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Franceschini apre ai 5Stelle, Renzi chiude, Zingaretti tentenna: nel Pd gioco dei quattro cantoni



“Franceschini dà un’intervista che apre ai 5Stelle per possibili alleanze in comune, oggi in Parlamento e domani per il voto/ Di Maio risponde piccato “manco per sogno”/ Zingaretti in parte smentisce che quella sia la linea del Pd, in parte sembra far capire che invece sì, lo è/ Renzi attacca Franceschini al grido di “Hai perso pure nella tua Ferrara, ancora parli?” e lancia l’hastag #senzadime/ Franceschini reagisce duro e piccato a Renzi/ nel Pd si schierano chi da una parte, chi dall’altra/ intanto una mozione di sfiducia del Pd da presentare contro Salvini ancora non c’è/ tanti cari saluti e arrivederci alla prossima puntata, arriverà presto”.


La soap opera ‘casa dem’ ogni giorno ha la sua puntata

Nell’eterno gioco dei quattro cantoni che anima il dibattito interno dem si potrebbe anche ridurla così, la questione: una sorta di scioglilingua in cui i gruppi dirigenti democrat si parlano via interviste e messaggi cifrati mentre gli elettori non ci capiscono nulla. Insomma, nel Pd, “la situazione è grave, ma non è seria” avrebbe detto Ennio Flaiano. Ma visto che abbiamo alcuni appassionati lettori desiderosi di approfondire i contorcimenti di budella del Pd, ecco l’ennesima puntata, una vera soap opera, di ‘casa dem’.


Franceschini dixit: “urge staccare l’M5S dalla Lega”

Il fuoco alle polveri lo dà l’ex ministro dei Beni culturali (ed ex segretario del Pd), Dario Franceschini, quello che Beppe Grillo, ai tempi in cui l’M5S lo guidava davvero, chiamava “il vice-disastro” (il titolare era Walter Veltroni). In un’intervista al Corriere della Sera e alla sua penna più brillante acuminata, nel seguire il centrosinistra, quella di Maria Teresa Meli, Franceschini cerca di dividere i destini – presenti e futuri – di Lega e M5S: “è un errore mettere Lega e grillini sullo stesso piano. Io vedo, come tutti, i limiti enormi dei Cinque Stelle, vedo i toni insopportabili, vedo l’incapacità nell’azione di governo, vedo la disgustosa strumentalizzazione della vicenda di Bibbiano, ma non posso non metterli su due piani diversi. Il reddito di cittadinanza o il no alla Tav sono errori politici ma non sono la stessa cosa del far morire la gente in mare o dell'accendere l’odio, che è ciò che Salvini fa ogni giorno”.


Il neo “arco costituzionale” tra Pd e M5S contro la Lega

Esclusa, almeno per ora (ma ‘never say never’, appunto), la possibilità di formare un governo con l’M5S, l’ex ministro spiega: “Vorrei si lavorasse per cercare di costruire, e so quanto sarà difficile e faticoso, un arco di forze che, anche se non governano insieme, sono pronte a difendere i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta e violenta”. Franceschini pensa a un nuovo ‘arco costituzionale’, come quello che, ai tempi della Prima Repubblica, isolava il Msi dai partiti (Dc, Psi, Pci, etc) che avevano fatto la Resistenza e scritto la Costituzione: “un nuovo arco costituzionale” che, oggi, dovrebbe essere un ‘tutti contro la Lega’ (sic).

Franceschini – che fa politica da oltre trent’anni e che sa come si gioca ‘di sponda’ per dividere il campo altrui - osserva anche alcune scelte di Giuseppe Conte e Roberto Fico, il comportamento europeista a Bruxelles del premier e, insomma, cerca di ‘staccare’ i destini della punta ‘moderata’ dei 5Stelle (Conte) e di quella ‘movimentista’ (Fico) dall’abbraccio mortale con la Lega. Infine, parla, ovviamente, anche a casa sua, cioè a nuora (Renzi) perché suocera (Zingaretti) intenda: “Si può aprire un tema politico senza che parta una campagna interna di aggressione? E si può dire che, senza la ricostruzione del campo del centrosinistra e la ricerca di potenziali alleati che sta facendo Zingaretti, difficilmente il Pd, con il sistema proporzionale vigente, potrà arrivare al 51%?”.

