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Francesca Re David: “Non si esce dalla crisi impoverendo e licenziando. L’autunno sarà caldo”

Intervista esclusiva a Francesca Re David, Segretaria Generale della FIOM CGIL

“Disuguaglianza. Disumanità. Immigrati come numeri. Salvini mi fa paura”



#FrancescaReDavid, il Covid non è stato solo una tragedia sanitaria, ma anche uno tsunami sociale. Nuovi poveri crescono. Inesorabilmente. Come si combatte la povertà?

Il Covid, come accade sempre nelle fasi di shock della storia, mette in evidenza tutte le fragilità e le debolezze che si sono accumulate negli anni. Questo inizio di secolo è fondato e strutturato sulle disuguaglianze. All’interno del mondo e di ogni singolo Paese. La fragilità è uno degli elementi su cui si è fondata la concorrenza nella globalizzazione. Tutti i Governi, compreso quello italiano, hanno accompagnato questo passaggio. Hanno smesso di fare politiche industriali già dalla metà degli anni ’90 abbandonandosi anima e corpo al mercato. In Italia più ancora che in altri Paesi. Hanno emanato solo leggi che rovesciavano il ciclo del lavoro mettendo al centro l’impresa e dando il via libera a forme estreme di precarietà, che hanno poi trovato nella Legge Fornero e nel Jobs act l’atto conclusivo di un percorso rappresentato in modo simbolico e concreto dall’intervento sull’articolo 18. Tutto questo ha indebolito non solo i lavoratori, ma tutto i sistema della produzione industriale, compresa la sua capacità di innovazione. Come se ne esce? Unificando e dando diritti al lavoro, intervenendo sulla scuola e sulla ricerca, valorizzando il lavoro e non precarizzandolo, realizzando una riforma degli ammortizzatori sociali che ne faccia uno strumento universale. E spendendo i soldi del Recovery con gli occhi puntati solo al bene del Paese e, quindi, alla qualità delle produzioni e alle modalità in cui si lavora. Bisogna rovesciare il punto di vista. Abbandonarsi al mercato ha comportato solo una discesa verso il basso delle persone e del sistema paese nel suo complesso.


Il blocco dei licenziamenti sarà revocato. Quanti posti di lavoro sono a rischio e che cosa farà il Sindacato. C’è la possibilità di un nuovo autunno caldo?

Ci troviamo dento una situazione paradossale. Noi siamo stati l’unico Paese che ha deciso il blocco dei licenziamenti e questo grazie al protagonismo dei lavoratori. Quando l’8 marzo del 2020 il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte andò in televisione e spiegò agli italiani che bisognava restare a casa, mantenere la distanza di un metro gli uni dagli altri e non fare la spesa in due e da lì tutte le altre misure che sappiamo, si dimenticò completamente dei luoghi di lavoro. Non disse una parola una su come si poteva stare nelle fabbriche e negli uffici. Noi come metalmeccanici abbiamo subito individuato nello sciopero lo strumento per mettere le fabbriche in sicurezza. Da lì sono partiti i protocolli sui distanziamenti e sulle altre misure di sicurezza. Nelle aziende c’era una grande concentrazione di persone e il Covid si muove con le persone. C’era bisogno di un’attenzione particolare. I lavoratori non vivono dentro un pianeta a parte, non dormono dentro la fabbrica. È stato il protagonismo dei lavoratori a far prendere delle decisioni importanti e significative. Il paradosso è che, mentre i sostegni continuano ad andare avanti, l’unico provvedimento messo in discussione è il blocco dei licenziamenti e solo per l’industria, dove la cassa integrazione si paga, perché aziende e lavoratori versano contributi specifici per la cassa integrazione. Proprio l’altro ieri ho visto un protocollo, secondo il quale i lavoratori dell’industria saranno gli ultimi ad essere vaccinati. Gli ultimi vaccinati e i primi licenziati. La revoca del blocco dei licenziamenti è inaccettabile, ma non perché pensiamo sia una misura prorogabile in eterno, ma perché deve assolutamente coincidere con la riforma degli ammortizzatori sociali. Il lavoro va redistribuito a fronte degli effetti della digitalizzazione. Non esiste un salto tecnologico nella storia dell’industria degli ultimi tre secoli che non abbia comportato un intervento sugli orari di lavoro. Pensare di affrontare il cambiamento licenziando le persone e pensando a elementi di assistenza e non di rafforzamento la struttura produttiva di questo Paese è secondo noi una follia. Noi come sindacato su questo siamo al momento tagliati fuori e non abbiamo ancora nessuna idea su se e in che misura verranno destinati all’industria i soldi del piano di resistenza e resilienza nazionale. Sì, ci sarà un autunno caldo. La ripresa non si può basare sull’impoverimento e sui licenziamenti. Contro questa ipotesi reagiremo con tutte le nostre forze.


