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Immagine del redattorespraynews2018

Dallo scasso mal riuscito alle carceri in Cina: tutto il mondo è paese e odia l'informazione libera


Il portone della redazione di Spraynews

Il vile attacco subito la notte scorsa dalla redazione romana di Spraynews, la nostra giovane realtà che cerca di raccontare il mondo senza spintarelle o indirizzi di sorta, con quella ingenua spregiudicatezza tipica delle creature smaliziate che, in mancanza di esperienza, possono contare solo sull'arrembante spinta dell'entusiasmo, pone alla luce dei lettori alcune questioni che ciclicamente si ripropongono e che, mai risolte e adeguatamente sviscerate, serpeggiano nel substrato della realtà mediatica non soltanto italiana. Il primo paradosso ci spinge a sperare che il tentativo di effrazione del portone al primo piano del palazzo di via degli Uffici del Vicario, maldestra operazione per altro non riuscita, fosse soltanto il fallimento di un furfante alle prime armi che, noncurante della centralità del luogo, letteralmente circondato da carabinieri in garitta a presidio dei palazzi del potere, abbia cercato fortuna rimpinzandosi di computer, televisioni e macchinette del caffè. Speriamo, appunto, perché l'altra ipotesi, quella più sinistra ed oscura, si identifica con un chiaro tentativo di intimidazione nei confronti di una giovanissima redazione, colpevole senza dubbio di svolgere il proprio lavoro con passione e puntualità, senza guardare in faccia a potenti e intoccabili di sorta. Se questa versione fosse confermata, quello che alla fine dei conti è soltanto il danneggiamento di un portone in un palazzo storico del centro capitolino, rischierebbe di naufragare in ambiti da regime. Forse qualche esclusiva pubblicata dal giornale, corredata da foto, nomi e cognomi, ha smosso sin troppo le emozioni di qualcuno? Di sicuro un affronto simile, in piena violazione dei principi costituzionali di libertà di stampa e di espressione, non solo non ha represso la nostra volontà di raccontare ed essere cristallini con i lettori, ma ci ha confermato che la strada intrapresa, benché irta di ostacoli più o meno leciti, è quella giusta. Nell'epoca delle fake news, della post verità, dei misteri irrisolti e dei vasi mai scoperchiati, il giornalismo deve essere, continuare ad essere linfa vitale per i nostri cervelli. Informarsi adeguatamente, attingendo da quante più fonti possibili, col fine di costruire un'opinione degna di tale nome, è ormai un dovere civico. Nell'epoca dei siti e "sitarelli" che spuntano nel web come funghi dopo l'acquazzone, l'informazione, quella con la "i" maiuscola, deve far fronte comune, barricarsi, resistere, non cedere. Nemmeno di fronte a leggi insensate come la riforma dell'editoria caldeggiata dal duo Di Maio Crimi, quella che vuole togliere il terreno sotto ai piedi a tante realtà che la raccontano giornalmente, con sacrificio, la Realtà che ci circonda. Attaccare oggi l'informazione significa attentare alla memoria di ciò che è stato, significa tranciare di netto la portata della visuale globale dei lettori di oggi. Significa cavargli gli occhi sul mondo e lasciarli in preda alla verità unificata e codificata di chi ha ben altre mire che rendere autosufficienti, e quindi liberi, i lettori. Provare a forzare la porta di una redazione è violare un terreno sacro, è svilire il lavoro di chi tutti i giorni cammina su un campo minato, conscio che aprire certe porte, far correre voci ingabbiate in lugubri corridoi da cui non dovrebbero mai uscire, è combattere ogni giorno contro un nemico invisibile, e per questo più potente, che vorrebbe filtrare e controllare l'opinione altrui.



E se questo già penoso scenario applicabile al nostro deturpato Belpaese si ferma, almeno per ora, e speriamo per sempre, ad atti vili di terrorismo "gestuale", senza per fortuna ripercussioni su giornalisti e repoter, la situazione altrove, ampliando il raggio d'azione al globo intero, racconta di realtà aimé molto più drastiche, cruente, insensate, che hanno tutte per denominatore comune l'odio verso l'informazione, quella libera. Dopo tre anni di calo, lo scorso chiusosi con 65 decessi, il 2018 ha segnato un aumento vertiginoso del numero di giornalisti morti in nome della professione, in tutte le parti del mondo. Stando al rapporto di Repoters sans frontières, l'ong parigina che si erge a tutela e presidio della libertà di stampa, solo quest'anno 80 giornalisti (63 professionisti, 13 non professionisti e 4 collaboratori televisivi) hanno perso la vita durante la loro missione al servizio dell'informazione. Il Paese che detiene questo infame record è l'Afghanistan, con 15 decessi, seguito a ruota da Siria (11), Messico (9) e Yemen (8). Desta scalpore il numero 6 affiancato agli Stati Uniti, patria delle contraddizioni, in cui al sacro e inviolabile diritto di esprimersi, caposaldo made in Usa, corrisponde l'altrettanto inviolabile diritto ad armarsi, che fa del Paese più guardato al mondo un'autentica polveriera, un far west di cittadini meglio vestiti ma ugualmente e tristemente armati. Rsf parla di violenza «senza precedenti» contro l'intera categoria, alimentata, laddove per "esigenze" politiche da tiranni e sanguinari dittatori, laddove da politiche apparentemente democratiche, fatte di continui attacchi e colpi bassi alla professione. Un odio crescente e che in dieci anni ha causato la morte di oltre 700 persone. Come se non bastasse, è in crescita anche il numero di giornalisti detenuti in carcere per reprimere le loro idee, spesso conflittuali con le politiche totalitarie dei regimi in cui tentano di operare. Qui il primato assoluto se lo aggiudica la Cina coi suoi 60 detenuti d'eccezione, seguita da Egitto (38) e Turchia (33), tutte carceri, quelle mediorientali, sovraffollate dopo i golpe (o presunti tali) che hanno interessato le nazioni.

Dai più efferati crimini violenti, ai tentativi di censura più o meno espliciti, ovunque nel mondo sembra essere in corso una guerra senza esclusione di colpi contro chi non si rassegna a farsi bastare un'unica voce. E mentre il Grande Fratello osserva e, silenzioso e letale, colpisce le sue vittime cucendogli la bocca o strappandogli la lingua, fin tanto che un gruppo, anche se sparuto, di stoici individui continuerà a tenere alto e ben visibile lo stendardo della libertà di espressione e fin tanto che le trombe delle voci pluraliste, diverse, anche contrarie e in contraddizione tra loro, continueranno ad ergersi al di sopra di queste barriere, l'informazione sopravviverà e con essa la possibilità per i lettori, che poi saremmo tutti noi, di continuare a spingere per un mondo che davvero tuteli e rispetti chi, anche a costo della vita stessa, è ogni giorno in strada per raccontare quello che qualcuno non vorrebbe fosse di dominio comune.


di Alessandro Leproux

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