Infine, Franceschini nota che “questa legislatura eleggerà il prossimo Capo dello Stato”, tema che sta molto a cuore anche all’attuale inquilino del Colle. Un modo come un altro per dire: okkio, dobbiamo impedire che il futuro presidente della Repubblica venga eletto dalla maggioranza attuale gialloverde, serve il ‘ribaltone’ e un nuovo governo.


Di Maio: “Non voglio avere nulla a che fare con il Pd”

Prima ancora di dar conto dell’infuriata reazione di Renzi e dei suoi, sul taccuino risalta il secco e immediato il ‘no’ di Luigi Di Maio che affida ai social la sua replica: “Noi non vogliamo avere nulla a che fare con un partito che invece di supportare la nostra battaglia di civiltà nei confronti dei cittadini, ha saputo criticare il reddito di cittadinanza e oggi sta facendo le barricate contro il salario minimo. Noi siamo profondamente diversi da questi individui che hanno tradito la fiducia degli italiani”, dice Di Maio. Insomma, il ‘dialogo’ con i 5Stelle è bello che morto prima di iniziare. Di Maio e i suoi vogliono restare ‘incollati’ alle poltrone (e, quindi, alla Lega) e non possono permettersi di offrire a Salvini un pretesto – oltre ai tanti che già ha – per aprire una crisi di governo che precipiterebbe il Paese al voto e che li vedrebbe, di conseguenza, come i primi sconfitti.


Il vero obiettivo di Franceschini: attaccare Renzi

Non manca, però, nelle parole di Franceschini, il suo vero obiettivo, colpire Renzi e fargli male. Non che l’ex ministro dica cose nuove: a inizio legislatura fu lui – che accarezzava la possibilità di diventare presidente della Camera – il massimo teorico di un governo ‘del cambiamento’, sì, ma sull’asse Pd-M5S, maggioranza politica ipotetica, ma che godeva del placet del Quirinale, cui l’ex ministro è assai vicino. E si dice che, anche oggi, il Colle non vedrebbe con sfavore, se la maggioranza gialloverde dovesse rompersi, l’idea. Certo è che l’affondo è sulle scelte, quelle primigenie, di quando la legislatura, più di un anno fa, si formò, di Renzi, linea politica detta anche ‘strategia dei pop-corn’: “Da parte di Renzi c’è stata più volte la rivendicazione orgogliosa di aver lasciato che Lega e 5 Stelle facessero il governo”, dice Franceschini. “Io credo che quella sia la madre di tutti gli errori. Sì, un grande sbaglio non avere fatto tutto quello che avremmo potuto fare per evitare la saldatura di Lega e 5 Stelle, danni materiali agli italiani”. “La strategia dei pop corn – chiude - ha portato la Lega in un anno al 35%, abbiamo buttato un terzo dell’elettorato italiano e l’M5S in mano a Salvini”.


Renzi acido ribatte: “Parli tu che hai perso a Ferrara?”

Matteo Renzi, colto sul vivo, si scatena a stretto giro di post: “Non voterò la fiducia a un accordo M5s-Lega”. Poi attacca direttamente Franceschini: “Mi piacerebbe che chi come Dario è in politica da decenni avesse l’onestà intellettuale di fare un’analisi meno rozza”, scrive su Fb, attaccando “chi è sempre lì, dai tempi del governo D’Alema, a spiegarci come va il mondo dopo aver perso tutto”. “Aggiungo che chi, come Franceschini, ha perso nel proprio collegio e poi consegnato la propria città (Ferrara, ndr.) alla destra dopo settant’anni, forse potrebbe avere più rispetto per chi il collegio lo ha vinto e continua a governare i propri territori. A meno che non si voglia dire che anche a Ferrara ‘è colpa di Renzi’…”. Insomma, uno scontro in piena regola, tra i due, e con accuse durissime. La contro-replica di Franceschini è altrettanto dura, ma all’insegna dell’ironia: “A prima vista sono rimasto colpito dalla raffinatezza dell’analisi politica, ma devo rileggere più volte il post (di Renzi, ndr.) per cogliere meglio alcune sofisticate sfumature”. Manca solo l’avviso per recapitare il duello tra i duellanti all’alba, al convento dei Carmelitani.


