Ad Atreju troppi messaggi sbagliati su Letta e il Colle L’errore più grande è criticare lo stato d’emergenza
In questi mesi la scena mediatica è stata dominata anche da giudizi del tutto bislacchi rimpallati fra gli opposti schieramenti. Qualche mese fa, a ottobre, dopo alcune ore di stupefazione, fu possibile capire quello che era davvero successo quando la sede della Cgil fu assaltata e devastata da alcuni centinaia di estremisti fascisti e no vax. Un nucleo di fascisti di quart’ordine (Fiore, Castellino) avevano beffato il ministro dell’Interno Lamorgese, il prefetto, il questore di Roma e alcuni dirigenti della Digos e, violando accordi peraltro dissennati, avevano preso di sorpresa le forze dell’ordine e avevano preso d’assalto la Cgil che peraltro il suo attuale segretario Landini, diversamente dai suoi predecessori, aveva lasciato sguarnita di domenica. In una situazione normale il ministro degli Interni si sarebbe dovuto dimettere. Non così nell’Italia di oggi. Sembrò, però, che il fascismo fosse alle porte, per cui, in violazione del divieto di manifestazione alla vigilia delle elezioni amministrative sabato 16 ottobre fu fatta a Roma una manifestazione antifascista con la partecipazione di tutti i dirigenti del Pd, LeU e Verdi. Poi, grazie anche a una successiva trasmissione di Formigli, furono messi nel mirino Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia. Fior di pensatori discettavano sulla stretta contiguità fra Fratelli d’Italia, Forza Nuova e l’estremismo nero in tutte le sue varianti. Poi quando scese in campo Formigli con i suoi grotteschi infiltrati da tre anni nell’organizzazione milanese di FdI in breve essa fu descritta come una variante in peggio dell’Msi e Giorgia Meloni come la versione femminile di Rauti. Poi è passato del tempo. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, anche per i loro errori rovinosi nella scelta del candidato, hanno perso le elezioni di Roma e quasi tutto è finito nel dimenticatoio. Il fascismo non era più alle porte, gli omologhi di Italo Balbo, di Farinacci e di Dumini non stavano più dominando le piazze. Poi divenuto evidente che, ai fini della partita per il Quirinale e alla articolazione e anzi alla disarticolazione degli schieramenti, era conveniente per tutti che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia venissero considerati con rispetto ed attenzione come un soggetto politico autonomo, autonomo anche da Berlusconi e da Salvini, a quel punto il giudizio formulato fra ottobre e novembre è stato del tutto rovesciato. D’altra parte, per parte sua, Draghi ha trattato sempre Giorgia Meloni e FdI con tutta l’attenzione richiesta dal fatto che si trattava dell’unica forza di opposizione. Così si è arrivati ad Atreju, manifestazione organizzata da sempre prima come dibattito interno al centrodestra, quindi aperto anche ad altri. Questa volta il dibattito è stato aperto a tutti «gli altri» e così Giorgia Meloni è rapidamente diventata una sorta di Madame de Stael della terza repubblica. È mancato solo, ma forse ciò è avvenuto per una sfasatura temporale, che venisse anche invitata a gestire il premio Strega. In sostanza, si è passati da un estremo all’altro a testimonianza che l’effimero è l’elemento determinante di questi tempi. A dir la verità a rompere un po’ l’idillio è stata la stessa Meloni con il suo discorso finale. Probabilmente l’effetto della beatificazione di cui era stata oggetto aveva messo in una qualche difficoltà psicologica una parte della base di militanti di Fratelli d’Italia che hanno una forte propensione identitaria. Ciò ha spinto Giorgia Meloni ad alzare la voce, ma in termini talora assai discutibili. Non ci riferiamo alla richiesta di un presidente della Repubblica «patriota» perché specialmente Ciampi, che ha recuperato tutto un tradizionale patrimonio di tipo nazionale dai suoi predecessori pudicamente sommerso, risponderebbe proprio a questo requisito. Anche il Pertini evocato da Enrico Letta rientra in questa categoria. Piuttosto dove a nostro avviso la Meloni ha del tutto sbagliato è stato in una battuta personale e in giudizio politico. Quando ha detto che Enrico Letta è il «Casalino di Macron» francamente ha avuto una autentica caduta di stile. Dove invece Giorgia Meloni ha detto una cosa del tutto inaccettabile è stato quando ha rivolto al suo pubblico questo interrogativo: «Una dose, due dosi, tre dosi? Ma siamo sempre all’emergenza?». Non scherziamo: le tre dosi, purtroppo, non sono un capriccio del governo, ma sono rese indispensabili dal fatto che l’esperienza ha dimostrato che le prime due dosi di vaccino sono molto importanti, ma dopo sei mesi diminuiscono la loro copertura. Purtroppo poi l’emergenza è imposta in tutto il mondo dall’arrivo di una nuova variante dal Sudafrica di nome omicron. Allora, cosa fa su questo nodo decisivo Giorgia Meloni? Riprende a civettare, insieme a Salvini, con i no vax? Si tratta di una linea sbagliata in sé e per sé, ma anche rovinosa dal punto di vista politico ed elettorale. Il vaccino non è né di destra, né di centro, né di sinistra, ma un salvavita. Come tale lo hanno proposto tutti gli scienziati senza eccezione alcuna e lo hanno considerato più dell’80% degli italiani. Stare in compagnia contro il green pass con Cacciari, un filosofo confusionario e snob, non giova molto alla credibilità di Giorgia Meloni. Inoltre, come hanno dimostrato anche le recenti elezioni amministrative, le scelte fatte sia dalla Meloni che da Salvini hanno consegnato a Enrico Letta la possibilità di presentarsi come colui che sostiene in modo pieno e rigoroso il vaccino. Di conseguenza quindi da ottobre ad oggi siamo stati davanti ad una incredibile oscillazione di giudizi andati tutti da un estremo all’altro. A rimanere però fermo e coerente su alcuni punti di fondo è stato Draghi. Il banchiere può piacere o meno, ma è come ha dimostrato anche la riunione del Consiglio europeo di ieri, un punto di riferimento fondamentale per la credibilità dell’Italia. Ciò vale a nostro avviso a seconda delle scelte di Mattarella sia per la presidenza del Consiglio, sia per la presidenza della Repubblica.
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