Marco Gervasoni, docente di storia contemporanea e scrittore, in un’intervista a Spraynews, interviene sui temi, tanto discussi, della giustizia e sostiene come la candidatura di Palamara alle suppletive possa riaprire il dibattito fermatosi a causa della pandemia.
In seguito allo spettacolo di Sylos Labini ha partecipato al dibattito tenutosi presso il teatro Sala Umberto a Roma. Che idea si è fatto sul racconto messo in scena dal noto regista e denunciato da Palamara?
«Lo avevo già visto e seguito, anche durante le prove, perché conosco Sylos Labini da tempo e collaboro con CulturaIdentità di cui faccio parte. Ero interessato, comunque, al “Sistema”, soprattutto per un’altra ragione perché rappresenta un esempio molto originale di teatro civile orientato non a sinistra, ma verso una critica del rapporto tra i giudici e la sinistra. Non di per sé uno spettacolo di destra, ma che denuncia un qualcosa che un liberale dovrebbe trovare a prescindere poco democratico, cioè la politicizzazione della magistratura. La forza della messa in scena mette in risalto le storture di un qualcosa che non funziona».
A suo parere, esiste il “Sistema” portato a teatro da Sylos Labini?
«Certamente, come ho anche ribadito nel dibattito che ho tenuto insieme a Giampaolo Rossi. Non è stata effettuata, infatti, alcun tipo di riforma che impedisca che quello che Palamara ha denunciato si riproduca. Il sistema c’è ancora. Forse rispetto a prima è indebolito, ovvero si fanno le stesse cose ma in maniera più nascosta e attenta. L’elemento di novità, che viene fuori sia dal libro che dallo spettacolo, è una sorta di guerra civile all’interno della magistratura. Ogni giorno ci sono episodi del genere».
Le sembra giusto che il correntismo spesso rovini la vita di tante persone?
«Io stesso sono vittima della magistratura politicizzata. Con guerra civile, però, intendevo che sono gli stessi togati oggi ad attaccarsi tra loro, aspetto nuovo, considerando che fino a qualche anno fa, essendo la magistratura una corporazione, probabilmente la più potente d’Italia in quanto intoccabile, agiva da tale. L’aspetto più sorprendente di questi giorni, infatti, sono le frizioni all’interno della corrente di sinistra, cioè quella che veniva da magistratura democratica. Questo, a mio parere, è un effetto anche del libro di Palamara. Altro elemento di novità, poi, sono i referendum, proposti da Lega e Radicali».
Cosa ne pensa dei quesiti referendari?
«Se approvati tutti dalla Corte Costituzionale e passassero tutti, assai improbabile, certamente condurrebbero a una reale riforma della magistratura».
Palamara, intanto, si candida alle suppletive nel collegio romano lasciato libero dai 5 Stelle. Condivide tale decisione?
«La sua discesa in campo mi sembra utile al dibattito. Il caso Palamara era esploso poco prima del Covid e quindi la pandemia ha distratto su altre questioni. Se non si agisce adesso sul tema, però, ci ritroveremo i problemi della magistratura aggravati. Ritengo, quindi, la sua candidatura, a maggior ragione se dovesse essere eletto parlamentare, un modo per esprimere una posizione forte sulla riforma della giustizia e quindi contro quella politicizzata».
E’ meravigliato dal fatto che quei partiti che fino a poco prima delle elezioni avevano portato in una sorta di processione l’ex togato, adesso non lo sostengano?
«Avrebbero dovuto sostenerlo, ma non sono d’accordo sul fatto che l’abbiano portato in processione. Giustamente hanno denunciato il rapporto tra Pd e magistratura. Era chiaro che Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia utilizzassero lo scandalo Palamara contro gli avversari politici. Era giusto, da questo però non derivava che lo avrebbero sostenuto in caso di una sua discesa in politica».
Nei fatti, però, sembra che non ci sia stato un comportamento conseguenziale alle rivelazioni di Palamara. Non le sembra che non sia cambiato nulla da quando l’ex togato ha parlato della tanto discussa cena in cui sarebbe stato eletto il vice presidente del Csm?
«Il sistema è talmente potente e stratificato, che magari bastassero un libro che ha venduto tantissimo o uno spettacolo che sta facendo il giro d’Italia per abbatterlo. In un altro paese, la stessa vicenda avrebbe prodotto una riforma reale della magistratura e probabilmente un tracollo del partito che aveva consentito tutto ciò. In Italia non accade nulla e gli elettori del Pd continuano a votare una forza che è complice del sistema. Anzi i suoi simpatizzanti continuano a dire di essere i migliori, diversi dagli altri. Fuori dall’Italia non sarebbe stato consentito. Lo strapotere della magistratura, purtroppo, è una delle storture italiane».
Nel Pd, però, diversi nomi importanti hanno iniziato a prendere le distanze dal giustizialismo degli ultimi anni. Basti pensare a Goffredo Bettini. Sta realmente cambiando qualcosa?
«A parte figure ormai abbastanza isolate e autorevoli, come Violante, che fanno un discorso serio sul tema, gli altri fanno solo tatticismo. Il Pd stesso spesso è vittima di ciò che ha creato, ovvero della magistratura politicizzata. Questo partito, fa il garantista quando vengono beccati i suoi iscritti, mentre è giustizialista quando tocca agli altri. Tutto ciò è quindi strumentale. Bisogna poi aggiungere che fino all’ascesa dei 5 Stelle l’unico partito della magistratura era il Pd. Da quando è nato il Movimento, ce ne sono due e anzi questa forza lo è addirittura di più di chi l’ha preceduta. Questo, pertanto, ha comportato un discorso differente a livello di strategia. Guarda caso, però, Letta è tornato giustizialista. Non ho sentito da parte sua, da quando è diventato segretario dei dem, una parola da garantista. Assisto, pertanto, solo a trasformazioni strumentali».
Di Edoardo Sirignano
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