Fabrizio Cicchitto: «L’Italia è l’anello debole dell’Europa: avremmo bisogno di una politica estera e di difesa comune per reagire alle sfide geopolitiche del presente»
«Di Maio? Sarebbe stato meglio farlo viceministro, avrebbe fatto meno danni»
«Politica estera e politica della difesa sono due facce di una stessa medaglia. Finora purtroppo l’Europa non ha avuto neanche larvatamente una politica estera comune». E’ lucido ed impietoso il giudizio di Fabrizio Cicchitto, presidente di Riformismo e Libertà sullo stato e le prospettive del Vecchio Continente. Occasione dell’analisi di Cicchitto è il convegno “il Mediterraneo, la Difesa europea e la Nato nel nuovo quadro geopoltico”, che Riformismo e Libertà ha organizzato a Roma mercoledì 11 dicembre assieme all’associazione Europa Atlantica diretta dall’ex parlamentare Pd Andrea Manciulli.
Cicchitto, da qualche anno è operativa la Pesco, la Permanent Structured Cooperation, un meccanismo strutturato che dovrebbe permettere agli stati europei di portare avanti progetti di cooperazione a geometria variabile. Insomma qualche passo avanti sulla difesa europea si è fatto ma al dunque poi ognuno sembra ancora preso dal proprio “orticello” nazionale. E il posto dell'Europa sullo scacchiere geopolitco lo occupano gli altri. Non ritiene emblematico, da questo punto di vista, il caso Libia?
«Sulla Libia l’Europa non esiste. E temo che sia destinata a non sortire nessun effetto significativo e di rilievo la riunione tra Conte, la Merkel e Macron, che, dopo mesi di letargo, sono usciti l’altro giorno con una dichiarazione comune in cui si esortano “tutte le parti libiche e internazionali ad astenersi dall'intraprendere azioni militari, ad impegnarsi genuinamente per una cessazione complessiva e duratura delle ostilità e a riprendere con impegno un credibile negoziato sotto l'egida delle Nazioni Unite”. I destinatari di quel messaggio, Turchia e Russia, si faranno un baffo delle belle parole se non accompagnate da fatti e atti concreti. Ma l’Europa non è assente solo in Libia. E’ latitante anche nel tormentato scacchiere siriano e mediorientale, dove opera con una spregiudicata condotta politico militare la Russia di Putin. Oggi Putin ha avuto la capacità di stabilire un sistema di alleanze in Medioriente strettamente interconnesso con l’Iran, con le milizie sciite che hanno combattuto in Siria e Iraq con Assad, ed ha un rapporto molto articolato anche con la Turchia di Erdogan. Una operazione dal punto di vista geopolitico non da poco».
La Russia sfrutta anche gli errori americani, il loro disimpegno dalle questioni mediorientali?
«Senz’altro. Putin ha utilizzato a suo vantaggio tutti gli errori commessi da ben tre presidenti americani in Medio Oriente: da Bush junior, che ha consegnato l’Iraq agli sciiti, da Obama che a suo tempo non intervenne in Siria e, per finire, da Trump che ha sostanzialmente consegnato quell’area del mondo alla Russia, dando per di più una pugnalata alla schiena ai curdi che erano stati gli unici a scendere in campo per battersi con il Daesh».
Il protagonismo di Putin si dispiega anche in Occidente, contro quelle democrazie liberali che il presidente russo ha definito «obsolete» e non più in grado di garantire stabilità alle rispettive società. E contro queste democrazie non ha esitato e non esita ad usare la capacità della Rete.
«Putin ha identificato nell’uso politico di internet un strumento fondamentale per destabilizzare le democrazia occidentali. Ha adottato prima un approccio militare e sovrastrutturale per investire le nazioni più vicine, pensiamo all’Estonia e all’Ucraina e poi si è mosso a destabilizzare l’Europa costruendo un rapporto con tutte le forze sovraniste che esistono in Europa, in Francia, in Germania e in Italia. E qui da noi ha dato vita ad un legame di ferro con il partito di Salvini, che in questo rapporto con la “madre Russia” è andato a sostituire il Pci».
Putin ha giocato la carte della competizione geopolitica con tutte le carte a sua disposizione. Anche con la guerra cyber contro i Democratici americani.
