«Gilet gialli, non mollate!». L'incipit del post di Luigi di Maio sul "Blog delle Stelle" di ieri scatena la reazione dallo stesso Movimento e da tutto il mondo politico.
Il vicepremier grillino sta seguendo la battaglia francese dal primo giorno, quel 17 novembre in cui 300 mila persone in tutta la Francia scesero in piazza per protestare contro la "carbon tax" che portava un aumento del diesel di sei centesimi e mezzo al litro.
«In Francia come in Italia la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini», prosegue Di Maio nel blog. In realtà, il presidente Emmanuel Macron dopo i due primi week end di proteste e devastazioni ha ritirato l'aumento, promettendo anche 10 miliardi di euro di aiuti per sostenere il potere d'acquisto delle fasce più deboli. Ma le proteste sono proseguite, anche se la platea si è assottigliata, scendendo a 50 mila senza maniche in piazza. Sono rimasti però i più violenti, e la stessa protesta è passata dalla richiesta dell'annullamento dell'aumento del carburante alle dimissioni di Macron e all'esigere una democrazia diversa, più partecipativa.
È proprio quello su cui batte Di Maio: «Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: "Fateci partecipare!"», scrive il ministro dello Sviluppo Economico, che trova nella protesta francese «lo stesso spirito che ha animato il Movimento 5 Stelle e migliaia di italiani fin dal 4 ottobre 2009, giorno della nostra nascita». Il leader grillino si rivolge ai gilet gialli, anche se non nomina le formazioni politiche che da esso stanno nascendo, rinnegando quello spirito che li aveva animati all'inizio della protesta: "Il movimento", nato sabato a Marsiglia e ieri, lunedì, "Gli emergenti" di Jacline Mouraud. A loro Di Maio è pronto a dare sostegno, mettendo «a disposizione alcune funzioni del nostro sistema operativo per la democrazia diretta, Rousseau, per esempio il "call to action" per organizzare eventi sul territorio o il sistema di voto per definire il programma elettorale e scegliere i candidati da presentare alle elezioni».
Di Maio bacchetta il ministro dell'Interno francese Christophe Castaner, per il quale il movimento dei gilet gialli non è rappresentativo della Francia coinvolgendo solo 50 mila persone. «Dicevano lo stesso di noi», replica Di Maio, «oggi siamo al governo e chi ci prendeva in giro è scomparso dalla scena politica». E dal governo francese la replica spetta al ministro per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, che in un tweet invita Salvini e Di Maio a imparare a fare pulizia in casa propria. Immediata la replica di Di Maio: «Quanta ipocrisia! Forse si dimentica di quando Macron , parlando del nostro governo, ci aveva paragonato alla lebbra».
Netta la presa di distanza di Di Maio dalle violenze dei gilet gialli: «Condanniamo con forza chi ha causato violenze durante le manifestazioni», ma le critiche sembrano ignorarlo. Come quella dello stato maggiore del Pd, con Matteo Renzi e Maurizio Martina che sottolineano il sostegno grillino a un movimento che usa la violenza «nei palazzi delle istituzioni e contro i poliziotti». Forza Italia, poi, vede a rischio le relazioni tra Italia e Francia mentre Salvini dà sostegno alla protesta pacifica e condanna quella violenta: «Una cosa sono i cittadini che educatamente fanno presente a Macron che prima va a casa meglio è, un conto è protestare contro il caro benzina, altro sfasciare vetrine». Forse avrebbe dato dei maleducati anche ai sanculotti.
Cade nell'equivoco anche qualcuno dei grillini critici verso l'attuale deriva del Movimento, passato dalla protesta al governo. È il caso della senatrice Elena Fattori, che al Corsera dice chiaramente di non condividere la linea del suo leader: «Noi siamo stati e siamo francescani, quelli lì sono violenti, la nostra è stata una rivoluzione gentile. A noi non ci sarebbe mai frullato per la testa di andare a sfondare l'ingresso di un ministero o di lanciare petardi». Fattori dice che il Movimento non è stato consultato sull'argomento gilet gialli, contravvenendo anche al principio di non intervenire su quanto succede all'estero; tanto che Renzi venne criticato per un suo endorsement al presidente francese. E conclude: «Non possiamo sostenere un movimento che si fa sempre più violento».
di Paolo dal Dosso
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