La controffensiva dei renziani dalla Sicilia al Nazareno

Ma l’offensiva dei reanziani è a tutto campo e gli animi si accendono subito anche perché a problemi si sommano problemi, in questo caso di natura interna. In Sicilia, infatti, è successo che la commissione nazionale di garanzia, presieduta da Silvia Velo (orlandiana) ha ribaltato il risultato delle urne che avevano portato alla rielezione del segretario regione, Davide Faraone, renziano ortodosso (secondo lo Statuto del Pd la carica di segretario regionale è elettiva e si rinnova a ogni congresso del partito), per una serie di irregolarità riscontrate nel voto degli iscritti al Pd. “Stanno epurando a uno a uno i renziani del Pd per dimostrare ai 5S che ci sono le condizioni per un accordo. La Sicilia diventa così il laboratorio politico di questo esperimento. Mi batterò contro questa prospettiva” tuona proprio lui, l’ormai ex segretario regionale del Pd, Davide Faraone, in una conferenza stampa a Palermo, il quale annuncia anche di aver “restituito la tessera”, mentre non meglio precisati giovani democratici si catapultano a Roma, in pullman, per andare a protestare davanti al Nazareno.

Inoltre, nei giorni scorsi, Zingaretti ha scritto un tweet assai poco felice nei confronti del deputato dem Michele Anzaldi (watch dog del Pd in commissione di Vigilanza Rai) che lamentava l’assenza del suo partito nella sua – solitaria – battaglia di denuncia dello strapotere gialloverde in Rai: “A parte i saluti non ho mai conosciuto o parlato con Alzaldi” scrive Zingaretti con tono perfidi. Al di là del fatto che la cosa non è vero, Anzaldi si risente, poi il segretario re-twitta una foto in cui sono insieme e, insomma, pace fatta?


I renziani, un fiume in piena: scatenati su ‘Giu-Dario’

No, appunto, così non è perché tutti i renziani chiedono conto, più che a Franceschini, a Zingaretti della ventilata ipotesi di un accordo con i 5Stelle e lanciano l’hastag – su indicazione dello stesso Renzi - #senzadime. Il macroniano Sandro Gozi chiede polemicamente a Franceschini “se ora ci dobbiamo mettere tutti il gilet giallo?”. Alessandra Moretti esclude accordi con chi “ci ha insultati a colpi di fake news”, mentre per Andrea Romano un accordo sarebbe pericoloso “per lo stesso Pd che perderebbe istantaneamente il consenso di tutti gli italiani che non si riconoscono in questo governo incapace e dannoso per il Paese”. E sempre Faraone sostiene che “Franceschini uno dei protagonisti di questo schema, ormai abbastanza chiaro, un’operazione cinica e pericolosa contro cui mi batterò”. E anche Carlo Calenda chiede “una definitiva smentita alla ricerca di un accordo con M5S” e la costituzione di un “comitato di coordinamento politico (che dovrebbe comprendere, tra gli altri, Renzi, Gentiloni e Zingaretti, quindi una pia illusione...) per non andare in ordine sparso”.


I renziani tiepidi: Giacomelli e la “manovra a tenaglia”

Anche se, va detto, non tutti i renziani sono schierati come una compatta falange macedone sull’hastag ‘senza di me’. Infatti, i renziani ‘tiepidi’ dell’area Lotti-Guerini, “Base riformista”, curiosamente tacciono. Del resto, uno di loro, Antonello Giacomelli, un novello ‘incontro di Teano’ tra Pd e M5S lo teorizzano da sempre, come pure l’adozione di una nuova legge elettorale che preveda il ballottaggio. I maligni dicono che lo fanno per allungare il brodo – e, dunque, la legislatura – sapendo che non verranno ricandidati (i gruppi parlamentari sono, oggi, costituiti, per la maggior parte, da renziani e Zingaretti vuole andare al voto al più presto proprio per cambiarli radicalmente), un po’ lo fanno per una scelta ‘strategica’. Come ha detto, in più occasioni, proprio Giacomelli, “siamo in un sistema tripolare e si vota con il proporzionale. Se non diamo vita a una ‘politica delle alleanze’ restiamo all’opposizione per altri cinquant’anni, come successe al Pci verso la Dc” e il solo ‘polo’ cui ci si può rivolgere è proprio il ‘forno’ M5S. Ragionamenti, come si vede, non dissimili da quelli di Franceschini, della cui corrente Giacomelli faceva parte, e che vedono, forse, una manovra a tenaglia anti-Zingaretti che non parte dai renziani pasdaran di Giachetti e Ascani, ma appunto da chi, oggi, sta dentro l’area Zingaretti (Franceschini) e chi ne sta fuori (l’area Lotti-Guerini): uniti potrebbero impensierire il governo del Pd del segretario.

