Soldi in cambio di documenti per ottenere il permesso di soggiorno. È il giro scoperto nella Capitale dalla Guardia di finanza tra alcuni funzionari del Comune di Roma ritenuti “infedeli” e un’organizzazione di bengalesi. Il gruppo si sarebbe avvalso della consulenza del titolare (anche lui del Bangladesh) di una società “da revisori contabili” per gli aspetti fiscali, della complicità di italiani proprietari di case per le dichiarazioni (fasulle) di contratti di affitto o di comodato d’uso e perfino di un vigile urbano non ancora identificato per le attestazioni di residenza. In tutto, 13 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere, corruzione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso. Oggi sono scattati i primi provvedimenti. I militari del Nucleo speciale polizia valutaria hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla Procura di Roma e ottenuta dal giudice Anna Maria Gavoni del Tribunale di Roma. Bilancio: quattro indagati in carcere, sei agli arresti domiciliari, tre con l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria.
Le indagini dei finanzieri hanno documentato l’attività del gruppo nell’arco di tempo che va da gennaio ad aprile di quest’anno. Al vertice della presunta associazione per delinquere un bengalese di 29 anni, A. H., considerato capo di otto collaboratori suoi connazionali e capace di stabilire legami con alcuni funzionari pubblici inseriti al posto giusto nella macchina amministrativa comunale. In pratica, si parla di tre figure strategiche nell’organico del V Municipio – ora ai domiciliari – le cui competenze territoriali vanno dalle zone di Tor Pignattara a quella di Casetta Mistica, passando per Casilino, Centocelle e Tor Sapienza, comprendendo una abbondante fetta dell’affollata periferia est di Roma. In dettaglio, nelle 76 pagine dell’ordinanza si spiega com’è nata l’inchiesta: dallo stralcio di un altro accertamento avviato per un ipotetico riciclaggio di denaro nel quale è finita una strana intercettazione tra il bengalese e un’addetta della Circoscrizione. Si tratta di A.A., 53 anni, funzionario istruttore, già dell’Ufficio demografico, sospettata di aver lavorato per i bengalesi anche dopo il trasferimento in altra sede. Ma non è finita. Chiamata dopo chiamata, i militari sono arrivati a coinvolgere anche un’altra collega del V Municipio, A. L., 64 anni, con lo stesso incarico della prima. E poi un ultimo dipendente ancora, S. T., cinquantanovenne, addetto all'Accoglienza e alla vigilanza sull'accesso alle prenotazioni per le pratiche di rilascio di certificati e al rilascio di prenotazioni per appuntamenti con i funzionari istruttori.
Secondo il Gip, i prezzi dell’operazione variavano. L’“agenzia di fatto“ gestita dagli stranieri applicava un tariffario che andava dagli 80 agli 800 euro, pagati in contanti o attraverso Postpay. I suoi compiti: reclutare la clientela, seguire gli appuntamenti col Municipio, ritirare i certificati di residenza, offrire consulenza fiscale per accensione e cessazione di partite Iva e rilascio di dichiarazioni fittizie, trovare i proprietari compiacenti di immobili da utilizzare per la messinscena, a Casal Monastero e Tor de’ Schiavi. Qui – spiegano gli investigatori – un appartamento una volta è stato affittato a 17 extracomunitari e un’altra a 32.
Stando sempre alle carte del giudice, i dipendenti comunali sotto accusa per ogni pratica avrebbero incassato dai 50 ai 100 euro fornendo certificati di residenza falsi o prenotazioni in bianco per appuntamenti chiesti avanzando motivi di urgenza inesistenti. Diverse le consegne di documenti comunali che sarebbero avvenute in un bar di viale Palmiro Togliatti, a Roma. Secondo l’inchiesta, gli indagati erano talmente sicuri di sé che venivano pagati dai bengalesi con denaro contante consegnato direttamente negli uffici del Municipio.
Al momento, gli stranieri “regolarizzati” non sono risultati responsabili di azioni criminali o inseriti in contesti “a rischio”. I permessi di soggiorno sarebbero serviti per garantire loro il soggiorno in Italia e poterli inserire in una delle tante attività economiche gestite da bengalesi a Roma. E gli asiatici sono pochi. Al 31 dicembre 2018, nella Capitale la loro comunità conta 139.953 residenti, preceduta solo da quella dei romeni al primo posto e dei filippini.
di Fabio Di Chio
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