Francesco Verducci, vicepresidente della commissione cultura del Senato e componente della commissione di Vigilanza Rai, guarda con preoccupazione al Vietnam quotidiano del governo Conte, un Vietnam di cui – e i sondaggi lo confermano - l’unica a giovarsi è la destra sovranista di Salvini e Meloni. E chiede con forza un cambio di passo al suo partito, perché «o il Pd sta in campo con una proposta forte e quindi esige che questa esperienza temporanea di governo con i Cinque stelle sia caratterizzata dalla discontinuità rispetto ai mesi precedente, oppure non ce la facciamo».
La parola chiave è temporanea, giusto senatore? Insomma l’idea di una alleanza organica del Pd coi Cinque stelle è stata un errore che va derubricato dall’agenda politica?
«Sì, ed è una cosa che penso e che ho esplicitato prima del risultato delle amministrative in Umbria. La litigiosità della compagine governativa - il corto circuito cui stiamo assistendo - è anche figlia di una torsione innaturale, quella cioè tesa a fare di questo governo il nucleo di una alleanza politica. Invece il governo va trattato per quello che è, ovvero un patto tra forze diverse e alternative l’una all’altra che serve in una fase emergenziale. Ritengo che sia stato assolutamente un errore pensare ad una alleanza strutturale, organica e strategica tra Pd e cinque stelle. Noi non possiamo pensare di allearci con una forza che ha una concezione del lavoro, della giustizia, della democrazia, radicalmente diversa dalla nostra. Si può pensare ad un accordo temporaneo con una forza del genere solo in un momento eccezionale, di fronte al rischio arrembante di una destra pericolosa, quella di Salvini e Meloni, ma certamente non costruire una coalizione politica. Perché sarebbe un esercizio in provetta che alla fine contraddirebbe le ragioni per cui il Pd è nato, che non sono quelle di schiacciarsi sul qualunquismo grillino o su una pericolosa attitudine a colpire la democrazia rappresentativa, ma invece di rilanciare la politica, il rapporto con la società, in particolare la capacità del Partito democratico di tornare in sintonia, anche emotiva sottolineo, con la stragrande maggioranza della società che in questi anni è stata colpita dalla crisi. Se noi pensiamo che tornando al governo abbiamo risolto i nostri problemi non abbiamo capito nulla. E andiamo a sbattere».
Lei pensa che nell’accordo con i Cinque stelle il Pd rischia di perdere. Perdere l’anima e i consensi. Ma qual è l’anima del Pd, perché a poco più di un mese dalla scissione di Renzi ancora non si è capito bene?
«Il problema principale del Partito democratico è la sua incapacità di avere un progetto di società che parli a quelli che sono stati colpiti dalla crisi. Un progetto che parli alle nuove generazioni, a coloro che hanno perso il lavoro e non ce la fanno a ritrovarlo, ai piccoli imprenditori, agli artigiani, ai tanti innovatori che fanno fatica ad emergere nel mercato globale. Questo è il nostro retroterra ed è un retroterra che in mancanza di una proposta forte da parte del Pd rischia di essere catturato dalla propaganda, falsa, ripeto fal-sa, della Lega e di Fratelli d’Italia».
E’ mancata la discontinuità Verducci?
«E me lo chiede? Avremmo dovuto cancellare i vergognosi decreti sicurezza e invece il primo atto politico di questo governo è stato il taglio dei parlamentari. E’ pazzesco che ogni volta che c’è una nave di migranti al largo delle nostre coste ci troviamo a chiedere al nuovo ministro degli Interni di assegnare un porto sicuro quando la cosa dovrebbe avvenire in modo automatico! Sottolineo poi che in virtù di questi cosiddetti decreti sicurezza migliaia di persone in queste settimane sono state espulse dal sistema della legalità e buttate nelle braccia delle organizzazioni criminali. Cancellare quelle norme incivili e incostituzionali significherebbe un atto molto forte, capace di rimetterci in ascolto con il nostro popolo».
Ha fatto cenno prima alla riduzione del numero dei parlamentari che il Pd ha dovuto ingoiare per dar vita all’esecutivo. Un errore anche quello?
