Sono stati condannati anche in sede civile per l'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, ma i boss purtroppo non pagheranno neanche un solo euro, dal momento che il loro patrimonio è stato posto sotto sequestrato; ma i milioni che saranno versati alla madre e al fratello della vittima, insieme con le motivazioni espresse dal giudice di Palermo Paolo Criscuoli in sede processuale, rendo giustizia umana, anche se non riportano in vita il piccolo barbaramente ucciso, di uno degli omicidi più efferati e disumani mai compiuti da Cosa Nostra.
Era il lontano novembre del 1993 quando Giuseppe fu rapito a Piana degli Albanesi: non aveva ancora compito tredici anni quando un gruppo di persone con indosso divise delle forze dell'ordine disse al ragazzino di seguirli, che sarebbe stato condotto dal padre, Santino Di Matteo, un pentito di mafia che in quei giorni aveva cominciato a collaborare con la giustizia inchiodando con le sue dichiarazioni, anche il boss di San Giuseppe Jato, paese del Palermitano, Giovanni Brusca. Nello stesso luogo Giuseppe morirà, disciolto nell'acido, molto tempo dopo il suo sequestro La mamma del giovane decise di denunciare la scomparsa del bimbo soltanto venti giorni dopo il rapimento e lasciando passare due settimane dalla prima minaccia scritta recapitatele per posta: una foto del figlio che tiene in mano una copia del quotidiano «Il Messaggero» con la data del 29 novembre '93 e un biglietto intimidatorio nei confronti del marito.
Franca Castellese, madre dell’ucciso, e il fratello Nicola avevano già ricevuto quattrocentomila euro di provvisionale dopo il processo penale, denaro che adesso sarà sottratto ai due milioni ora stabiliti dal giudice in seguito al procedimento civile che si è aperto nel 2015.Il giudice Criscuoli scrive nelle motivazioni della sentenza: «è stata lesa la dignità della persona, il diritto del minore a un ambiente sano, a una famiglia, a uno sviluppo armonioso, in linea con le inclinazioni personali, ad un'istruzione. Beni ed interessi di primario rilievo costituzionale che, pertanto, trovano diretta tutela, anche risarcitoria».
La condanna esemplare è quindi per il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, ma anche per Benedetto Capizzi, Cristoforo Cannella, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone ed il pentito Gaspare Spatuzza.
DPF
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