A proposito di sicurezza sul lavoro, in Italia il dibattito politico gira spesso intorno al nulla. Anche il primo maggio non ha fatto eccezione. Si è parlato più di Fedez sul palco del Concertone che dei morti sul lavoro, che anche in quei giorni insanguinavano l’Italia…

La verità è che non si riconosce da anni, Governo dopo Governo, una soggettività collettiva al lavoro. Si è parlato di casi drammatici, come quello della ragazza di Prato schiacciata da una macchina tessile e degli altri che si sono susseguiti con un ritmo terribile, ma non si dice che non sono incidenti, ma morti determinate da come si lavora, dai ritmi, dai tempi, dalla precarietà, dagli straordinari e dalle risorse destinate alla sicurezza che non vengono spese. Noi pensiamo che chi seguita a prendere soldi dallo Stato deve avere dei vincoli. Uno dei vincoli fondamentali deve essere l’obbligo di destinare una parte delle risorse ricevute alla messa in sicurezza degli impianti. Non è più possibile accettare che ci sia un incidente perché un lavoratore è stanco per le troppe ore di straordinario accumulate, perché non ha una formazione adeguata come precario o perché è costretto a lavorare fino alla soglia dei 67 anni. Le tecnologia ci dice di poter reagire anche all’errore umano. Non ci può essere un incidente. E’ inconcepibile che le risorse siano utilizzate solo per il profitto e non per la qualità del modo in cui si lavora.


La riforma fiscale è eternamente all’ordine del giorno, ma non se ne fa mai nulla…

Non se ne fa mai nulla perché, se questo Paese ha la più alta evasione fiscale, evidentemente non si vogliono toccare le stratificazioni che si sono sedimentate in questi anni. I lavoratori e i pensionati sono quelli che alla fine della fiera pagano le tasse. Una riforma fiscale può significare qualcosa solo se mette mano ai privilegi colpendo i redditi in misura progressiva.


E la patrimoniale?

La patrimoniale sui grandi patrimoni, di cui si sta discutendo in tutti i Paesi, avrebbe sicuramente un grande peso e un grande significato.

Che cosa l’ha più fatta arrabbiare nei quindici mesi segnati dal dramma della pandemia?

Mi fa arrabbiare che i lavoratori vengano considerati indispensabili e un secondo dopo licenziabili. Vale per i metalmeccanici. Vale per i lavoratori delle pulizie che sono stati fondamentali durante la pandemia e sono senza contratto da dieci anni. Vale per chi dice che durante la pandemia non bisognava scioperare e noi naturalmente non li abbiamo ascoltati. Vale per chi pensa che i lavoratori siano uno strumento e non i soggetti fondamentali che fanno funzionare questo Paese.


Matteo Salvini, invece, per questo Paese è un pericolo?

Lo ha dimostrato durante il Governo giallo-verde. Vede, la disuguaglianza si fonda sulla disumanità. Quando non si vedono più i volti delle persone, quando i lavoratori immigrati diventano strumenti e numeri, siamo molto vicini al fascismo. Quando ci si impoverisce e qualcuno mette gli ultimi della scala gli uni contro gli altri, abbiamo visto nella storia come è andata a finire. Quindi, Salvini mi fa paura.


di Antonello Sette

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