Forza Italia è davanti a un bivio e non solo perché le elezioni europee del 26 maggio si avvicinano a grandi passi. Paradossalmente, a 25 anni dalla sua nascita (o, meglio, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi), un partito che non è mai diventato tale (nato come ‘partito-azienda’, divenne un ‘movimento politico’ che ha raggiunto, in momenti diversi, percentuali assai alte di voti, ma senza mai strutturarsi e radicarsi veramente nei territori) è di fatto costretto a trovare un suo ubi consistam, quasi a prescindere dalla stessa volontà del suo Padre fondatore.
I congressi provinciali azzurri sono iniziati e, dunque, anche la selezione della (futura, ovvio) classe dirigente. La ‘rivoluzione rosa’ – e, cioè, la promozione a capogruppo di Annamaria Bernini al Senato e Mariastella Gelmini alla Camera mentre Mara Carfagna è diventata vicepresidente di Montecitorio - ha travolto, nei gruppi parlamentari, posizioni (e rendite di posizione) consolidate, come quelle di Paolo Romani (sempre più attratto da movimenti centristi ed europeisti come quelli che sta formando Carlo Calenda) e di Renato Brunetta, che continua la sua battaglia contro il governo gialloverde, ma in versione sempre più ‘solitaria’. La promozione a vice-segretario, di fatto, del coordinatore nazionale, Antonio Tajani, che riesce a seguire bene, e con discreto piglio, le vicende interne del partito, nonostante il suo ruolo, peraltro in scadenza, con le prossime elezioni, di presidente dell’Europarlamento, ha fornito agli azzurri un assetto e una struttura che, forse, mai avevano conosciuto. Bisogna tornare, per capirsi, ai tempi in cui l’ex ministro Claudio Scajola voleva fare, appunto, di FI un vero partito (e si era nei primi anni Duemila) per tornare a un periodo in cui un partito come quello azzurro ‘scommetteva’ davvero nel radicamento territoriale e in una costruzione dal basso che, presto o tardi, porterà a un ‘vero’ congresso fondativo, con relativi e regolari organi elettivi, che non ha mai avuto.
Naturalmente, questo non vuol dire che la ‘creatura’ politica di Silvio Berlusconi non viva problemi e affanni, contraddizioni e spinte contrapposte. Del tentativo di ‘Opa’, più o meno ostile, che il governatore ligure, Giovanni Toti, ha cercato di fare sul partito, specialmente al Nord, molto si sa e si parla. Il tentativo, peraltro, è ancora in corso, ma è molto più probabile che Toti cerchi ‘fuori’ da Forza Italia un “nuovo inizio” per un nuovo centrodestra che, nella sua visione, deve fare, sostanzialmente, da ‘ruota di scorta’ alla Lega di Salvini in stretto rapporto, praticamente un tandem, con Fratelli d’Italia della Meloni. E proprio la leader di FdI sta risucchiando e rosicchiando consensi, nell’ala ‘destra’ del movimento azzurro. Prima l’arrivo di Raffaele Fitto e del suo movimento, radicato in Puglia, e il contestuale ingresso di FdI dentro i Conservatori e riformisti europei (ECR), poi l’ingresso del governatore siciliano, l’ex An Nello Musumeci, oltre a quello di Francesco Storace, hanno dato linfa e cuore al tentativo – ancora tutto da realizzare – di superare, alle elezioni europee, l’asticella del 4%. E certo è che la “seconda gamba” del centrodestra, se anche Toti dovesse, come sembra da molte sue recenti dichiarazioni, uscire da Forza Italia, rafforzerebbe l’asse con la Lega e rischierebbe di ridimensionare di molto la ‘prima’ (teorica) gamba del centrodestra che fu, cioè proprio Forza Italia. Non a caso, Toti sferza il suo partito dicendo che FI “dovrebbe essere capace di una riflessione profonda sui prossimi 25 anni”, soprattutto su quella classe dirigente, a suo giudizio troppo impegnata a “salvare la poltrona”.
