«Ma sì, ce la facciamo, ce la facciamo…». Giancarlo Giorgetti, il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio, lo dice con uno dei suoi enigmatici sorrisi sulla bocca, sfrecciando veloce nel tardo pomeriggio di martedì 18 dicembre per i corridoi di Montecitorio. Siamo alle battute finali della trattativa sulla manovra con l’Europa. Il Senato dovrà probabilmente attendere giovedì 20 prima che arrivi in aula. E le opposizioni, il Pd in particolare, fremono tentate quasi a un certo punto, azzarda qualcuno, dall’occupazione dell’aula. Ma il sottosegretario leghista, il potente “Richelieu padano” sembra avere l’aria di uno che sta facendo di tutto per tenere le cose sotto controllo. E quando gli si ricorda l’attacco che ha sferrato sere fa al reddito di cittadinanza, cosa per la quale i grillini ancora sono incavolati con lui, sorride ancora, ma stavolta con aria più sorniona. Matteo Salvini pure si dice ottimista e dopo le parole di disgelo del commissario Moscovici (“Stiamo lavorando per evitare sanzioni all’Italia”) commenta: «Meglio tardi che mai». Ma il ministro dell’Interno e vicepremier a sera sembra mettere le mani avanti: «… Spero che la Ue non la tiri per le lunghe». Ma certo più si dilatano i tempi dell’arrivo della manovra in Senato, più cresce l’attesa per la decisione che la Ue potrebbe prendere formalmente già da domani su un’eventuale procedura di infrazione, più si accendono i riflettori sulla marcia indietro che il governo giallo-verde è stato costretto a fare. Salvini comunque la mette così: «Siamo ai passaggi finali, dopo gli zero virgola non vedo l’ora di passare all’economia vera». Maria Stella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera attacca: «La manovra è un ectoplasma, il governo ha la coda tra le gambe». E Annamaria Bernini, presidente dei senatori azzurri incalza: «Tria e Conte vengano in Senato». Il punto è che a sera si stava ancora cercando di trovare parte di quei 3 miliardi chiesti da Bruxelles per poter dare l’ok alla manovra. Ma Giorgetti con il suo sorriso enigmatico dice, appunto: «Ce la facciamo, ce la facciamo», forse anche per incoraggiare se stesso. E segnali di ottimismo sono venuti anche dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati in mattinata durante gli auguri natalizi alla Stampa parlamentare, alla quale dà in dono una campanella di quelle usate in Senato durante i lavori delle commissioni: «Cosa pregiata, perché a volte poi queste campanelle non si trovano più», scherza la seconda carica dello Stato. Ricordando come le elezioni del 4 marzo abbiano determinato “un assetto parlamentare inedito con la nascita di un governo di coalizione dopo una lunga fase di consultazioni”, Casellati ringrazia innanzitutto Sergio Mattarella. Sottolinea: «Anche grazie all’equilibrio e alla capacità di conciliazione del presidente della Repubblica il nostro sistema ha dimostrato una capacità di tenuta che all’inizio non era affatto scontata». Quanto alle trattative sulla manovra, dice Casellati: «Ritengo incoraggiante il dialogo in corso tra il nostro governo e Bruxelles per evitare una procedura d’infrazione e allo stesso tempo il perdurare di imposizioni solo basate sull’austerity a tutti i costi, da applicare sempre e comunque». Al discorso della veneta Casellati, già senatrice di Forza Italia, fa da sfondo anche il malessere del Nord e di quelle categorie in generale produttive e della società civile che a Torino hanno dato l’esempio di come si possa scendere in piazza “senza tafferugli, senza incidenti e senza volgarità”. Casellati ricorda le “7 donne, 7 professioniste” che a Torino organizzarono la prima grande manifestazione per il Sì alla Tav. E ancora: ritiene “non più rinviabile un generale riassetto delle autonomie”, dicendosi al tempo stesso d’accordo per una riduzione del numero di deputati e senatori. Cosa quest’ultima che oggettivamente sembra andare incontro alle richieste grilline, ma per il resto le parole sui ceti produttivi, la protesta “civile” del Nord e la riforma delle autonomie da parte della seconda carica dello Stato non possono non aver trovato orecchie attente anche nella Lega. E però a sera sulla manovra di bilancio lo stato d’animo dei due contraenti di governo non sembrava esattamente lo stesso: più ottimista la Lega, più preoccupati Cinque Stelle per i tagli al reddito di cittadinanza, proprio il loro vessillo, quasi una ragione sociale. Il sottosegretario pentastellato Spadafora incrociando i cronisti: «Tutto bene? Proprio tutto no». E Salvini pur stando a Montecitorio decide di non partecipare al flash mob dei Cinque Stelle a favore del ddl anticorruzione appena approvato.
La Lega su questo non gongola.
di Paola Sacchi
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