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Gheddafi mai come Fidel, era un megalomane che comprava squadre di calcio per far giocare il figlio

Aggiornamento: 12 nov 2018


Roberto Costantini

Intervista a Roberto Costantini, il cui ultimo libro, “Da molto lontano” (Marsilio editore), è appena arrivato in libreria: proprio alla vigilia (una coincidenza speriamo fortunata!) della conferenza di Palermo sulla Libia.

Costantini, infatti, in Libia, ci è nato e vi ha ambientato parti fondamentali dei suoi “gialli”, poiché anche il suo protagonista, il commissario Michele Balistreri è un italiano nato in Libia.


Roberto, che effetto ti fa vedere che l’Italia prova ad organizzare la conferenza di pace sulla Libia, ma fatica molto a trovare il bandolo della matassa, tra bande rivali, governi locali contrapposti tra loro, alcuni dei quali controllano solo parti irrisorie di territorio, alleati europei che ostentatamente disertano l’appuntamento? Insomma, sembra un’Italia che fatica a tornare ad essere protagonista in un Paese, la Libia appunto, che ha rappresentato per noi, nel corso di un secolo, un pezzo importante della nostra storia, nel bene e nel male.


Penso che le bande rivali non siano solo in Libia. Purtroppo per l’Italia il passato di ex colonizzatore pesa, noi lì siamo un po' come la Francia in Algeria, solo che noi dell’Algeria non ci siamo mai immischiati mentre i francesi prima hanno bombardato Gheddafi e ora vorrebbero una pace che favorisca le loro aziende.


Quando hai lasciato la Libia e a che età?

Dal 1970, a 18 anni


Ci sei mai più tornato?

No, prima era proibito, ora che si può non ho alcun desiderio di tornarci. Credo sia normale, me ne sono andato senza rimpianti ma con bei ricordi, non vorrei trasformare anche i bei ricordi in rimpianti


Memoria di troppo dolore o troppo (legittimo) rancore verso chi vi aveva cacciati ed espropriati di tutto?

Nessun rancore. Grazie ad Antonio Ghirelli scrissi sul Corriere dello Sport nel novembe 1970 che la politica anti colonialista di Gheddafi era comprensibile e giustificabile e lo penso ancora (erano quelle del governo italiano ad essere miserabili). Poi c’è il giudizio sulla persona. Scrissi già allora che secondo me con Gheddafi anche molti libici sarebbero stati malissimo. Decenni dopo non ci sono più dubbi: Gheddafi ma non è mai stato un Fidel Castro, non ha combattuto contro una dittatura per prendere il potere, sin dall’inizio ha fatto uccidere dai sicari i suoi nemici politici e favorito la sua tribù e la sua famiglia. Era un personaggio squallido e megalomane che comprava quote di squadre di calcio per far giocare quell’incapace del figlio e finanziava figli che spendevano in gioielli e prostitute e distruggevano alberghi.


In ogni caso, dai tuoi libri si comprende che il legame affettivo (o forse, più che affettivo, direi emozionale) verso la Libia rimane in te fortissimo: la figura di Balistreri sembra quasi un omaggio alla tua memoria di ragazzo e alla memoria collettiva della comunità mista italiana e libica sino al 1970.

La figura di Balistreri è utilizzata per raccontare la storia di un uomo pessimo col solo pregio di non tradire che vive in mezzo a brava gente che tradisce ogni giorno. Tutta la trilogia, nelle dediche, è rivolta al popolo libico, di amici libici scomparsi durante i decenni di Gheddafi ne ho tanti…


Da colonizzatori a profughi. Come si viveva da bambini e da ragazzi con il passato coloniale? Lo percepivi, ve lo facevano pesare?

Io mi sono sempre trovato bene con gli arabi. I migliori amici di Mike Balistreri bambino sono libici


Gli eventi del 2011 (la guerra civile, l’uccisione di Gheddafi, la Libia nel caos) come li hai vissuti? In Italia – sai benissimo – ci sono molti che, pur non avendo mai apprezzato Gheddafi, lo rimpiangono per ragioni di stabilità geopolitica dell’area e di affari…

Qualcuno ne parla bene? Non c’è da stupirsi, l’Italia è piena di gente che non sa di cosa parla oppure se ne frega, pur di farci dei soldi. Che squallore… Questo “era meglio quando si stava peggio” di giornalisti, politici ed imprenditori italiani è quello che Balistreri chiamerebbe la miserabile conferma di chi vive alle spalle degli altri o che Ricucci avrebbe definito in modo più volgare e colorito. Eppure siamo un paese che ha avuto una dittatura. Se questi signori avessero avuto un figlio o un fratello imprigionato o scomparso sotto Gheddafi forse la penserebbero diversamente.


Hai mantenuto rapporti con amici libici ancora residenti lì? Vi sentite? Che cosa ti raccontano?

Ho amici a Tripoli, Misurata, Benghazi. Ciascuno ha le sue istanze, ma su una cosa concordano: nessuno rimpiange Gheddafi tranne chi aveva benefici economici diretti, spesso illeciti.


Per concludere. Ambienteresti un romanzo (o parte di esso, come hai fatto sinora) nella Libia di oggi? Balistreri, secondo me, sarebbe perfetto, ancorché in pensione, nel fare il doppio o triplo gioco tra le opposte fazioni: per poi, magari, alla fine, essere sconfitto da chi riesce ad essere più cinico di lui. Non sarebbe la prima volta…

Mi riprometto di ricominciare a scrivere sulla Libia solo se prima troverò la voglia di tornarci, vedremo…


di Gabriella Serrenti

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