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Europee: analisi del voto, non solo buone notizie , per il Pd, anzi...



Detto che il Pd eleggere 18/19 europarlamentari (erano 31 quelli eletti dal Pd nel 2014) e che, quindi, perderà il primato di primo gruppo europeo del Pse, vanno fatte alcune osservazioni sul suo risultato elettorale. Le facciamo con l'ausilio di alcuni istituti di sondaggi (Swg eYou Trend) e le serie storiche del voto.

“Nel tracollo dei grillini - che subiscono un travaso di voti verso la Lega e, in parte minore, verso il Pd (4%) – c’è anche, in parte, il buon risultato dem”, spiega un analisi del voto condotta dall’istituto demoscopico Swg oggi. Il Pd recupera, passando dal 18,7 al 22,7%: guadagna voti dai 5 Stelle (7%), da Leu(6%) e dall’astensionismo (10%), ma nonostante il buon risultato ottenuto, il Pd perde circa 114 mila voti rispetto al 2018. Per quanto riguarda l’affermazione sul territorio, il Pd cresce solo a Nord Est, mentre cala nelle altre aree, si legge nell’analisi di Swg. Tra i quarantenni, i Millennials e i neo-votanti, il Pd recupera, ma più che altro ‘tiene’ il voto di anziani e ultrasessantenni.

L’analisi di Swg e You Trend sui primi flussi elettorali

“Sorprendente nel modus, ma non inaspettato di per sé è il risultato del Pd” secondo, invece, l’analisi di You Trend. “Di certo si sapeva - e i sondaggi lo avevano previsto - che il Pd avrebbe fatto meglio del disastroso risultato delle Politiche 2018. Molti osservatori avevano giudicato probabile anche un sorpasso nei confronti del M5S. Ma, ancora una volta, a sorprendere è stata la misura di questo sorpasso. In questo caso, più che a una ‘overperformance’ del Pd rispetto ai sondaggi della vigilia, questa sorpresa è dovuta al dato molto deludente di M5s.

E per il partito di Zingaretti i dati positivi vengono soprattutto dalle città: in questo senso viene ribadita - e anzi si rafforza ulteriormente - la natura del Pd come “partito delle ZTL”, molto forte nelle città più popolose e soprattutto nei quartieri centrali e meno periferici. Tra le regioni, il Pd conserva la palma di primo partito solo in Toscana, ma è primo partito a Roma, Milano, Torino, Firenze, Genova, Cagliari, Bergamo, e molti altri ancora. Certo, i democratici hanno perso - e non di poco - la palma di primo partito d’Italia (e d’Europa), conquistata alleEuropee di 5 anni fa, ma possono dire di aver invertito la tendenza e aver ripreso a crescere sul 2018.

Il tracollo delle forze minori a sinistra del Pd

“Che dire invece delle forze minori di centrosinistra, al centro e a sinistra del Pd?” si chiede sempre You Trend. Cominciamo da Più Europa, che, anche stavolta, sia pure in un’arena teoricamente congeniale (le elezioni europee) non riesce a superare la soglia di sbarramento. Il rifiuto di formare una lista unica con il Pd - come suggerito dal manifesto “Siamo Europei” promosso da Carlo Calenda - ha finito così per dividere le forze degli europeisti italiani, come era facilmente prevedibile alla vigilia. Stesso discorso potrebbe farsi per le forze più di sinistra, come Europa Verde e La Sinistra, che messi insieme raggiungono il 4%, ma singolarmente (2,3% e1,75%rispettivamente) rimangono molto al di sotto della soglia e non eleggono alcun rappresentante.

La storica incapacità della sinistra di presentare un’offerta politica unitaria per evitare di disperdere le forze a vantaggio degli avversari trova in queste Europee un’ennesima, clamorosa conferma.

I numeri reali dovrebbero far preoccupare il Pd...

Ma se si guardano i numeri reali, cioè i voti assoluti, le cose per il Pd non sono positive. Infatti, il 22,7% vuol dire ‘solo’ 6.086.879 voti. Il confronto, sempre con i voti assoluti, rispetto a tutte le elezioni precedenti è impietoso. Nel 2014, infatti, i voti assoluti, che portarono il Pd di Renzi al 40,8%, furono 11.203.231. Certo, era un’era geologica fa. Ma pure il confronto con le Europee del 2009 è impietoso. Infatti, il Pd prese, allora, 7.999.476 voti (in percentuale era il 26,12%) e, allora, dopo le dimissioni di Walter Veltroni, era guidato dal suo vice di allora, Dario Franceschini, definito il ‘vice-disastro’, all’epoca, dai suoi avversari, a partire dai 5Stelle, peraltro. E se, ovviamente, il confronto con le Politiche è improprio, a causa della sensibile differenza con l’affluenza al voto (sempre più alta, alle Politiche, e di circa 20 punti in più), è anche vero che il Pd di Zingaretti non ‘regge’ il confronto neppure con quelle. Per dire, il 18,7% preso da Renzi nel 2018 (il dato elettorale più basso nell’intera storia del centrosinistra dal dopoguerra in poi, con l’eccezione dell’esordio del Pds di Occhetto nel 1994, il 16,1%) voleva dire, sul piano dei numeri assoluti, 6.134.727 voti reali, quindi +100 mila rispetto ad oggi.

Se poi si considera che, allora, erano presenti, fuori dal Pd, due piccole liste alleate (Insieme, lista dei prodiani e Civica-Popolare di Lorenzin, il cui totale assommava a 7.480.806 voti) e che, rispetto ad allora, Mdp-Articolo 1, allora dentro LeU, ha candidato suoi esponenti dentro le liste del Pd, portando in dote al Pd circa l’1% dei voti, balza all’occhio che quella del Pd di Zingaretti è una vittoria di Pirro.

Impietoso anche il raffronto con le Politiche del 2013 quando il Pd guidato da Pierluigi Bersani prese 8.644.187 voti e, come coalizione Italia Bene Comune (con Cd di Tabacci e SeL di Vendola) ne prese ben 10.047.603 (25,4% il Pd, 29,9% la coalizione). Per non dire delle Politiche del 2008quando il Pd guidato da Walter Veltroni prese il 33,1%dei voti (12.095.306 i voti reali). Insomma, il Pd ha ben poco da gioire e molto da riflettere.


di Ettore Maria Colombo

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