Enrico Michetti: «Per amministrare serve competenza, basta “uno vale uno”. Il programma? È già chiaro. E con Mou e Sarri...»
Il dubbio, prima di iniziare l’intervista è come chiamarlo: professore o avvocato? «Sono un cittadino. Che parla con tutti e che ha mantenuto la propria abitazione nella strada dove è nato». È una novità ma non è un novellino Enrico Michetti, da cinquantacinque anni di stanza nel quartiere di Monteverde nuovo – non esattamente fra i luoghi più chic della Capitale – e da quattro giorni candidato sindaco del centrodestra per Roma. Docente universitario, esperto amministrativista (ribattezzato «il Mr.Wolf dei sindaci»), fondatore della Gazzetta amministrativa ma anche rodatissimo speaker nazional-popolare di Radio Radio. È lui il soggetto civico e outsider, individuato da Meloni e condiviso al tavolo da Salvini e Tajani, su cui il centrodestra ritrovato ha puntato le fiches – con l’ausilio del giudice Simonetta Matone – per tentare il colpaccio nella sfida più importante di ottobre contro i giallo-fucsia.
Michetti, sarà ancora un oggetto semi-misterioso ma un mezzo miracolo lo ha già compiuto: la “pax romana” fra i leader del centrodestra sulla sua candidatura.
«Questo mi lusinga moltissimo. È raro trovare una coalizione così ampia che sostenga un candidato civico. Farlo per la sfida che riguarda Roma, con tutto quello che rappresenta – un unicum nella storia del mondo cui dovremmo restituire il ruolo di Caput mundi – è un fatto politico, nel senso più alto del termine. Di questo ringrazio Giorgia Meloni – colei che mi ha presentato a tutta la coalizione – e con lei Matteo Salvini, Antonio Tajani, Giovanni Toti, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa. Tutto il centrodestra nella sua versione più vasta che ha deciso di sostenere me e una donna di grande esperienza come la dottoressa Simonetta Matone. Senza dimenticare un alleato e terzo elemento del tris: quel vulcano di Vittorio Sgarbi…».
Erano mesi che Salvini, Meloni e Tajani non condividevano lo stesso palco e sulla Capitale si rischiava una riedizione delle divisioni del 2016. Lei invece ha messo d’accordo tutti e tre: come ha fatto?
«Non è merito mio. Credo che sia stata una prova di maturità dell’intera coalizione. Era naturale che vi fosse una discussione per trovare la migliore soluzione amministrativa. Ciò fa parte del confronto fra gli alleati. Alla fine è emerso questo “ticket” che corrisponde a due persone che conoscono bene Roma, la sua complessa macchina e i suoi problemi. Persone che non pensavano fino a due settimane fa di poter essere chiamate in causa. E invece il riconoscimento del lavoro svolto e la chiamata sono arrivati dagli stessi partiti. A dimostrazione della maturità di questa componente politica».
Ha sentito Virginia Raggi? «Ne mettono insieme tre per farne uno». Ce l’ha proprio con Michetti, il suo pro-sindaco Matone e Sgarbi. Lei è garbatissimo con gli altri sfidanti: ma che opinione ha del sindaco grillino?
«Sono i cittadini di Roma a dover dare una risposta, non i candidati. I candidati devono fare del loro meglio per offrire soluzioni ai cittadini. Detto ciò, tutti quanti abbiamo davanti agli occhi come è stata e come viene amministrata Roma. Non mi interessano queste schermaglie: rispondo sui programmi e sul futuro».
La stampa di sinistra si sta già scatenando sul suo passato: si citano inchieste della Corte dei Conti sugli affidamenti di alcuni suoi servizi agli enti pubblici.
«Non ho nessuna verifica da parte della Corte dei conti! Sono notizie che non mi riguardano».
Sulla sua uscita radiofonica a proposito del saluto romano in tempi di Covid si è scatenata la paranoica caccia alle streghe.
(Ride) «Ho solo spiegato cosa fosse: quando Cesare passava in rassegna le sue truppe lo faceva con la mano aperta e le falangi ben distanziate. E la mano aperta significava venire in segno di pace. Parlavo di questo: la mia era un’analisi tecnico-storica del saluto. Poi erano i primi mesi della pandemia e mi si chiedeva “ma rispetto alla stretta di mano come lo definirebbe”? Io ho semplicemente risposto: più igienico, non c’è contatto. Anche la scienza potrebbe convenire sul saluto che si faceva nell’antica Roma».
A proposito di scienza. Ha dovuto dimostrare la sua adesione alla campagna vaccinale: anche qui è stato tirato per la giacchetta.
«Mi sono vaccinato consapevolmente. Però rispetto chiunque abbia un’opinione diversa dalla mia».
Si è chiesto perché tanta ironia dai critici su Michetti “radio tribuno”?
«È il complimento più grande che mi si possa fare. Il tribuno della plebe era sacro e inviolabile. Ed era il vero rappresentante del popolo».
