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Felice Della Corte:«Per salvare il teatro si diano finanziamenti a fondo perduto per tutto il 2020»




 

Parla Felice Della Corte, direttore artistico del Teatro Marconi di Roma

 

«Per ragioni diverse, ma il trattamento riservato al teatro è lo stesso di quello dato alla scuola: siamo considerati entrambi di importanza secondaria. Non si capisce, invece, che il teatro, così come la scuola, è fondamentale per la crescita di una società». E' duro il giudizio di Felice Della Corte, direttore artistico del Teatro Marconi e del Teatro Nino Manfredi di Roma sulle misure del governo nei confronti del mondo della cultura: «Si stanno commettendo molti errori che rischiano di compromettere il futuro del teatro in Italia».



Quali sono questi errori Della Corte?



«Prevalentemente lo Stato immagina che per quello che riguarda l'istruzione e il teatro, così come le arti in genere, si può affidare al rapporto attraverso i social ed il web. Ed è un errore clamoroso, in quanto il rapporto sociale si fonda proprio sul confronto che c'è all'interno di una istituzione scolastica o in una sala teatrale. Quando tu sei in un'aula con il docente e i tuoi compagni stai facendo nient'altro che un esercizio che ti abitua al “vizio di vivere”, che ti induce e predispone al confronto con tutte quelle necessità che danno un sapore alla vita. Tutte cose che, fino a prova contraria, il virtuale non ti può rendere. Gli interventi si qui immaginati sembrerebbero ad un sguardo disattento a tutela del teatro, perché partono dal presupposto, sbagliatissimo, che si possa affermare una forma alternativa di fruizione culturale attraverso la televisione e il web, il modello Netflix insomma».



Il mondo del teatro non è che navigasse in floride acque già prima del Covid-19. Immagino che adesso stia boccheggiando proprio.



«Esattamente. Quello che succede è che tutti gli interventi che sono stati proposti sono tutti interventi che vengono a fare da tampone ad una situazione che era drammatica già prima. Solo per fare un esempio noi sosteniamo che è un delitto che il teatro non faccia parte delle materie di insegnamento, perché riteniamo che attraverso il teatro vengono in qualche maniera affrontate e risolte tutta una serie di problematiche che riguardano l'espressione dell'individuo. Il teatro è un formidabile strumento formativo, soprattutto per le nuove generazioni. Dico di più se non ci fosse qualcuno che lo ha “sognato” non ci sarebbe processo e sviluppo sociale. E' nella rappresentazione della realtà che la società vive e si percepisce. Tutti quanti noi, quando siamo rimasti a case per tre mesi, di cosa abbiamo usufruito in prima istanza se non di tutto quello che chiamiamo prodotto culturale? Come si fa a non capire, allora, che stiamo parlando non di un fatto secondario ma dell'alimento della nostra vita? Al pari del cibo. Invece...».



Par di capire che non si fa troppe illusioni sulla fase tre.



«Ora abbiamo necessariamente bisogno di fare delle differenze. Non è fase uno, due, tre e via discorrendo. A mio modo di vedere ci sono due fasi. C'è una fase, ed è quella dell'emergenza, e poi una seconda fase che prevede che si metta mano ad un sistema che, lo ripeto, già prima necessitava di interventi. Abbiamo bisogno come l'aria di misure che tutelino tutti gli operatori dello spettacolo. Sono lavoratori che non possono in nessun modo essere dimenticati».



Il 15 giugno, discoteche, cinema, teatri e luoghi di cultura hanno riaperto i battenti...



