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Fitch boccia l’Italia, ma il governo esulta, lo spettro del ‘divorzio’ tra Lega e M5S



L’Agenzia di rating Fitch emette il suo giudizio sull’Italia e, nonostante una tripla BBB con tanto di outlook negativo, al governo sono tutti così contenti che arriva persino un comunicato di palazzo Chigi per elevare salmi di gloria. In effetti, poteva andare molto peggio: l’umiliazione poteva arrivare facendo scendere l’Italia all’ultimo gradino dell’investment grade (BBB-, declassamento di un livello, o a BBB, declassamento di due livelli). Il che avrebbe voluto dire che i nostri titoli di Stato equivalevano a titoli ‘spazzatura’, il che avrebbe fatto deprimere i mercati, schizzare in alto lo spread e ammazzare quel poco di ripresa, se mai dovesse arrivare. E, insomma, la strada verso l’Inferno (la lettera D equivale al fallimento dello Stato, le tre AAA di massima affidabilità lontane anni luce) poteva essere già intrapresa, oltre che lastricata di ottime intenzioni, quindi a palazzo Chigi hanno tutti assai esultato.


Il problema, però, oltre al livello di affidabilità del debito pubblico sovrano, è proprio l’outlook, cioè la prospettiva: negativa era, alla vigilia, per Fitch, e negativa è rimasta. Insomma, sia l’agenzia di rating in questione che i mercati finanziari in generale non si fidano dell’Italia, del suo governo, tantomeno delle sue prossime mosse economiche. “La crescita del Pil si è bloccata e continua a esserci un margine di incertezza sulle previsioni di bilancio del 2019”, scrive Fitch che entra anche nel merito dei guai politici di csa nostra: “Le tensioni all’interno del governo per le grandi differenze ideologiche fra Lega e M5S aggiungono sempre maggiori incertezze”. Poi Fitch va oltre, forse troppo: “Secondo noi la Lega sarà tentata dal voto e dal ritorno agli antichi accordi con Forza Italia”. Insomma, Fitch mette già nel conto una bella crisi di governo. Non che, in Italia, molti analisti non la pensino proprio così.


Infatti, in diversi si pongono già oggi un tema che suona, più o meno, così, specie dalle parti delle opposizioni come Forza Italia ma anche in casa del Pd: “Davvero conviene a Salvini dover affrontare e varare una manovra economica lacrime e sangue, vincolarsi per almeno un altro anno al patto degenere con Di Maio che lo sta trascinando nel baratro e nell’indecisione su tutti i dossier cari alla Lega e al mondo produttivo del Nord, dalla Tav e le Grandi Opere alle Autonomie regionali, dal nucleare alle trivelle, etc.?”. La domanda, che è retorica, presuppone una facile risposta: “no, a Salvini non conviene. Gli conviene staccare la spina al governo e andare a nuove elezioni il prima possibile”.


Tanto che proprio Berlusconi ha assicurato ai suoi che “saranno i fatti a costringere la Lega a lasciare l’M5S per venire con noi. Molti leghisti dopo le Europee imporranno il cambiamento”. Berlusconi non lo dice, ma si riferisce, chiaramente, ai governatori del Nord (Zaia e Fontana, su tutti, ma anche Toti, ormai ‘azzurro-verde’, cioè leghista), pronti a scendere in campo con il governatore piemontese Chiamparino per dire ‘Sì, via referendum popolare, alla Tav e già furibondi sia per il reddito di cittadinanza che è legge sia per la riforma delle Autonomie (l’intesa segna il passo) sia, persino, per la volontà dell’M5S di chiudere i negozi la domenica, ritenuta scelta ‘luddista’. Insomma, su tutto.


