Giancarlo Verrelli, imprenditore, Presidente dell’Associazione Culturale Pala Eventi Roma.
Verrelli, lei era un imprenditore di successo, leader nel settore dell’organizzazione di grandi eventi. Poi sette anni fa, improvvisamente, accade l’imprevedibile, anzi l’impossibile. Nel 2014 lei entra dentro un incubo, dentro un tunnel buio da cui non è mai uscito. Un pasticciaccio brutto che vede protagonista il Comune di Roma, di cui all’epoca era Sindaco Ignazio Marino…
Le ferite sono indelebili. Non si potranno mai rimarginare. Ho subito danni economici irreparabili, ma questo sarebbe il meno. Ho capito sulla mia pelle che il dolore può uccidere. Ho perso una sorella nel giro di due giorni quando ha capito che suo figlio, entrato a far parte della mia associazione, aveva venduto il suo negozio per nulla. Di dolore è morto anche mio fratello, che aveva finanziato mio figlio. Abbiamo perso l’oro di famiglia, che avevamo dato in pegno. Abbiamo perso, tutti, tutto.
Mi racconta come ha imboccato questo vicolo cieco che vi ha travolto?
Tutto ha inizio il 2 maggio 2014 quando il Comune pubblica un avviso pubblico per lo svolgimento di manifestazioni nell’ambito dell’Estate Romana. A seguito di quel bando mi assegnano un’area di settantamila metri quadri a Tor di Quinto, là dove un tempo era sorto il Gran Teatro. Dovevo bonificarla, recintarla, metterla in sicurezza, dotarla dei cancelli di ingresso e di tutte le attrezzature necessarie. Tutto a spese mie. Il Comune di Roma mi autorizza ad aprire il cantiere dal primo agosto. Mi danno trenta giorni per completare l’opera. Io non perdo tempo. Mi metto in moto pieno di entusiasmo e di buona volontà. Purtroppo, mi mettono subito i bastoni fra le ruote.
Chi le se è messo di traverso?
E’ difficile darle una risposta secca. So che inizia un balletto fra il Comune e il Municipio. Agivano autonomamente senza comunicare fra loro. Noi stavamo in mezzo, costretti a navigare in mare aperto, senza né bussole né punti riferimento. A complicare una matassa via via più ingarbugliata, ci si mettono d’impegno una serie di politici che ci fanno degli strani discorsi, che più ambigui non si può. Nonostante tutto, abbiamo lavorato giorno e notte. Eravamo in quindici, nessuno si è mai tirato indietro. Fino a quando abbiamo potuto. Fino ai bracci di ferro e alle complicazioni di ogni tipo. Fino alle richieste urgenti di documenti e dei contratti di fornitura. Fino ai sopraluoghi incrociati e al via vai di polizia e carabinieri. Un passo avanti e due indietro. Come in una bufera che ti investe in alta montagna. Una tortura quotidiana. A un certo punto ci dicono di aver scoperto che il terreno non era del Comune di Roma, ma della società privata “Sviluppo finanziario”, con cui tempestivamente sottoscriviamo un contratto di locazione. Quando pensiamo che finalmente è tutto chiarito, arriva l’iperbole, la pazzia burocratica allo stato puro. Atto primo: il Comune decide di procedere all’esproprio del terreno. Atto secondo: il Comune ci ripensa quando scopre di aver acquistato quell’area nel 2003 per cinque milioni di euro in contanti.
In contanti?
Sì, ha capito bene. Cinque milioni di euro in carta moneta per un acquisto fantasma che non era mai stato trascritto da nessuna parte. A quel punto abbiamo chiuso i cancelli dell’area e atteso, non sapevamo neppure noi che cosa. L’abbiamo capito quando, su ordine, presumo, del quindicesimo municipio, arrivano, smontano, distruggono. Un’irruzione devastante come un tsunami che constatarono direttamente i carabinieri, da noi chiamati in fretta e furia la sera stessa. Tutto finito. Tutto sparito. Tutto cancellato in poche ore. Soldi, fatica, passione. Tutto in frantumi.
E’ riuscito a capire chi era l’incaricato della devastazione?
Credo un circense che di fatto fece da apripista al Circo Americano prima e successivamente al Cirque du Soleil. Hanno montato i loro circhi senza problemi e, aggiungerei, apparentemente senza vincoli e condizioni. Senza, naturalmente, bastoni fra le ruote. Quelli che avevano messo a noi. Ininterrottamente. Fino alla catastrofe.
E’ vero che l’hanno addirittura condannato a risarcire il Comune di Roma?
Sì, ho dovuto pagare una multa di diecimila euro perché avrei presentato i documenti in modo pasticciato. Il pasticcio lo avrei fatto io, non loro. Roba da non credere. Roba da impazzire.
Che cosa le è rimasto dentro?
Un chiodo conficcato nell’anima. Ho perso due fratelli morti per il dolore. Cinquecentomila, seicentomila euro. La salute della mia famiglia. La rabbia che ti assale nelle notti insonni. Da allora a casa mia non si dorme più. Mia moglie dice che la notte tremo e salto, senza un attimo di pace. E come potrei avere pace vedendo mio figlio che cerca da allora rifugio nell’alcol. Abbiamo perso tutto, compresi alcuni beni di famiglia, che per noi avevano un inestimabile e non risarcibile valore affettivo.
Le hanno rubato la vita?
L’hanno trasformato in un incubo destinato a non finire mai.
Che cosa chiede per provare a tornare a vivere?
Chiedo giustizia. Un po’ di giustizia finalmente. Ho scritto per due volte al Presidente della Repubblica. Mi hanno riposto che non rientra nelle loro competenze. Ci sarà qualcuno che è competente. Qualcuno che abbia il coraggio di chiedere scusa a me e a quel che resta della mia famiglia Restituendoci quello che è restituibile di una vita spezzata in due dall’avviso pubblico dell’Estate Romana, datato 2 maggio 2014. Numero di protocollo 14464.
di Antonello Sette
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