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Doha per due giorni capitale dei diritti umani, urgente una legislazione per prevenire le violazioni



Si è conclusa il 15 aprile a Doha, capitale del stato del Qatar, realtà socio-economica tra le più dinamiche di tutta l'area medio-orientale, una importante conferenza internazionale sui diritti umani. Per due intese giornate oltre duecento partecipanti, tra esperti giuridici specializzati nel campo del “diritto dei conflitti armati” e membri di organizzazioni non governative provenienti da tutto il mondo, hanno affrontato le principali tematiche inerenti i complessi meccanismi utilizzati per indentificare alcuni tra i reati più gravi perseguiti dal diritto internazionale, partendo innanzitutto dalle diverse fattispecie inquadrabili come crimini di guerra, stupri di massa e deportamenti di popolazioni, incluso l'atto più atroce in assoluto, quello maggiormente divisivo e controverso per la dottrina giuridica internazionalista: il genocidio. La guerra in Siria e nello Yemen erano in cima alle agende di quasi tutti gli oratori intervenuti e lo stesso presidente del Comitato nazionale per i diritti umani (NHRC) del Qatar, Ali bin Smaikh al Marri, durante la sessione di apertura tenutasi presso l'hotel Ritz-Carlton, ha sottolineato che la conferenza si sta svolgendo in un momento molto difficile, con crescenti tensioni a livello internazionale, ribadendo che vi è un'urgente necessità di sostenere i diritti delle vittime attraverso una più adeguata legislazione che attivi meccanismi per prevenirne le numerose violazioni. "Questa conferenza è la prima del suo genere nella regione, e riflette la forte volontà del Qatar di stabilire la pace e fornire un risarcimento alle vittime ovunque esse siano".


Principale compito dei partecipanti è stato rilevare quanto possa essere migliorato nella normativa attualmente vigente, cercando di intervenire prioritariamente sia sulla tutela delle vittime che, specularmente, su come t rendere più efficaci le procedure d'imputazione per portare davanti ai tribunali competenti i responsabile dei reati in questione.

Di pari importanza l'invito rivolto agli Stati a includere il terrorismo e il blocco delle persone come crimini contro l'umanità nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale dell'anno 1998, modificando l'articolo 121 del suo Statuto. Tra le illustri personalità personalità che hanno preso parte ai lavori, spicca l'intervento di Michelle Bachelet, ex presidente del Cile, e dal 1 settembre 2018 Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani: "Le società che subiscono conflitti o si trovano ad affrontare regimi autoritari devono ascoltare le richieste delle vittime, dei più deboli ... Mentre il cammino verso la giustizia può essere irto di sfide, rimane indispensabile per ogni società guarire veramente le profonde ferite del passato. Diverse esperienze hanno dimostrato che senza giustizia, la pace rimane un'illusione. Affermare che bisogna sempre e comunque partire dall'accertamento delle responsabilità e contrastare l'impunità sono i presupposti per una pace sostenibile".

Il presidente della sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, Antonio Panzeri, sulla stessa linea ha affermato che l'istituzione del principio di responsabilità va inteso come il pilastro centrale dell'architettura della giustizia internazionale, dichiarandiosi convinto che sarà il fattore più importante per vincere la lotta all'impunità per gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario. “La comunità internazionale ha bisogno di un rinnovato senso di vigore e unità per guidare la lotta contro l'impunità in questi tempi preoccupanti per tutta l'umanità” ha aggiunto al termine del suo discorso, tra i più apprezzati da parte dei dipomatici del vecchio continente presenti.


I gruppi di lavoro hanno sviluppato numerose idee avviando la discussione con un approccio comparativo sulle esperienze belliche avvenute in Siria, Rohingya o Ruanda.

Molte le raccomandazioni emerse e tutte volte a promuovere l'accesso alle vittime dei diritti fondamentali con particolare attenzione, alle donne e bambini. I partecipanti hanno sottolineato più volte la necessità di sviluppare un elenco nazionale di indennizzi per le vittime, nonché della sua diffusione conseguente un deciso rafforzamento della cooperazione internazionale in questo settore. Altro aspetto molto dibattuto è stato la trasparenza tra Stati nell'accesso alle informazioni, per uno sforzo comune che sia finalizzato alla creazione di un ambiente idoneo ed appropriato per la condivisone di tutte le notizie giuridicamente rilevanti all'interno della comunità internazionale. Le raccomandazioni rivolte agli Stati includevano anche la necessità di istituire piattaforme globali, regionali e locali che consentano alle vittime di raccontare la loro storia al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica su questi temi, nonché a fornire supporto informativo multilingue alle vittime su come ottenere una giustia compensazione. Oltre a promuovere l'accesso alle informazioni attraverso la "giustizia riparativa" ed incrementare la formazione di commissioni per la ricerca verità , elemento essenziale per qualsiasi forma di riconciliazione tra le parti di un conflitto, ancor di più se non avente carattere internazionale ossia tra gruppi armati presenti nello stesso Stato, è stata riaffermata con forza quella che va considerata una premessa obbligatoria, troppo spesso nel recente passato dimenticata: bisogna adattarsi ai diversi contesti culturali oggetto d'investigazione con strumenti interpretativi propri di tale realtà socio-politica e non esterni(e perciò estranei) alle popolazioni interessate.


Infine, non poteva mancare tra gli argomenti affronati, il tema che ha acceso di più gli animi anche in altre conferenze multilaterali: l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura internazionale, troppo spesso giudicata come sottomessa alle pressioni politiche o agli ordini del giorno di questo o di quello governo, soprattuto nel caso delle maggiori potenze militari che attualmente sono coinvolte direttamente su più scenari, spostando poi, inevitabilmente, la discussione a quanto accade nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, tra uso (ed abuso) da parte dei cinque membri permanenti aventi diritto di veto. Simon Adams, direttore esecutivo del “Global Center for Protection Responsibility”, proprio in tal senso ha ribadito che l'impunità è una delle cause principali della violenza e dei crimine di guerra, in quanto la mancanza di condanna dei responsabili è contagiosa per gli altri a commettere gli stessi crimini, un vero e proprio “incentivo al male”. Adams ha rilevato la necessità di sforzi concertati a livello internazionale per evitare che tali incidenti si ripetano, come accaduto in Siria, dove il regime siriano ha lanciato attacchi chimici sui civili nel 2013 e non è stato minimamente perseguito per tale il crimine, fatto ripetutosi nuovamente per ben sei volte visto l'assenza di alcun deterrente. Ha anche invitato gli Stati Uniti e il Regno Unito a smettere di vendere armi alle parti in lotta tra loro nello Yemen, in quanto sono stati documentati molteplici crimini di guerra. L'idea di dar vita ad un osservatorio di monitoraggio dell'applicazione dei diritti umani è stata presentata con l'obiettivo di implementare efficacacemente tutte le raccomandazioni che hanno trovato più ampia condivisone, confermando il prossimo appuntamento al 2020 per misurare i progressi compiuti. Verrà dunque ricordata questa occaasione come il momento in cui si è finalmente passati dalle parole ai fatti? Chi scrive ha forti dubbi a riguardo ma, comunque sia, appare di tutta evidenza che il tempo delle buone intenzioni è scaduto da tempo.


di Luigi Amoroso

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