«Debbo pensare che chi ha scritto quelle norme non sa di cosa parla e forse non ha mai frequentato i teatri. Dire ai direttori dei teatri che possono riaprire, con le limitazioni del caso, il 15 giugno è una presa in giro. Non c'è bisogno che uno si interessi professionalmente di teatro, basta essere uno che frequenta le sale due volte l'anno, per saper che da giugno a settembre generalmente i teatri chiudono. Non c'è bisogno di essere esperti del settore per sapere queste cose. È evidente a chiunque che le conseguenze del lockdown si trascineranno nel tempo. In ogni caso noi abbiamo il dovere di pianificare ipotesi di programmazione. Soprattutto perché potremo ripartire solo attraverso un periodo che ci vedrà, comunque, affrontare un disastro dal punto di vista economico, sia per i teatri che per le produzioni. Il teatro non è come un negozio. Uno spettacolo teatrale è quello, e lo devi fare per intero, sia che in sala ci sia uno spettatore sia che ve ne siano mille. In conclusione abbiamo bisogno di interventi chiari e precisi per la ripresa di settembre-ottobre. Abbiamo una ipotesi di programmazione, ma non avendo idea di quelle che saranno le limitazioni quando realmente apriremo è una ipotesi aleatoria. Solo per fare un esempio in questo momento ai nostri abbonati diciamo che se vogliono li prenotiamo pure, ma che non siamo in grado di assegnare definitivamente i posti. Si rende conto da solo di quanto questa incertezza sia dannosa».



Allora cosa avrebbe dovuto fare e sapere il governo nel considerare l'emergenza?



«Il governo deve sapere che il teatro non è e non può essere considerato alla stregua di una qualunque altra attività. Perché, ma è solo uno dei tanti nodi irrisolti, le problematiche che il commerciante affronta ora, sono per il teatro problemi che dovranno essere affrontati ad ottobre quando cioè riaprirà, davvero, la nostra attività».



Dunque se il disagio del lockdown per voi è destinato a protrarsi a lungo il tema è anche come sostenere i teatri in questa fase, giusto?



«Esatto. E non perché stiamo facendo un capriccio. Noi aneliamo ad essere trattati come gli altri nell'emergenza».




Lei ha sostenuto che vi attende un disastro economico...




«Il disastro economico purtroppo attende tutti, non solo il teatro. Ora però limitandoci al teatro io credo che il governo dovrebbe affrontare l'emergenza tenendo in primi luogo conto che c'è tutto un mondo che vive di teatro e per il teatro. Allora la prima cosa da fare sarebbe quella di predisporre dei finanziamenti come il fondo perduto che riguarda il mancato fatturato delle imprese. Non soldi dati così, a pioggia o peggio a casaccio, l'unica e più trasparente soluzione è quella di fare riferimento al fatturato degli anni precedenti e dare un contributo a fondo perduto che tenga conto di questo dato, ma non solo per il mese di aprile, perché noi le conseguenze del lockdown ce le porteremmo dietro per lungo tempo. Considerare solo il mese di aprile sarebbe né più né meno che una beffa. Si deve insomma tenere a base il fatturato dell'anno precedente e considerare tutta la differenza rispetto al 2020. Queste è la prima misura se si vuole salvare il teatro in questo Paese».



Quali altre misure immagina?



«Dovremmo poter pagare i diritti Siae per quello che incassiamo realmente e senza diritti minimi di nessun genere. Per i teatri più grandi bisognerà rivedere la norma che riguarda i vigili del fuoco, perché in realtà non potranno ospitare gli spettatori di prima. Abbiamo poi la necessità che vengano messi in campo interventi di promozione mirati e di respiro della nostra attività da parte dello Stato e degli enti locali. E per finire chiediamo l'eliminazione delle imposte locali e l'abbassamento al 4 per cento, così come per l'editoria, dell'Iva sui biglietti e l'accesso al tax credit».



Della Corte che tempi prevede per la ripresa del settore?


«E' difficile dirlo. Noi abbiano un solo parallelo in tempi recenti. In America dopo l'11 settembre, prima che il teatro cominciasse a rivedere i flussi che aveva conosciuto precedentemente al terribile attentato terroristico sono dovuti passare tre anni. E il Covid-19, che si porta appresso un inedito riferimento alla paura e al terrore, rischia di avere un effetto analogo».

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