Deficit al 2,4% per tre anni o soltanto per il 2019? Attorno a questo dilemma si è acceso l'ennesimo scontro politico che vede da una parte il fronte governativo, capeggiato dal duo Di Maio-Salvini, e dall'altra, per semplificazione, il resto del mondo, ovvero quella schiera mista, per appartenenze ideologiche, contraria alla manovra fiscale prodotta dal governo gialloverde. E mentre i due vicepremier confezionano per la platea eccezionali arringhe sulle prese di posizione da mantenere, sul coraggio di una manovra in rottura con la tendenza degli ultimi anni e con il fermo proposito di rispettare gli accordi insiti nel contratto stilato con gli italiani, la possibilità che il deficit diminuisca già a partire dal 2020 cresce di ora in ora. Per quanto si dicano impermeabili alle reazioni dei mercati così come ai moniti provenienti da Bruxelles, i due vicepremier stanno cedendo terreno per non vedersi sfuggire la sedia da sotto il tavolo e con molta arte diplomatica tengono a galla una doppia visione, da fornire all'occorrenza all'uno o all'altro interlocutore, il tutto in nome di un'immagine salda e ferma che non faccia trasparire dubbi e incertezze legati a una situazione tanto delicata.
«Il 2,4% del rapporto deficit/Pil solo per un anno? Lo abbiamo sempre detto. Quest'anno volevamo una manovra coraggiosa per mantenere almeno una parte degli impegni sacrosanti presi con gli italiani. È una manovra coraggiosa, le minacce che arrivano dall'Europa non mi sfiorano. L'anno prossimo debito e deficit scenderanno». Questa l'ultima uscita televisiva di Matteo Salvini, a conferma di un dietrofront che, seppur ben nascosto dietro ai toni forti ormai consueti nel dibattito politico italiano, c'è stato eccome. «Nessuna resa», sottolinea comunque il capo del Viminale, «lo abbiamo sempre detto: il nostro obiettivo è far calare deficit e soprattutto debito».
In linea col collega si inserisce anche l'altro vicepremier e capo politico dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, che parla di «deficit al 2,4% per il 2019, e poi si vedrà», prima di aggiungere che «noi non taglieremo nulla alle spese sociali, questo deve essere chiaro. E soprattutto, il 2,4% nasce proprio dall'esigenza di tenere i conti in ordine su questi obiettivi». Insomma la volontà sembra la stessa e condivisa da ambo i lati, seppure, sino alla pubblicazione del Def, non sarà possibile conoscere i dettagli di quegli investimenti che dovrebbero contribuire ad abbassare il debito e a tranquillizzare gli investitori internazionali.
Dettagli che dovrebbero scaturire dal vertice previsto per quest'oggi a Palazzo Chigi in cui la maggioranza dovrebbe ultimare la nota di aggiornamento del Def prima di portarla in Aula.
Per quanto riguarda il provvedimento principe, tra quelli stigmatizzati dall'opposizione, il reddito di cittadinanza, il titolare del Mise Di Maio specifica che non sarà erogato su un'apposita card così da permettere «la tracciabilità» e non consentire «evasioni o spese immorali».
E mentre si discute su scala nazionale, lo scontro coi vertici europei resta su toni decisamente aspri, al limite dell'offesa. Se ieri Salvini aveva apostrofato il presidente della Commissione Ue Juncker, affermando di discutere «solo con chi è sobrio», anche oggi il capo del Carroccio ha tenuto sul punto e rincarato la dose, invitando a cercare su Google «'Juncker sobrio' o 'barcollante', vedrete immagini a volte impressionanti». Insomma, un diverbio discostato dal piano politico e caratterizzato da attacchi personali, a cui per ora il lussemburghese non ha voluto dare seguito. Più cauto Di Maio, che se dice di non sentirsela di rimproverare il collega suo pari, altresì indica il dialogo con le istituzioni europee come unica modalità per uscire dallo scetticismo che ammanta il provvedimento economico italiano e che finirà sulle scrivanie di Bruxelles non oltre il 15 ottobre. «La trattativa in Europa sulla legge di bilancio è molto lunga. Dobbiamo spiegare bene quali sono i nostri obiettivi. Però dev'esser chiaro che se le dichiarazioni contro l'Italia sono alimentate da pregiudizi e non da discussioni sul merito della manovra, allora ci dicano se vale la pena andarne a discutere a Bruxelles».
di Alessandro Leproux
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