Questo lo ha già detto…
«Aggiungo una cosa: chi ha fatto la prima riforma agraria, la riforma più importante dell’epoca repubblicana? I Gracchi. Caio e Tiberio riuscirono a dare all’ager publicus una definizione che potesse fornire occasione e lavoro alle categorie meno abbienti, con un disegno di equa distribuzione del territorio di Roma che prima era appannaggio dei potenti e dei senatori che possedevano il latifondo. Una riforma compiuta da due tribuni della plebe, appunto. Riuscire a fare oggi un centesimo di ciò che hanno fatto i Gracchi significherebbe conquistarsi un piccolo posto nella storia».
A Roma ha solo l’imbarazzo della scelta. L’emergenza è una e trina: rifiuti, trasporti, degrado.
«Partiamo dall’igiene urbana. Occorrerà spingere sulla raccolta differenziata, oggi indietro su tutti i parametri. Ciò non è nulla se non si predispongono gli impianti per il riutilizzo, il riciclo, il riuso: che significa mettere in cantiere tutto quel ciclo virtuoso che trasforma il rifiuto in prodotto. Ma per questo servono gli impianti, la pianificazione: che vuol dire trovare le aree, polverizzandoli su tutto il territorio. E poi devono “arrivare” i trasporti, come dicono i romani: occorre implementare il trasporto collettivo. Ossia nuove metropolitane, non solo su carta, e il prolungamento della metro in superficie. Infine attenzione alla sicurezza. Non solo davanti i “biglietti da visita”, le stazioni oggi terra di nessuno, ma piazza su piazza. Occorre portare il centro in periferia».
A proposito di centro. Oltre l’etere, per governare davvero, dovrà conquistare anche la famosa Ztl: l’ultimo avamposto del Pd.
«Io ho un progetto per la città. Mi stanno a cuore le periferie, la zona sub-urbana, il centro di Roma. L’interesse collettivo non si può fare per classi o per categorie. E gli abitanti del centro non debbo lusingarli con delle promesse ad personam ma assicurando rioni storici puliti, ordinati, fruibili. Perché del centro di Roma deve godere tutta la città».
Con il suo algoritmo “Pitagora” ha un asso nella manica per governare...
«È un progetto di ricerca. Un sistema che affianca a ogni comune un comune “virtuale” di pari dimensione e che passa al vaglio tutta la spesa. L’obiettivo è evitare tagli orizzontali ed evidenziare solo dove quel comune ha una spesa fuori controllo. È un sistema utilizzato da tante amministrazioni, è entrato nelle trattative stato-regione per l’autonomia differenziata, in particolare con il Veneto. È un progetto che ha avuto notevoli riscontri. Ne terremo conto anche noi».
Con il pro-sindaco Simonetta Matone come prevedete di dividervi gli eventuali compiti?
«Sono a servizio di Simonetta e delle sue notevoli competenze! Se è vero che il sindaco è un allenatore, farò di tutto per mettere nelle migliori condizioni i miei bomber. Nel suo caso parliamo di una figura top nel campo dei diritti e del sociale».
A Vittorio Sgarbi assegnerete la delega ai «miracoli»?
«Nel suo settore è quasi imbattibile. Li farà».
Nella Capitale il calcio è una religione civile con le sue confessioni. Adesso sono arrivati due “profeti” di nome Mourihno e Sarri. Che cosa prenderà da loro due?
«Sapere che due allenatori e uomini di calcio e concetto sono a capo di Lazio e Roma mi riempie il cuore di gioia. Svolgiamo due attività diverse. Difficilmente gli schemi del calcio si adattano alle procedure amministrative di un ente pubblico. Ma possiamo lavorare insieme dando ognuno il meglio. Con un “segreto”: lasciare all’estro la possibilità di poter creare qualcosa di nuovo. Che per quanto mi riguarda attiene alla buona amministrazione, mentre per quanto concerne Mourinho e Sarri corrisponderà al bel gioco e alla soddisfazione di tutti i romani».
Roberto Gualtieri le ha dedicato polemicamente “Bella Ciao” a cui lei ha risposto con l’Inno di Mame[1]li. E pensare che ci aspettavamo l’Inno a Roma.
«Quando vengono messe in campo vicende nazionali si risponde con l’inno della patria».
Si dice che Roma sia ingovernabile. La speranza del centrodestra è che sia un civico a dimostrare il contrario. Che responsabilità…
«Ne sono consapevole. Roma è complessa e per governarla – politico o civico – serve competenza. Proprio ciò che pensiamo di poter dimostrare archiviando la stagione dell’uno vale uno: non fosse altro perché anche loro hanno fatto marcia indietro su questo. Purtroppo non siamo tutti Leonardo Da Vinci».
Fra qualche giorno potrà dire a chi ha criticato la sua indicazione che non è più uno “sconosciuto”...
«Questa è una rappresentazione della realtà. Facevo una professione che affiancava il funzionario pubblico nelle procedure complesse. Un lavo[1]ro che non dà grande visibilità a cui ho accompagnato un’attività di divulgatore civico in radio. Ciò mi ha per[1]messo di essere stimato da tanti cittadini e di ottenere la fiducia da parte dei vertici dei partiti. La cosa mi ha lusingato ed è così che parte l’esperienza di un candidato sindaco».
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