Nino Foti, parlamentare di lungo corso e tra i fondatori di Noi con l'Italia, in un’intervista a Spraynews, esorta il centrodestra a ritrovarsi quanto prima su una candidatura come quella di Palamara alle suppletive, a suo parere indispensabile per chi vuole riformare la giustizia in Italia.
Perché il centrodestra continua a esitare nel candidare alle politiche l’autore del libro-denuncia il Sistema?
«Quella coalizione che lo ha applaudito compatto quando ha denunciato tutte le storture della giustizia italiana, per essere coerente non può che non sostenerlo. Non servono dichiarazioni sparse. E’ utile, piuttosto, un’unica presa di posizione rispetto a chi per un tema ci ha messo la faccia e continua a metterla. Solo con volti nuovi, infatti, si può essere competitivi contro un centrosinistra, che al momento ha difficoltà ad organizzarsi».
Non tutti, però, sono d’accordo a inserire profili nuovi, a partire da Tajani, Gasparri e Forza Italia. Quanto serve un ricambio generazionale?
«Quella romana non è la classica battaglia tra forze politiche diverse, piuttosto è l’occasione per dare un segnale di cambiamento su un tema sentito come quello della giustizia. Quando Palamara ha girato l’Italia, non mi sembra che ci siano stati esponenti del centrodestra che non abbiano gradito le sue denunce. Non capisco, quindi, perché condannarle solo ora. Le persone non capirebbero. Urge, pertanto, un confronto a porte chiuse tra i partiti della coalizione e capire tra le varie aspirazioni quale possa essere quella che si avvicina più alle istanze dei cittadini della capitale. Se qualcuno abbia ragioni più valide di quelle dell’ex togato ben venga, ma si decida subito e senza divisioni. Le spaccature, soprattutto ora, non servono».
Il leader Lupi, su queste colonne, pur ribadendo la fiducia al centrodestra, non esclude in futuro un confronto con Renzi e Calenda. E’ d’accordo?
«Dopo l’esperienza triste della pandemia, sono cambiate anche le valutazioni politiche. Ritengo, pertanto, sempre utile incontrarsi, soprattutto se si condividono idee e valori».
Per quanto riguarda il popolarismo, un contributo importante è sempre arrivato dal Mezzogiorno. L’attuale classe dirigente centrista è pronta a prendere il testimone di quella che l’ha preceduta?
«Al Sud il vero problema è che le persone capaci non riescono a mettersi insieme per raggiungere scopi comuni. Questo problema riguarda tutte le aree politiche. La crisi pandemica, però, ci insegna che le convergenze sono indispensabili. Sulle infrastrutture per far ripartire il Mezzogiorno, ad esempio, dovrebbe esserci la massima unità. Il futuro passa per il trasporto su ferro e per il ponte sullo stretto».
Potrebbe essere utile un partito del Sud?
«Questo esperimento non ha mai funzionato. E’ necessario, invece, che le persone che compongono gli attuali partiti abbiano più attenzione verso una serie di problematiche che riguardano i nostri territori. Servono politici formati, capaci e non avventurieri o peggio ancora cacciatori di poltrone. Il vero problema è che chi ha competenze, nella maggior parte dei casi, non è ai vertici delle istituzioni».
Si vota anche in Calabria. Come procede la campagna elettorale?
«E’ una campagna strana, considerando che si svolge in piena estate. Detto ciò, sono certo che il centrodestra non avrà problemi a vincere».
La sua Regione si è sempre distinta per accoglienza. Aprirete le porte della vostra terra a chi arriva dall’Afghanistan?
«La nostra è una storia di migrazioni. E’ chiaro, quindi, che ci distinguiamo per una spiccata cultura dell’accoglienza. In qualsiasi momento, anche quello più difficile, non ci siamo mai tirati indietro. Sono certo, quindi, che non ci saranno respingimenti, piuttosto dimostreremo quell’ospitalità che ci ha sempre contraddistinto. Solo la Calabria non può fare molto, ma certamente un importante contributo non mancherà, pur tenendo conto che la stessa Unione Europea debba fare in modo che gli arrivi siano contingentati tra le varie aree del continente. Qui non ci sono strutture per così tante persone, come quelle che si prevedono arrivare dall’Afghanistan, così è quasi impossibile inserirle, sin da subito, in un percorso lavorativo. Parleremo, quindi, di accoglienza a metà».
Di Edoardo Sirignano
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