gialle». Il copia e incolla, è un abito mentale. «Nel copia e incolla – dice Gentilini - identifico la crisi culturale che attanaglia il Paese. Nel copia e incolla vedo la irresponsabilità, la leggerezza, l’arroganza, il delirio di onnipotenza di un certo tipo di persone, incapaci di riconoscere gli errori fatti». Il copia incolla «è il modus operandi di chi vuole risolvere presto e subito anche a costo di sbagliare, incurante delle conseguenze che può creare agli altri». È stata questa la molla che ha spinto l’imprenditore di 72 anni a denunciare l’Anac alla procura della Repubblica e che poi lo ha spinto a mettersi davanti ad una pagina bianca per raccontare la sua storia. La molla «è stato l’amore per la verità. Quando ho visto la dignità della gente del Lazio, la dignità di una azienda sana, quando ho visto l’amarezza composta dei miei dipendenti, il loro amore per il lavoro e per la società ho deciso che dovevo provare a raccontare». Facciamo notare che toccare l’Anac può apparire un atto di lesa maestà, ma come? L’organismo che ci tutela dal malaffare! Gentilini replica che «la corruzione si combatte dando il buon esempio. Non ci si rende conto che proprio il proliferare di leggi spesso inutili e contorte a favorire la corruzione. Non si vuol capire che corruzione è anche svolgere il proprio lavoro con superficialità, senza la dovuta perizia, carente di attenzione verso l’utenza».


Ma quando arriverà il processo lei potrà dimostrare tutte le incongruenze di quell’indagine, proviamo a dire. «Quando arriverà il processo – sorride amaramente Gentilini – la società sarà bella che morta. Morta, sì non esagero, perché delle 1400 aziende che si rivolgevano a noi per l’attestazione 1300 sono già passate ad altri operatori. E siamo pure in tempo di recessione…. Risollevarsi sarà un’impresa ai limiti dell’impossibile». Ci sono similitudini in questa brutta vicenda. Viene da pensare ad Enzo Tortora, all’agendina sequestrata a casa di un camorrista su cui inquirenti frettolosi vedono, vogliono vedere, il nome del presentatore. E glielo diciamo. Però la risposta di Bertolini ci stupisce. «Il mio caso, la mia posizione – fatte le debite proporzioni - forse è più vicina a quella del caso Cucchi. Quando 10 anni fa Ilaria Cucchi fece vedere a tutta Italia la foto del fratello capimmo tutti al volo che quel poveretto era stato ammazzato di botte. Quella donna coraggiosa non ha esitato un attimo a scontrarsi con le istituzioni più forti d’Italia. Alla fine la verità è venuta fuori. Ci sono voluti 10 anni, ma alla fine la verità ha fatto piazza pulita del muro di omertà e delle menzogne del potere».


di Giampiero Cazzato

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