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Fabrizio Cicchitto a Il Riformista: Bravo Renzi, ma è Mattarella il vero deus ex machina.



Alcune considerazioni preliminari. Nelle legislature 2013 e 2018 Renzi, nel bene e nel male per sé e per gli altri, ha svolto fi no ad oggi un ruolo determinante. Ha portato se stesso e il Pd al 40% alle elezioni europee del 2014 e poi è crollato al 18% alle politiche del 2018. Ha corretto il tragico errore di Berlusconi nel 2013 che fu quello di uscire dal governo di Enrico Letta che egli stesso aveva fatto nascere e lo ha recuperato attraverso Verdini col patto del Nazareno. Poi entrambi, Berlusconi e Renzi, si sono suicidati contrapponendosi sull’elezione del presidente della Repubblica e quindi sul referendum. Malgrado questo percorso così a zig-zag e così accidentato anche successivamente Renzi ha avuto due guizzi decisivi, in entrambi i casi rimediando a gravissimi errori commessi dal segretario del Pd Zingaretti. Quando l’8 agosto 2019 Salvini, al massimo della sua popolarità, mise in crisi il governo giallo-verde avendo già in tasca il consenso di Zingaretti per le elezioni anticipate, Renzi fece la mossa del cavallo e propose l’alleanza fra il Pd e i grillini: risvegliandosi dal loro torpore tutti i padri della patria del Pd (Prodi, D’Alema, Veltroni) intimarono a Zingaretti di darsi una mossa e di bloccare col governo giallo-rosso la resistibile ascesa di “Arturo” Salvini. Dopodiché, a parte tutte le vicende successive assai complicate e contraddittorie, esplosa la pandemia e realizzato il lockdown di tre mesi, cioè da marzo a maggio, poi da ottobre a gennaio il governo Conte-bis è risultato avere l’encefalogramma piatto. Sulla pandemia, con migliaia di contagiati giornalieri e 90.000 morti, nella sostanza ha fallito clamorosamente: basta leggere il libro di Luca Ricolfi La notte delle ninfee per capire perché. Sulla politica economica ha fatto pasticci. Una serie di questioni sono rimaste tutte bloccate (Alitalia, ex Ilva, concessioni autostradali, destino del Monte dei Paschi di Siena, intesa Fincantieri-STX). La situazione è risultata combinata così perché da un lato Gualtieri è risultato bravissimo nel trattare e nel mediare con l’Europa, ma incapace di gestire realmente il ministero del Tesoro e specialmente di fare i conti con Conte. Infatti, da settembre in poi una sola cosa è emersa da parte del governo nel suo complesso: il folle disegno di Conte di conquistare da solo i pieni poteri, prescindendo da tutto e da tutti, certamente dal Pd, in parte dallo stesso Movimento 5 stelle. Così, usando Arcuri come unico soggetto operativo, Conte ha messo sotto il suo esclusivo controllo l’approvvigionamento del materiale sanitario in tutte le sue voci (mascherine, tamponi, vaccini anti-Covid); attraverso Vecchione ha preso il pieno controllo dei Servizi nel quadro di una gestione assai personale della politica estera (vedi i rapporti speciali con Trump); avendo sostanzialmente estromesso Gualtieri, Conte ha anche cercato di gestire in modo del tutto personale perfino il Recovery Plan progettando una governance con 6 manager dotati di pieni poteri (ma i pieni poteri autentici erano i suoi) e avendo stilato un progetto del tutto ridicolo. Così l’Italia nel suo complesso, mentre infuria la pandemia e si accentua la recessione, si è venuta a trovare in condizioni insieme grottesche e drammatiche. Ciò è avvenuto perché in tutti questi mesi Zingaretti non è mai intervenuto per richiamare Conte a una gestione collegiale. Di conseguenza Renzi va ringraziato da tutti (e non criminalizzato come ha fatto il gruppo dirigente del Pd) per aver tirato fuori l’Italia dalla melma prima contestando tutte le cose dissennate che Conte stava facendo su questioni essenziali e poi facendo saltare il governo. In mezzo a tutto ciò c’è stato lo spettacolo indecente offerto da Conte, da Casalino, dal Fatto che hanno trasformato il Senato in un suk con la piena copertura del Pd, non sapendo neanche portare a compimento i loro traffici. Perché la segreteria del Pd è stata inerte per diversi mesi e ha concesso a Conte i pieni poteri? Le ragioni di fondo sono due, una strategica, l’altra invece riguardante la gestione pratica del potere in questo paese. Sul terreno strategico una parte dei post-comunisti, guidati da Zingaretti e ispirati da Bettini, stavano (e stanno tuttora) progettando l’unità fra il Pd, il M5s e Leu per la costruzione di una sorta di una nuova sinistra