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Fabrizio Cicchitto a 'Libero': Ci vuole Freud per spiegare l’ultimo scandalo giustizia



“Caro Direttore, abbiamo l’impressione che nella vicenda riguardante la loggia Ungheria, i corvi, e quant’altro, stia emergendo anche un sorprendente filone di stampo freudiano. Certamente quella che si suol chiamare la “magistratura associata” (cioè quella costituita dalle correnti e che attraverso il Csm gestisce in modo ferreo la carriera dei circa 9 mila magistrati di base, come ci ha ben spiegato il libro Il sistema di Palamara e Sallusti), in questi giorni sta rimpiangendo con calde lacrime Silvio Berlusconi e i tempi in cui egli svolgeva il ruolo di nemico pubblico numero 1 che unificava larga parte della magistratura, che contro di lui esercitava con andamenti esponenziali l’azione penale: non c’era bisogno di invocare la cosiddetta obbligatorietà nell’esercizio di essa perché si trattava piuttosto di un autentico godimento solo di un gradino più tenue rispetto al piacere erotico più sfrenato. Adesso, privati del fattore mobilitante ed euforizzante costituito da Berlusconi, quando si è prospettata l’ipotesi della cosiddetta loggia Ungheria, per alcuni magistrati di vertice il bersaglio è risultato molto meno eccitante, in primo luogo perché a guardar le cose in controluce non si tratta certo di una loggia (la povera massoneria ufficiale ha già smentito qualunque appartenenza) ma di una lobby, che certo può essere una spiritosa invenzione dell’avvocato Amara, ma può essere anche una lobby reale, di quelle potenti e invasive, anche perché alcuni dei nomi fatti appartengono all’establishment reale del Paese: ciò spiega perché c’è stato un crollo del desiderio nell’esercizio dell’azione penale, è scomparso dall’orizzonte il principio della obbligatorietà di essa e si è arrivati ad una azione facoltativa e selettiva per di più esercitata a intermittenza, con frequenze semestrali. Di fronte a questo calo di tensione che ad un certo punto si è tradotto in una vera astensione, il pm Storari si è ribellato e, per autotutelarsi, ha passato carte che più segrete di così non potevano essere alla quintessenza del rigore e della riservatezza qual è sempre stato il dottor Davigo, una specie di vestale dei riti del Csm. Forse però ha sbagliato il momento, perché nel frattempo Davigo si è venuto a trovare in una situazione imbarazzante visto che l’ordine esclusivo dell’aristocrazia giudiziaria al quale ha sempre appartenuto lo stava espellendo. A quel punto Davigo è passato da un estremo all’altro rispetto alle sue condotte consuete: senza formalizzare per iscritto alcunché, ha parlato della vicenda come se si trattasse di gossip e poi - ed entriamo nel campo dei casi straordinari spiegabili solo attraverso Freud - si è confidato con il senatore Morra. Ma, per usare una espressione ben conosciuta dal dottor Davigo, che c’azzecca Morra? Non è un consocio di Anm, tanto meno appartiene alla aristocrazia del Csm, nemmeno fa parte della casta dei magistrati. No, Morra è un politico, forse appartiene allo stesso partito di cui latu sensu fa parte anche Davigo, ma tutto ciò vorrebbe dire sconvolgere ogni pur minima regola di una cerimonia di cui il dottor Davigo è stato uno dei più rigorosi celebranti. L’unica spiegazione possibile fuoriesce dal diritto, dalla politica e dagli schemi tipici della magistratura associata, e si inoltra su un campo finora inesplorato, quello di stampo freudiano. Forse, dopo anni di compressione indotta da una autodisciplina fra le più rigorose, il dottor Davigo è stato trascinato da una voglia irrefrenabile di trasgressione e, come la sventurata Monaca di Monza a suo tempo ha risposto al suo seduttore, così egli si è lasciato andare con il senatore Morra, autorevole dirigente del suo partito di riferimento, alle confidenze più intime sui segreti rivelatigli dal dottor Storari, a sua volta sconvolto perché non riceveva segni di attenzione da parte del dottor Greco. Poi, essendosi forse resa conto del desiderio irrefrenabile di comunicazione che attraversava un ambiente precedentemente assai riservato, presa a sua volta da un singolare stato di ebbrezza, la dottoressa Contrafatto ha pensato di comunicare in giro ciò che stava accadendo, inviando quei plichi segreti al Fatto, a Repubblica e altrove sicura che questi organi di stampa ne avrebbero fatto l’uso già posto in essere in altre occasioni. Insomma, nel suo complesso, se non si è trattato di una orgia nel senso classico del termine, si è verificato il suo corrispettivo nel comportamento rispetto al segreto di ogni ordine e grado. Visto che è entrato in campo anche Freud a questo punto è molto difficile prevedere come questo groviglio potrà essere sciolto. A parte quello che accadrà sul piano giudiziario e su quello politico, allo stato imprevedibile, noi intravvediamo un possibile esito editoriale. Se fossimo l’editore di Kaos, o di Chiare lettere, proporremmo a Davigo, Ardita, Storari, allo stesso Di Matteo, associando il “laico” Morra, di redigere una nuova e aggiornata edizione del libro I Giustizialisti.”

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