«Un errore gravissimo. Noi siamo stati costretti praticamente a votare come primo atto di questo governo il taglio dei parlamentari, dopo che per ben tre volte in parlamento avevamo espresso un no motivato. Vedo dei rischi enormi nella riduzione dei parlamentari che porterà ad un contraccolpo negativo sulla rappresentanza sociale e territoriale. Quanto tu passi alla Camera dall’avere un collegio ogni 200mila abitanti a 500mila e al Senato da 500mila a un milione di abitanti è chiaro che i territori marginali faranno molta fatica ad avere dei rappresentanti nelle istituzioni. Un taglio lineare di questo tipo lo puoi reggere solamente se cambi la legge elettorale, perché una riduzione dei parlamentari, combinata con l’attuale legge elettorale, porterebbe ad una distorsione pesantissima della rappresentanza. Allora anche qui il Pd deve far sentire la sua voce: occorre una nuova leggere elettorale e il nuovo governo serve pure a questo, a fare una legge elettorale proporzionale con uno sbarramento».
Già, ma pare che la questione sia scomparsa dal radar. Vi siete fidati delle generica disponibilità del M5S.
«Va messa in sicurezza la democrazia con politiche istituzionali che tolgano di mezzo un maggioritario molto pericoloso in tempi di sovranismo. Tutto questo è contro la vocazione maggioritaria del Pd? Assolutamente no. Voglio ricordare che il Pd nel 2014 prese il 40 per cento dei voti con una legge elettorale proporzionale. Quando tu hai una proposta politica forte è lì che si esplicita la vocazione maggioritaria, vocazione che trova coronamento anche in una legge elettorale proporzionale. Per prendere i voti non serve l’artifizio di una legge maggioritaria, serve esplicitare con chiarezza la propria identità».
Che attualmente manca?
«Il tema è politico, il Pd rischia di non essere percepito in questa esperienza di governo. Finiamo solo per apparire come la forza politica che di fronte al crollo dell’esperienza gialloverde ha sostituito al governo il partito, la Lega, che se n’è andato. Noi siamo al governo per cambiare le cose sennò non ne vale la pena».
E infatti i sondaggi registrano non solo l’ulteriore arretramento del Movimento Cinque stelle ma anche quello del Pd. Brutto segnale.
«La crisi dei Cinque stelle è drammatica, però complessivamente c’è anche una difficoltà molto forte nostra. E io dico che siccome il sommovimento che è accaduto nelle scorse settimane dopo la fine del governo Salvini-Di Maio è stato enorme, il Pd non può fare finta di nulla, ha bisogno di una salutare rivoluzione. La scissione di Renzi è stata sbagliatissima, però il Pd non può rimanere fermo, perché comunque quella scissione enfatizza un punto che da troppo tempo noi non affrontiamo: ovvero qual è la nostra proposta, il nostro modo di esistere, che tipo di partecipazione diamo a chi vuole impegnarsi in politica. Tutti nodi che invece non vengono affrontati. Abbiamo una responsabilità enorme, non si può vivacchiare. Questo è un governo che ha il dovere di fare cose importanti e tra l’altro non andrà avanti solo per i numeri parlamentari, ma andrà avanti se avrà un consenso nel Paese, se si dà un patto chiaro, che insisto, non deve essere propedeutico ad una alleanza politica. E una esperienza necessaria che ha validissime ragioni, fermare cioè il tentativo pericoloso della destra ed evitare che il prossimo Capo dello Stato sia espressione di un fronte sovranista che ha posizioni in contrasto con quelli che sono i nostri valori costituzionali. Ma detto questo bisogna anche darsi delle priorità, che sono: politiche sociali assolutamente radicali e mettere in sicurezza la nostra democrazia con una nuova legge elettorale. Fatto questo si può tornare a votare».
Arrivare al 2023, ma con chi a palazzo Chigi, senatore? Renzi ha detto chiaramente che del destino di Conte poco gli importa. Se a ciò aggiungiamo che in questi giorni si è parlato insistentemente di un esecutivo Draghi, l’avvocato del popolo, come amava definirsi, ha di che essere preoccupato. E poi esecutivo Draghi sostenuto da chi? Con una sponda berlusconiana e la regia di Matteo Renzi?
«Questa è fantapolitica non esiste e non esiste che il Pd possa allearsi con le forze di centrodestra. La formula di governo deve rimanere questa, quella che deve cambiare è la mentalità del governo e le regole di ingaggio».
Vicenda Ilva, che idea si è fatta?
