Chissà perché stavolta Fabio Fazio, il signore dei compensi televisivi, non ha prontamente replicato alle critiche mosse al suo programma, e al faraonico contratto che lo lega alla Rai, dal vice premier Matteo Salvini, come aveva fatto con Luigi Di Maio. Anzi, per dirla meglio, che zavorra la Rai, visto che viale Mazzini è costretta ad onorare le clausole inserite in quel capolavoro d’ingegneria contrattuale orchestrato da Fazio e dai collaboratori e siglato dall’ex dirigenza renziana della tv pubblica, prona ai voleri di signori della Tv. E sì, bei tempi quelli in cui star e starlette, divini e divetti, comici tristi e conduttori biliosi dettavano legge e l’emittente di Stato comprava a scatola chiusa. Bei tempi, per loro, un po’ meno per chi paga il canone. Destinati a passare, però. Sia chiaro, non tanto perché Lega e Movimento 5 Stelle siano mossi dal sacro furore della moralizzazione dei compensi, o dal dogma del rispetto del tetto salariale ( pura fantasia visto che i modi per aggirarlo sono mille più uno), quanto per la voglia di dare alla Rai un profilo aderente ai loro bisogni.
Insomma, visto che si avvicinano le europee e il governo non ha affatto voglia di cadere, nonostante le reiterate tensioni e fibrillazioni sui temi caldi come manovra economica e immigrazione, la necessità di avere una tv pubblica a propria immagine e somiglianza si fa sempre più stringente. E siccome Fazio non è solo uno fuori dal coro ma un teledivo che usa il servizio pubblico per gli affari propri a spese del contribuente, finire nel mirino di Salvini e Di Maio è il minimo che possa capitare. Ovviamente farlo saltare seguendo il percorso standard non è affatto facile. Anzi, considerando il contratto che lega Fazio alla Rai, i rischi sono enormemente superiori ai benefici. Di fatto pentastellati e leghisti puntano sulla politica del logoramento, del lavoro ai fianchi, per vedere se Fazio molla. Su come finirà il match si accettano scommesse. L’ipotesi più plausibile è quella di uno spostamento, anzi del ritorno, di Che tempo che fa da Rai Uno a Rai Tre. Giocando sugli ascolti mancati e sulla pubblicità in calo la Rai eviterebbe il campo minato delle penali e dei ricorsi alla magistratura, altra arte in cui Fazio è molto esperto, essendo stato capace, a suo tempo, di spillare un pacco di soldi a La7, gestione ante Cairo, senza essere mai andato in onda.
Sublime. Altro sublime sono i petti offerti al nemico. Fuor di metafora il caso Fazio ha aperto la strada ai sogni di chi vorrebbe tornare in Rai. Da Massimo Giletti a Milena Gabanelli, passando per Nicola Porro e Paolo Del Debbio, oscurato da Mediaset, tutti i conduttori dotati di un programma di un certo pedigree si stanno offrendo a Viale Mazzini. Per le più svariate ragioni. Insomma, all’incrocio di Viale Mazzini, a Roma, si è creato un vero e proprio ingorgo. Mai come ora la Rai è considerata un punto di approdo e non la solita portaerei per gli affari propri. Perché per servire bene il padrone di turno, Lega e 5 Stelle, bisogna essere nel posto giusto. Sarà pur sempre un caso ma Carlo Freccero, vulcanico direttore di Rai Due, non riesce a tener dietro a tutte le richieste di appuntamento ricevute in questi giorni. A Viale Mazzini fanno garbatamente notare che il vigile delegato a regolare il traffico sia proprio lui, l’immaginifico Carlo, guru del tubo catodico. E poco importa se in questi giorni sia il caso Baglioni, direttore artistico e conduttore-dittatore del Festival di Sanremo, a tenere banco, grazie alle sue esternazioni sugli immigrati. Per quanto si possa discutere il caso non è affatto un caso ma una grossa, e grassa, operazione di marketing. Perché se per Fazio il tempo che fa non è dei migliori, per Baglioni il cielo è sempre sereno. Il suo, in fondo, è solo un piccolo grande amore per la politica dell’accoglienza.
di Alberto Milani
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