Constanter et non trepide. Ancora in via di risoluzione la vicenda che vede la nave italiana della Guardia costiera Diciotti da ieri ormeggiata al molo Levante del porto di Catania. L'ennesima epopea estiva, fatta di rimbalzi, rifiuti, dichiarazioni che si susseguono senza sosta e di lunghi stalli. Dopo i quattro giorni in rada a Lampedusa sembrava essere finalmente l'ora di sbarcare per i 177 migranti a bordo dello scafo italiano, al centro di una diatriba internazionale che, nemmeno a dirlo, vede Malta e l'Italia nuovamente in contrasto. Dopo l'ok di ieri sera arrivato dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, che acconsentiva alla Diciotti di attraccare (e sbarcare?) a Catania, è arrivato il secco e deciso stop del capo del Viminale Matteo Salvini. Nessuno sbarco fino a quando la richiesta lanciata domenica scorsa dal ministro degli Esteri Moavero Milanesi non sarà accolta, e cioè quella di tradurre ancora una volta in realtà la equa ripartizione del carico umano tra i Paesi dell'Ue. Una questione di buon senso e di ferma convinzione, quella del leader del Carroccio, che non intende arretrare di un millimetro dalla sua posizione di intransigenza, conscio che il semplice allentamento della presa, anche dal punto di vista mediatico, corrisponderebbe a una parziale rinuncia della politica messa in atto sin dalle prime battute di questo governo sul tema dei flussi migratori. Un arretramento che coinciderebbe con una sconfitta, tanto rumore per nulla, uno scenario che Salvini rigetta con forza.
In attesa del difficile accordo con i partner europei, vista anche la reggenza austriaca della semestrale Ue affidata al giovane Sebastian Kurz, le cui posizioni ricalcano se non addirittura superano in oltranzismo quelle del vicepremier leghista e il cui diktat resta quello di non aprire alcun corridoio verso le nazioni continentali per i migranti sbarcati nei Paesi rivieraschi e provenienti dall'Africa, ufficialmente la Diciotti risulta a Catania per uno scalo tecnico, dunque per rifornimenti di viveri, acqua e medicinali. La realtà, più probabilmente, vede l'imbarcazione al centro di un braccio di ferro sia tra Italia e Bruxelles, esternamente, sia tra il Viminale e gli esponenti meno "radicali" del governo gialloverde, più favorevoli all'accoglienza e inclini all'apertura dei porti almeno per quanto riguarda le navi italiane protagoniste di salvataggi in mare.
Nonostante i numerosi appelli, non ultimo quello della portavoce della Unhcr Carlotta Sani, che invita allo sbarco immediato di «persone a bordo hanno subito abusi, torture, sono vittime di tratta e traffico di esseri umani», la situazione resta bloccata e soltanto un intervento di un deus ex machina, forse riconducibile alla figura del Capo dello Stato, o un'improbabile inversione di rotta del ministro degli Interni, potranno definitivamente dare dei contorni alla chiusura dell'ennesima odissea estiva dei migranti nel Mediterraneo. E mentre l'Europa, passiva spettatrice, forse ancora sotto l'ombrellone a sognare scenari più miti, nell'incapacità di trovare realmente soluzioni pragmatiche e che vedano tradursi in realtà quella solidarietà e collaborazione che dovrebbe essere linfa vitale della Comunità stessa e non fastidiosa zavorra, latita e non dà segni di vita, gli sbarchi proseguono senza sosta e l'emergenza resta. Sia a bordo della Diciotti che a largo, dove gli occhi miopi di Bruxelles non vogliono vedere.
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