dagli orientamenti radicali, una sorta di paradossale rivisitazione dell’ingraismo dove i grillini prendono il posto della sinistra cattolica. In questo disegno Conte, con la sua duttilità, fortemente impregnata di trasformismo, svolgeva (e dovrebbe svolgere tuttora) un ruolo fondamentale, per cui non andava disturbato per la sua gestione del governo e del potere. Del resto alle spalle di tutto ciò si stava ricoagulando la “vecchia ditta”, da D’Alema a Bersani. Senonché, grazie anche a questa gestione opaca e tecnicamente sprovveduta del governo, l’Italia, malgrado il suo proclamato europeismo e il ruolo positivo svolto a Bruxelles da Paolo Gentiloni, ha rischiato (e tuttora sta rischiando) di andare a sbattere su tutta la linea, dalla gestione della pandemia, a quella dell’economia, a quella delle provvidenze provenienti dall’Europa che non possono essere tradotte in mini progetti pieni di bonus e di assistenzialismo da quattro soldi. Quindi Renzi ha svolto un fondamentale ruolo di rottura, ma egli non sarebbe bastato a modificare una situazione fortemente pregiudicata. Tutta la “vecchia ditta” e il nuovo sistema di potere messo in piedi da Conte hanno puntato sul fatto che comunque, per cautela e per quieto vivere, la presidenza della Repubblica avrebbe dato l’incarico a Conte. Invece va dato atto a Mattarella di aver capito tutto: o l’Italia fa un salto di qualità ricorrendo a tutte le energie tecniche e politiche in campo, o affonda. Di qui la scelta di Draghi, cioè di un uomo al di fuori delle bande italiane, ma che combina insieme cultura politica e cultura economica, che può chiamare in campo tutte le migliori competenze e anche costringere-spingere-sollecitare-invitare tutte le forze politiche a dare il meglio di sé. Ciò vale sia per gli imprevedibili grillini, alcuni dei quali (ad esempio Di Maio, Patuanelli, Buffagni) stanno cercando di acquisire una versione riformista dell’originario populismo, mentre altri invece stanno letteralmente impazzendo. È interessante anche quello che il mandato a Draghi ha provocato nella Lega. In tutti questi anni Salvini ha puntato a una dilagazione della Lega al Sud aggregando il peggio del peggio e condendo il tutto con l’ideologismo antieuro di Bagnai e di Borghi. Di fronte al cambiamento di paradigma indotto dall’incarico a Draghi ciò che c’è di serio nella Lega e ancor di più intorno alla Lega, cioè i ceti produttivi del Nord, si è fatto sentire e ha spiegato a Salvini che “o adesso o mai più”. Per parte sua, da tempo Berlusconi aveva intuito che quella di Draghi e di un governo dei migliori era la strada maestra, ma egli è purtroppo appesantito e condizionato all’interno di Forza Italia dai servi sciocchi di Salvini che seguendolo stupidamente sulle sue posizioni più sgangherate (il trumpismo, il razzismo, l’antieuropeismo, il recupero del peggio che c’è nel Sud) non gli hanno mai neanche fatto un buon servizio. Infi ne il mandato a Draghi e le scelte politiche-programmatiche conseguenti pongono dei problemi molto seri al Pd. Finora i dem, a causa del progetto di Bettini e di Zingaretti, sono stati del tutto subalterni a Conte e in parte anche ai grillini. Adesso è indispensabile che, se esistono ancora, i riformisti del Pd battano un colpo: è fondamentale che Draghi sia aiutato e sostenuto da una componente genuinamente riformista ed europeista. Comunque grazie a Mattarella l’Italia è stata messa nelle condizioni di giocare al meglio un’occasione storica al di là delle formule schematiche. Su questo ha fatto una giusta riflessione anche Stefano Fassina. Siccome è sempre decisivo ciò che scrisse un marxista del primo Novecento, cioè Plechanov in La funzione della personalità nella storia allora non è un caso se a gestire a suo tempo il piano Marshall fu Alcide De Gasperi e adesso a gestire il Recovery Plan è stato chiamato Draghi. In questo quadro a nostro avviso Giorgia Meloni fa una scommessa tutta in negativo che rischia di ricacciare indietro Fratelli d’Italia ai tempi dell’Msi. Una scelta politica quindi criticabile, ma quello che ha scritto su di lei l’altro giorno La Stampa è semplicemente disgustoso ed è ancor più disgustoso il fatto che non è scattata per lei la solidarietà derivante non dal fatto che è una donna, ma invece dall’imperativo categorico costituito dal fatto che nessuno, uomo o donna che sia, va attaccato sul piano personale e familiare per le sue scelte politiche.

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