“L’intervista di Dario – spiega un renziano che era vicino a Franceschini - è un messaggio a Zingaretti, innanzitutto, e la risposta alla sua relazione nell’ultima Direzione sulla ‘vocazione maggioritaria’ del Pd e sul suo ‘basta correnti’. Dario attacca la suocera (Renzi) affinché la nuora (Zingaretti) intenda. Ed è un messaggio di avvertimento a Salvini (‘attento ad aprire la crisi perché potrebbe esserci un’alternativa). Anche Franceschini non vuole il voto con Zingaretti ancora forte nel partito e in asse con Gentiloni”.


Zingaretti un po’ smentisce Franceschini, un po’ no…

Ecco, appunto, Zingaretti. Il segretario dem non sa che pesci pigliare: sa che smentire ex abrupto Franceschini può costargli caro sia in termini di coerenza di linea politica (l’apertura all’M5S Zinga e i suoi la teorizzano da tempo) sia in termini di consenso politico interno (Franceschini ha una buona presa sui gruppi parlamentari e rappresenta un pezzo della maggioranza con cui governa il partito), quindi un po’ lo smentisce e un po’ no. ‘Alla Zingaretti’, ecco….


Il segretario assicura che “nessun governo con il M5s è alle porte e nessun governo con il M5s è l’obiettivo del Pd. Questo anche Franceschini lo dice in modo chiarissimo. Così come prendere atto che ci sono due forze diverse (Lega e M5S, ndr.) significa semplicemente evitare che sempre di più diventino un blocco. Invece non è così”.

Poi il segretario invita il suo partito a evitare distrazioni: “Concentriamoci questa settimana nella nostra funzione di opposizione. Ci sarà la vicenda del decreto ‘insicurezza’, l’audizione di Conte al Senato sull'affare Russia, al Senato inizia la discussione in commissione sul decreto Pillon, contro il quale lotteremo con tutte le nostre forze. C’è una agenda di forte battaglia politica” è l’invito che fa ai democrat, sia che siano big (come Franceschini) che semplici peones. Invito destinato a restare lettera morta.


Dentro il Pd nessuno decide ‘la linea’ su nulla…

Infatti, mentre il povero segretario chiede di “evitare tempeste a volte sono nei bicchieri d’acqua”, la polemica interna non si placa. E il Pd non riesce a decidere nulla su nessun argomento. Sulle missioni militari italiane all’estero (o ‘caso Libia’), Zingaretti voleva ‘sposare’ la linea Minniti ma i gruppi glielo hanno impedito ‘grazie’ alla ribellione di un pugno di parlamentari, capitanati da Matteo Orfini. Sulla mozione di sfiducia da presentare a Salvini e al governo ognuno va per sé: la Boschi annuncia che ne ha depositato una, Zingaretti va su tutte le furie (“Un grave errore politico che li ricompatta”), ma la Boschi – anima candida – ribatte di averne parlato nella riunione del gruppo alla Camera, riunione che, però, si era formalmente attestata sulla ‘linea Zingaretti’ (in soldoni, “aspettiamo di capire cosa dice Conte, poi decidiamo se presentare la mozione di sfiducia”) col povero capogruppo Delrio che non sa che pesci pigliare al punto da aver fatto pure un ‘sondaggio interno’ stile voto on-line dei 5Stelle: “vuoi tu la mozione di sfiducia o no!”. Venerdì, quando si sarà finalmente capito se il governo reggerà – e per quanto ancora – dopo i vari vertici tra Conte, Di Maio e Salvini e dopo l’informativa del premier al Senato sul caso Russiagate, si terrà la Direzione del Pd. Si preannunciano, ovviamente, scintille, con la minoranza renziana pronta a dare battaglia e a sparare ad alzo zero. Lega e M5S possono dormire sonni sereni e “andare avanti tranquillamente”: il Pd dovrebbe ‘esserci’, ma ‘non c’è’.


di Ettore Maria Colombo

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