«Pur se non ci sono le prove è innegabile che Putin ha condotto una battaglia feroce per demolire la Clinton e l’establishment democratico. Trump si misura con la sfida fondamentale che è per lui quella con la Cina, ma il suo rapporto con la Russia è molto ambiguo, contraddittorio e frammentato. E comunque gli Usa non stanno più costruendo, come facevano prima, alleanze multilaterali e questo problema è molto marcato per quel che riguarda l’Europa, perché di fronte al chiarissimo attacco geopolitico di Putin all’Europa non c’è da parte del presidente americano una posizione che si faccia carico dell’Europa nel suo complesso, ma casomai la ricerca di rapporti con i singoli paesi europei proprio in funzione antieuropea».
Insomma, come Putin, Trump si muove per indebolire la costruzione europea?
«Oggi ci sarebbe una esigenza straordinaria di una politica estera comune e di una politica di difesa comune. Vi sarebbe la necessità urgente di una entità europea capace di misurarsi con chi la vuole sbranare, in parte Putin in parte Trump, e chi la vuole avvolgere nel suo abbraccio soffocante, come la Cina. Purtroppo questa consapevolezza non si vede e per di più l’Europa viene attraversata da questa follia sovranista che è una contraddizione in termini. Logica vorrebbe che anche il più fiero nazionalista lavorasse per una Europa complessivamente impegnata a darsi una maggiore omogeneità ed unità ed invece noi abbiamo questo singolare elemento di contraddizione: per un verso i sovranisti si collegano tra di loro e per un altro verso lavorano in termini di smantellamento dell’Europa. Capirei le che forze sovraniste lavorassero per modificare ad esempio la posizione che l’Europa ha avuto sulla vicenda immigrazione; capirei che lavorassero per il rifiuto della politiche di austerity (e va detto che le precedenti leadership europee da questo punto di vista sono state una fabbrica di sovranisti); capirei un nazionalismo europeo capace di misurarsi con gli altri attori presenti sulla scena internazionale. Niente di tutto questo sta avvenendo e noi ci troviamo in una situazione nella quale il nostro paese è l’anello più debole dell’Europa».
I sovranisti nostrani lavorano, consapevolmente o meno, per il re di Prussia?
«Delle due l’una: o sei la longa manus della Russia, come lo è la Lega di Salvini, oppure, se non sei la longa manus della Russia non si capisce che cosa pretendi di essere. La situazione italiana è imbarazzante. Grottesca ma drammaticamente seria. Almeno ci fosse qualcuno che dica: “io voglio stabilire un rapporto organico con la Cina” o “io voglio stabilire un rapporto organico con la Russia”. No, hai della gente che lo fa ma non lo dice, e che pur tuttavia non nemmeno ben chiare le ragioni complessive del suo agire. Almeno il Pci lo faceva per ragioni ideologiche e politiche. Questi?».
Tenere assieme Alleanza atlantica e nuova via della Seta non è un equilibrismo quantomeno pericoloso?
«Noi abbiamo avuto un asse storico tradizionale dell’Italia, collocata nella Nato e nell’Unione europea e con un rapporto stretto con gli Usa, invece nel governo precedente, quello gialloverde, noi abbiamo visto la messa in discussione di questo asse. Quello che era di fatto il rappresentante organico e di alto livello del governo cinese nel governo italiano, il sottosegretario al Mise, Michele Geraci, ha portato il paese non a fare una qualche intesa commerciale con la Cina, ma a fare una intesa a bassissimo livello economico-finanziario e ad altissimo livello politico. Entrare in una cosa così importante come la nuova Via della Seta avrebbe richiesto un grande dibattuto nel paese che invece è colpevolmente mancato».
Il ministro al Mise quando Geraci era sottosegretario si chiama Luigi Di Maio. Ora approdato alla Farnesina…
«Già. A perorare la causa del parmigiano reggiano nell’incontro con il ministro degli Esteri della Federazione russa, Sergej Viktorovič Lavrov, uomo di straordinarie capacità e conoscenze, e a garantire “aggratis” che l’Italia si spenderà nella vicenda delle sanzioni. Una cosa ridicola su cui hanno ironizzato perfino i giornali russi. Reputo che nell’alleanza giallorossa francamente era molto meglio avere Di Maio vice presidente del consiglio, tanto i danni che poteva fare erano quelli che intanto sta facendo comunque. Farlo ministro degli Esteri ha significato portare il danno al suo punto più estremo».
Cicchitto potremmo, concludendo, dire che l’Europa è il vaso di coccio tra i vasi di ferro?
«Non è neanche questo, perché almeno un vaso di coccio è una entità. Il paradosso dell’Europa è che ci sono tanti vasi di coccio che non fanno neanche un vaso di coccio».
Giampiero Cazzato
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