Così pure preoccupano, agli occhi del ‘moderato’ Tajani, le fughe in avanti di importanti esponenti azzurri della Sicilia. Dall’onorevole, ed ex ministra, Stefania Prestigiacomo, che è voluta salire a bordo della nave ‘Sea Watch 3’ insieme a esponenti radicali e di sinistra (Magi e Fratoianni), contravvenendo all’ukase di Salvini contro tale scelta, alle mosse dello storico plenipotenziario azzurro, Gianfranco Micciché, che si è addirittura schierato, sul dl Sicurezza fortemente voluto da Salvini, dalla parte dei sindaci ‘ribelli’ e ‘disobbedienti’ come Orlando, in pratica tutti di sinistra e che è arrivato a paragonare il ministro Salvini “a Hitler”, le irrequietezze di esponenti così in vista della FI siciliana – da sempre un ‘granaio di voti’, per il partito – preoccupano e impensieriscono chi, come Tajani, cerca di tenere la barra di FI al ‘centro’ e a non far slittare, pericolosamente, il suo partito verso, se non la ‘sinistra’, quantomeno i ‘moderati’ europeisti alla Calenda che, in ogni caso, sempre con il Pd si presenteranno alle prossime elezioni europee. Tajani, dunque, cerca una posizione di fatto equidistante tra la Lega di Salvini - con cui FI è alleata in tutte le elezioni regionali, da quelle in Sardegna, in Abruzzo e in Basilicata, dove si voterà tra febbraio e marzo, e anche nella prossima tornata di elezioni amministrative che si terranno a giugno – e un centrosinistra che, pur se ‘moderato’, segnerebbe la fuga, o lo svuotamento, del partito verso altri lidi, certo più sicuri.
Non a caso, Tajani ha sottolineato la diversità tra il partito del Cavaliere e quelli ora al governo assicurando che la lista azzurra “si allargherà alle forze cattoliche e avrà al suo interno esponenti indipendenti”, alle prossime elezioni Ue.
Proprio per questo motivo Forza Italia, di matrice e cultura schiettamente liberale (e liberista) e mai ‘confessionale’, ha aperto un’interlocuzione profonda e seria con un mondo cattolico in sempre maggiore e crescente mobilitazione contro le politiche securitarie del governo gialloverde (e, ovviamente, di Salvini) sui migranti e sull’accoglienza, ma anche attraversato da forti propositi e improvvise ‘voglie’ di scendere in campo direttamente nell’agone politico. Non è stato un caso, quindi, che Tajani sia intervenuto – e poi sia rimasto a lungo presente in sala, molto applaudito – al congresso dell’Mcl (il Movimento cristiano dei lavoratori) né che lo stesso Berlusconi cerchi, con sempre maggiore insistenza, sponde e interlocuzioni con le gerarchie vaticane che hanno sempre nutrito, per lui, sostanziale diffidenza, ma che ora vedono in una Forza Italia ‘moderata’ e innervata di presenze cattoliche, anche nelle prossime liste, un sicuro appiglio e una forte sponde alle scelte di Salvini. In nome della costruzione di quella ‘sezione italiana’ del PPE in cui, oggi, Berlusconi e Forza Italia sono tornati da protagonisti in piena regola. A tal punto che personalità tedesche come la Merkel, ma anche come Weber, che del PPE continuano a detenere la golden share, vedono in FI e non certo in Salvini (né, tantomeno, nei 5Stelle attuali) la possibilità di circoscrivere ‘l’incendio’ che l’Italia, con un voto di massa ai partiti sovranisti, potrebbe appiccare al futuro governo dell’Ue, dopo le elezioni del 26 maggio.
Restano, dunque, a fare da faro e barometro per la navigazione della nave azzurra, le parole di Berlusconi: “Mi auguro che questo governo cada ogni giorno che arriva. Vedere un governo che dice sì un giorno, per dire no il giorno dopo, per dire forse il terzo giorno è terribile... Vedo un pericolo come nel 1994, quasi più grave”. Parole condite da un atteggiamento ‘caritatevole’ verso i migranti della nave Sea Watch 3, che Berlusconi farebbe “subito sbarcare” ma anche dalla “riconferma” dell’alleanza con la Lega. Sia perché sono in ballo pesanti elezioni – europee, regionali e amministrative, appunto – sia perché, ancora oggi, il Cav. non vede, fuori da quell’alleanza, nessuna ‘salvezza’ per FI.
Ma anche se il 25mo della nascita del partito Forza Italia è stato celebrato, nello scorso weekend, dai “gilet azzurri” in tutte le piazze d’Italia con un indubitabile successo di persone affluite ai gazebo e di riscontro sui media (l’hastag #25annidiForzaItalia è stato trend topic su Twitter), solo una percentuale in ‘doppia cifra’, alle prossime europee, sancirà in modo definitivo il futuro politico di Forza Italia. Sopra il 10%, il partito potrà davvero, e seriamente, radicarsi e strutturarsi sui territori, ma soprattutto potrà, politicamente, dire ‘la sua’ con buona lena e autorevolezza, sotto quel risultato si aprirà, inevitabilmente, un ‘fuggi fuggi’ dal partito che potrebbe approdare nella Lega e, anche, in Fratelli d’Italia, o in alcuni casi verso Calenda. La scommessa di Tajani (e di Berlusconi) si gioca tutta qui, su quel ‘maledetto’ o ‘benedetto’, a seconda dei punti di vista, 10% dei voti. E solo il 26 maggio si saprà chi avrà vinto la scommessa. Se Berlusconi e Tajani o i loro avversari.
di Ettore Maria Colombo
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