«L’Ilva e la siderurgia sono un pezzo importante del sistema paese. Non c’è solo il tema della credibilità rispetto agli investitori stranieri ma c’è in primo luogo il tema di un paese che per sedere al G7 ha bisogno di non rinunciare ad un importante settore strategico. Essere andati in corto circuito su questo è l’ennesima dimostrazione che serve una discontinuità vera rispetto al governo precedente e che l’arrendevolezza non porta bene al governo».
Altra questione strategica e che segue da vicino è quella della Rai. C’è una questione di pluralismo negato a viale Mazzini?
«Il tema del pluralismo in Rai è un tema enorme e per me vale allo stesso modo sia quando siamo all’opposizione, sia quando siamo al governo. In Rai c’è un tema di pluralismo perché la Rai è ancora quella sovranista, costruita a immagine e somiglianza di Foa e della sua maggioranza in consiglio di amministrazione. Questo è insostenibile e io mi aspetto una discontinuità rispetto all’occupazione dei 14 mesi precedenti. Una occupazione, voglio ricordarlo con forza, che ha portato ad una crisi di ascolti senza precedenti. La crisi di ascolti di Raiuno nello specifico è una crisi di credibilità enorme. E’ vero che ci sono programmi importanti che danno lustro alla Rai, penso ad Alberto Angela o all’intelligenza di Fiorello, però rimane che Raiuno è un canale che nell’arco della giornata ha perso moltissimi telespettatori. E se non regge Raiuno viene giù tutta l’azienda del servizio pubblico».
Anche i Tg del primo e secondo canale, quelli diretti rispettivamente dal “grillino” Giuseppe Carboni e dal “leghista” Gennaro Sangiuliano, perdono sensibilmente terreno.
«Sì, il dato degli ascolti persi dal Tg1 e dal Tg2 è eclatante. L’edizione più importante del Tg1, quella delle 20, e l’edizione più importante del Tg2, quella delle 13 hanno avuto cali di ascolto verticali. Quindi mi auguro che i temi Raiuno, Tg1 e Tg2 non rimangano sospesi, sono questioni che vanno affrontate».
Il fatto è che c’è ancora una filiera che parte da Foa e arriva alla De Santis passando per il Tg di Sangiuliano. Non è singolare che questa filiera, questa catena di comando, sia ancora in sella? Si aspetta novità dal prossimo cda dell’11 novembre?
«Non tocca a me entrare nello aspecifico, tocca a me, come parlamentare in Commissione di vigilanza Rai, dire che i colpi al pluralismo dati dalla Rai sovranista sono inaccettabili e che c’è bisogno di discontinuità. Tocca a me dire che il calo degli ascolti del servizio pubblico, causato dal sovranismo esasperato di quest’anno e mezzo, è inaccettabile e che bisogna voltare pagina. Vede, non ci deve essere una Rai giallorossa dopo quella gialloverde. Ci deve essere una Rai autonoma, rispettosa e pluralista. E mi auguro anche, per quel che riguarda il personale del servizio pubblico, che si possa finalmente dare attuazione a quell’articolo del Contratto di servizio - voluto con forza dal Pd nella scorsa legislatura - che per la prima volta mette al centro di tutte le strategie dell’azienda il tema dei lavoratori, del riconoscimento della loro professionalità. Quindi merito e rappresentanza nelle loro carriere».
A proposito di merito e Contratto di servizio, come giudica il caso della giornalista del Tg2 Anna Mazzone che ha pubblicato un fotomontaggio nel quale il volto della ex presidente della Camera Laura Boldrini sostituisce quello della regina Maria Antonietta in abiti sontuosi mentre sullo sfondo campeggia la scritta “Maestà il popolo ha fame. Tappategli la bocca con la commissione contro l’odio”?
«Le linee guida sui social network approvate in Vigilanza e il Codice etico non sono carta straccia. L’amministratore delegato Salini e il Presidente Foa hanno il dovere di intervenire formalmente nei confronti dei giornalisti che violano i codici di comportamento Le linee guida richiamano i giornalisti ad osservare i princìpi deontologici della propria categoria e quelli di divieto di discriminazione, rispetto della dignità delle persone, contrasto a ogni forma di violenza, anche verbale, sanciti nel Contratto di servizio, ai quali tutto il personale Rai deve attenersi».
Giampiero Cazzato
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