Naturalmente, Salvini sa bene che tornare all’abbraccio con Berlusconi e una Forza Italia ridotta, ormai, ai minimi storici potrebbe essere mortale (sventola da settimane sondaggi che dicono che, senza l’alleanza con gli azzurri, guadagnerebbe voti), ma il pressing di Berlusconi (e della Meloni) è asfissiante e, dopo il voto di domani in Sardegna, quando si scoprirà che il centrodestra è tonico e vincente, come già è successo in Abruzzo, i due torneranno a farsi sentire, come già promesso in una conferenza stampa comune che i tre leader hanno tenuto proprio a Cagliari. “Lunedì chiamo Salvini”, ha detto Berlusconi. “Pure io”, ha sorriso la Meloni. “Lunedì stacco il telefono” ha risposto lui in un ghigno. Ma, appunto, c’è anche la pressione ‘interna’ a una Lega che ha sostanzialmente due costole dentro di sé: quella dei territori e, dunque, dei governatori (Salvini, in particolare, teme molto l’ascesa e i consensi di Luca Zaia), e quella della truppa parlamentare. Truppa ordinata e compatta, che vota in modo silenzioso e ubbidiente tutti i provvedimenti che, via via, vara il governo ‘giallo-verde’, compresi quelli che portano la firma dei pentastellati (il referendum propositivo, il dl ‘Spazza-corrotti’, etc.), ma che è sempre più insofferente e in ambasce verso un ‘alleato’, l’M5S, da cui i leghisti – come si vede, ormai, plasticamente, anche solo frequentando i divanetti di Montecitorio – sono lontani anni luce per tipologia umana, motivazioni e capacità politiche, persino tratti caratteriali.


Uno come Giancarlo Giorgetti, in teoria sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in pratica longa manus di Salvini su tutti i dossier governativi che contano e che pesano, viene descritto, in questi giorni, “felice” perché “vede avvicinarsi la fine di un incubo”. L’incubo sarebbe il governo che Giorgetti proprio non ce la fa più a vedere andare avanti, specialmente per le continue liti e dissapori con i 5Stelle, e la ‘fine’ sarebbero le elezioni anticipate.


Già, ma quando? Impossibile prima delle elezioni europee, ovviamente. Subito dopo? Servono 60 giorni di tempo, tra lo scioglimento delle Camere e l’indizione delle elezioni. In pratica, vorrebbe dire votare il 30 luglio, ma è impossibile. Allora a settembre, per evitare di dover ‘mettere la faccia’ su una manovra manovra economica, quella del 2020, che rischia di essere solo e soltanto ‘lacrime e sangue’ anche perché dovrà partire dalla sterilizzazione dei 23 miliardi di aumento dell’Iva e delle altre accise previste dalle clausole di salvaguardia già scritte nella manovra economica 2019? Possibile, ma a quel punto la palla passerebbe al Quirinale, dove sono molto scettici sia sull’interruzione così anticipata della legislatura (che sarebbe così durata solo un anno…) sia sull’idea di far fare la campagna elettorale, di fatto, in piena estate e sotto gli ombrelloni. Per non dire del fatto che le nuove Camere e il nuovo governo dovrebbero trasformarsi in Speedy Gonzales per formarsi e nascere, visto che, entro il 15 ottobre, la nuova Legge di Stabilità va trasmessa a Bruxelles e, contestualmente, entro fine mese, inizia la sessione di Bilancio del Parlamento italiano. E se, invece, Salvini – forse con Di Maio d’accordo, forse no – facesse approvare da un governo ‘tecnico’ e ‘monocolore’, privo di appoggi politici in Parlamento, la nuova manovra per poi caricare a pallettoni contro i medesimi e portare il Paese al voto entro i primi mesi dell’anno nuovo, il 2020, sull’onda di una campagna ‘anti-europea’ e sulle parole d’ordine ‘non mi hanno fatto lavorare, italiani ora datemi la maggioranza assoluta nelle Camere’? Ecco uno scenario, quello del voto a febbraio-marzo 2020, assai probabile…


di Ettore Maria Colombo

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