Il ricorso dell’On. Vittorio Sgarbi alla Corte Costituzionale. La sentenza del tribunale di Reggio Emilia. Si ingrossano le fila di chi rileva l’illegittimità di uno o più decreti emessi durante l’emergenza Covid. Ma l’iter sarà ancora lungo e diversi gli organi da sentire.
Come annunciato lo scorso 1º marzo da Spraynews.it, il 10 marzo si è celebrata presso la Corte Costituzionale l’udienza per stabilire l’ammissibilità del conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, contestato dall’On. Vittorio Sgarbi al Governo della Repubblica Italiana – nella persona dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – in occasione dei numerosi DPCM emessi a partire dal 25 febbraio 2020 in concomitanza con l’emergenza Coronavirus. Nel ricorso depositato da Sgarbi, frutto della collaborazione con gli avvocati Alessandro Fusillo e Giampaolo Cicconi, si configura l’appropriazione da parte dell’esecutivo di mansioni legislative che possono e devono essere prerogativa esclusiva del Parlamento. Mentre si attende una comunicazione a riguardo (alla Camera di Consiglio non sono stati ammessi gli avvocati difensori, pertanto è giocoforza aspettare i relativi aggiornamenti sul sito cortecostituzionale.it), è giunta notizia di una sentenza (la 54/2021) emessa lo scorso 21 gennaio dal dott. Dario De Luca, GUP del Tribunale di Reggio Emilia, pure essa riguardante i DPCM della pandemia, nella fattispecie quello dell’8 marzo 2020, disapplicandolo sulla base dell’art. 5 L. 2248 del 1865. Allegato E (detta “Legge sul Contenzioso amministrativo”). Il reato contestato dal Pubblico Ministero era la falsa dichiarazione resa ai Carabinieri di Correggio (RE) dai due imputati G. M. e C. D., i quali essendo stati fermati fuori dalla loro abitazione durante il lockdown nazionale di un anno fa scrissero nell’autocertificazione rispettivamente di doversi sottoporre a esami clinici e di aver accompagnato G. M. a tal scopo. Circostanza di cui successivamente si appurò la falsità. Ebbene, il GUP De Luca ha prosciolto entrambi gli imputati con la motivazione che il DPCM in questione era di “indiscutibile illegittimità” in quanto stabiliva “un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare”, laddove la restrizione della libertà personale può essere adottata esclusivamente da un giudice penale. Diversamente si entra nel campo dell’incostituzionalità, e a nulla varrebbe l’appellarsi alle costituzionali restrizioni della libertà di circolazione, in quanto imporre divieti di spostamento riguardanti le persone è cosa ben diversa da vietare di raggiungere luoghi pericolosi. De Luca ricorda nella sua sentenza che la Corte Costituzionale in passato ha già ritenuto configuranti una simile restrizione casi più sfumati quali il “prelievo ematico” (sentenza n. 238 del 1996), le modalità di applicazione del DASPO e l’accompagnamento coattivo alla frontiera di uno straniero. Il falso ideologico prodotto da G. M. e C. D. nelle loro autocertificazioni non sarebbe pertanto punibile, in quanto la stessa autocertificazione prevista dal DPCM sarebbe un documento incompatibile con lo stato di diritto del nostro Paese. La domanda che sorge spontanea è quanto sia verosimile alla luce di tutto questo l’annullamento di tutte le contravvenzioni emesse per situazioni analoghe. Per dare una risposta bisognerà aspettare l’iter successivo della sentenza, che potrebbe essere ribaltata negli ulteriori gradi di giudizio. Ovvero in sede di Corte d’Appello e di Cassazione per la conferma definitva della disapplicazione nel caso di specie, mentre la decisione sull’annullamento in assoluto del DPCM sarebbe competenza del TAR. È evidente la coerenza di fondo tra la sentenza emessa da De Luca e il ricorso di Sgarbi, il parere del GUP di Reggio è però che l’annullamento del DPCM dell’8 marzo 2020 non debba nemmeno passare necessariamente per la Corte Costituzionale, in quanto si tratterebbe semplicemente di un atto amministrativo. Come d’altronde aveva già rilevato il Tribunale di Roma con l’ordinanza del 16 dicembre 2020, dove si evidenziava che i Dpcm a seguito della pandemia sarebbero illegittimi per difetto di motivazione (col continuo rinvio ad altri atti amministrativi) e per violazione di legge (restringendo libertà fondamentali della persona). Un parere, questo, in linea anche con quanto affermato dai Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale Antonio Baldassarre, Annibale Marini e Sabino Cassese.
di Alberto Gerosa
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