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Dalla Francia che sfora il 3% nuove speranze per la manovra italiana


"Buscar el levante por el poniente": senza nessun riguardo per i terrapiattisti, che mai avrebbero voltato le spalle alla loro meta per raggiungerla come fece Cristoforo Colombo, questa frase viene spesso utilizzata per far capire come per raggiungere un risultato occorra comportarsi come non si dovrebbe. È quello che tenta di fare la Francia, portando il suo deficit al 3,4 per cento, ben al di fuori delle regole europee.

Complici i week-end di distruzione e "revolution" dei gilet gialli, il governo Macron propone misure che allarmano l'esecutivo europeo, che già aveva destato allarma a Bruxelles per la non coincidenza con gli obiettivi concordati, ma che così rischia di deragliare totalmente dai binari europei.


Il palazzo dell'Eliseo a Parigi

Le misure che dovrebbero entrare in vigore a gennaio, da primi calcoli sommari e senza approfondimenti, sembra costino tra gli 8 e i 10 miliardi di euro, con l'annullamento della maggiorazione dei contributi per i pensionati che vale fino a 2 miliardi, 3 per la defiscalizzazione degli straordinari, 1 per quella dei bonus e 4 per l'eliminazione delle tasse sui carburanti. Un peggioramento del debito fino a mezzo punto percentuale, e con una disoccupazione di lungo periodo che raggiunge il 3,8 per cento, secondo solo a greci, spagnoli e italiani.

Come al solito la lotta è tra l'Eliseo che crede che le sue misure possano avere un effetto espansivo, spingendo in alto il Pil, e la Commissione europea, che pensa che Macron potrebbe fare di più e spinge perché ciò accada.

L'effetto della politica economica francese, che guarda ai problemi sociali più che a quelli economici, è quello di spostare l'attenzione del vicepresidente Ue Valdis Dombrovskis e del commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, figure ormai ben note a tutti in Italia, sul bilancio transalpino.

Il cammino della manovra francese sembra un po' quello nostrano, con la presentazione all'Europa che aveva causato non pochi dubbi, l'Eliseo che respingeva le rampogne europee e la classica letterina da Bruxelles che invitava a prendere le necessarie misure perché il bilancio 2019 sia compatibile con il Patto di stabilità e di crescita e per accelerare la riduzione del rapporto debito/Pil.

Fin qui la Francia, che a questo punto rischia anch'essa la procedura di disavanzo eccessivo, si mile a quella che si prospetta per il Belpaese senza i cambiamenti richiesti dalla coppia Junker-Moscovici. Qui però il gioco si fa interessante: i due Paesi potrebbero ognuno utilizzare la situazione dell'altro per cercare di avere richieste europee meno dure.


L'appuntamento di oggi pomeriggio tra il capo del governo europeo, Junker, e il nostro premier Giuseppe Conte, sarà tutto politico, si chiederà all'Europa di condividere una visione meno rigorista verso i conti pubblici italiani, e non è comunque l'ultima spiaggia, la decisione sulla procedura d'infrazione sarà presa solo il 21 gennaio, e presentando una proposta di deficit vicina al 2 per cento è possibile che, anche guardando alla Francia, Bruxelles non possa dire di no. Luigi di Maio e Matteo Salvini peraltro sono uniti nel considerare che le regole valgono per tutti e che sarebbe inaccettabile un comportamento diverso tra Parigi e Roma.

Considerando poi che a maggio si rinnova il Parlamento europeo, giovedì l'appuntamento con i capi di stato e di governo è sempre più impervio. A meno che l'influenza dei Paesi falchi, Olanda in testa, non porti a un irrigidimento di tutto l'Eurogruppo verso l'applicazione intransigente delle regole. Ma questo è tutto ancora da vedere.


di Paolo dal Dosso

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