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Dall'Ecofin il monito perché «Tria faccia retromarcia sulla manovra». Conte: «L'Euro non si tocca»



Un nuovo richiamo ufficiale all'Italia perché «torni indietro» sul deficit al 2,4% è arrivato dalla seduta dell'Ecofin, la formazione del Consiglio dell'Unione Europea composta dai ministri dell'Economia dei Paesi della zona Euro. Il richiamo è giunto dalla presidenza di turno, quella austriaca, nella persona di Hartwig Loger ed aveva il tono burbero del rimprovero. «Abbiamo regole comuni e mi aspetto che Giovanni Tria, dopo tutti i bilaterali di ieri, sia pronto a rafforzare la discussione anche a livello italiano». Preoccupazione, scetticismo non sembrano abbandonare il dibattito in corso nelle sedi istituzionali europee, totalizzato dalla decisione italiana di operare in rottura col regime di austerity che ha caratterizzato gli ultimi due decenni. «Teniamo conto», ha poi proseguito Loger «che è il 15 ottobre la data in cui si può decidere in che direzione si può reagire». Il 15 del corrente mese sarà infatti il termine ultimo in cui l'Italia dovrà consegnare la documentazione relativa alla manovra fiscale agli organi competenti e solo allora l'Ue formulerà un parere tecnico e privo del fattore aprioristico che sembra guidare il giudizio di chi è schierato dalla parte dei Domobrovskis e dei Moscovici.


Mentre Tria è alle prese con i colleghi europei, anche se oggi è tornato a Roma per definire la stesura del Def e ha affidato al direttore generale del ministero di via XX Settembre Alessandro Rivera il gradito compito di presenziare all'Eurogruppo in sua vece, il premier Giuseppe Conte è alle prese con il dibattito interno, non meno feroce, con le opposizioni schierate all'assalto contro il provvedimento economico partorito dalle due ali di governo. E se le rassicurazioni mirano a tenere buoni i mercati e a non far vacillare un elettorato sempre volatile e pronto ad abbandonare la barca che affonda, Conte si ritrova nello sgradito ruolo di dover tappare falle e raddrizzare discorsi scaturiti da chi dovrebbe stare dalla sua stessa parte delle barricate: ne è un esempio la dichiarazione odierna, a Radio Anch'io, del presidente della Commissione Bilancio della Camera, il leghista Claudio Borghi, che ha fatto tremare la terra sotto i piedi quando ha asserito che «l'Italia, con una sua moneta, sarebbe in grado di risolvere gran parte dei suoi problemi, ma non tutti». Un'uscita che definire fuori tempo è riduttivo e che ha costretto la macchina della comunicazione di Palazzo Chigi all'immediata rettifica. «L'Italia è un Paese fondatore dell'Unione Europea e dell'Unione Monetaria e ci tengo a ribadirlo: l'euro è la nostra moneta ed è per noi irrinunciabile», la replica quasi immediata del premier, che ha poi toccato anche l'argomento legge di bilancio tentando di estendere l'imbonimento anche all'Europa: «Noi rispettiamo le nostre prerogative sovrane e rispettiamo altresì le istituzioni dell'Unione Europea che abbiamo contribuito a fondare e che rimane la nostra casa comune. Ci avviamo a dialogare con le istituzioni europee con serenità e rispetto dei ruoli, fiduciosi di poter dimostrare, carte alla mano, la bontà del lavoro sin qui fatto».


Di tutt'altro avviso il capo politico grillino Luigi Di Maio, che almeno in campo europeo può togliere la toga dell'arbitro, senza preoccuparsi di tenere insieme i lembi del governo, e tirare dritto per la sua strada: «Qualcuno sta sperando che su questa manovra il governo italiano stia tornando indietro. Ma noi sul deficit/Pil al 2,4% fino al 2021 non arretriamo di un millimetro e se ce ne sarà bisogno spiegheremo la manovra sulle piazze». Insomma, servirebbe un Tria dalle due facce per accontentarli tutti. E se Di Maio va per la sua strada, l'altro attore protagonista della stagione gialloverde si lancia a tutta velocità in un frontale contro il fronte compatto dei vertici europei, in particolare contro le dichiarazioni del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, arrivando a prospettare una richiesta di «danni a chi vuole il male dell'Italia», dopo aver accusato «i burocrati europei» di aver causato la salita dello spread e la reazione isterica dei mercati.



di Alessandro Leproux

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