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Hammamet, ricordo di Craxi o tentativo di santificazione?



E’ in sala da ieri, 9 gennaio, il film di Gianni Amelio su Craxi, o meglio il film attraverso il quale Amelio descrive, senza mai nominarne il nome, gli ultimi mesi di vita di quello che fu quasi certamente l’ultimo statista della classe politica italiana del periodo dagli anni ’80 ad oggi un politico moderno, uno statista europeo, un padre del riformismo e un leader innovatore.

Il film esce pressoché in concomitanza con il ventennale della morte di Craxi ( 19 gennaio 2000 ), di un uomo che è rimasto senza potere dopo aver creato una costellazione di interessi politici alcuni utili altri meno utili ma tutti basati sulle “ tangenti “, per le quali venne incolpato di corruzione, sia pure - come sostiene Bettino - Favino nel film, a favore del suo partito, il partito socialista che originò da Pietro Nenni; come d’altronde era in uso in tutti gli altri partiti (parole di Bettino nel corso delle sue riflessioni riportate nel film di Amelio) e che originarono nel Craxi fuggito in Tunisia, ad Hammamet, dubbi, rancori, rimorsi tali e tanti da condurlo a morte dopo una lunga e logorante agonia e dopo aver sfiorato la signora con la falce per vari acciacchi fisici comunque affrontati e risolti.

Amelio descrive Craxi come un uomo dotato di grande preveggenza politica ma che di fronte alla caduta insiste nel suo atteggiamento che non prevede la resa né tanto meno vuole rinnegare ciò che ha fatto intendendo la sua fuga come arma per sfuggire ad una persecuzione politica organizzata attraverso l’utilizzo della magistratura che considera il suo atteggiamento come fraudolento e quindi da perseguire.

La pellicola è girata pressoché completamente ad Hammamet, nella villa abitata dal presidente socialista dopo la sua fuga dall’Italia, una fuga che comunque la si voglia vedere è e resta una fuga: mi sembra che questo sia il baricentro del film che, sono certo, darà origine ai più disparati commenti perché già prima dell’uscita in sala si sono formate correnti a favore e contro di lui e dell’atteggiamento con il quale volle giustificare la sua decisione di non affrontare i giudici italiani.

Secondo il regista che ha egregiamente diretto un film assai complicato data la grande quantità di implicazioni tecniche, gestionali, politiche, zeppo di allusioni e cose non dette che emergono dalla visione del film, i personaggi che appaiono sullo schermo non sono perfettamente identificati proprio perché l’intenzione di Amelio non è quella di fare un film su Craxi ma su i suoi ultimi mesi di vita lontano da quell’Italia che, secondo le parole da lui pronunciate al Congresso socialista di Milano del 1989, contribuì a far crescere come capo del Governo nel periodo 1983 – 1987.

Tre i caratteri principali del film: la gloria e subito dopo la caduta, la figlia che lotta con lui e per lui, un ragazzo misterioso che gli prospetta gli errori da lui commessi nella gestione politica e che intenderebbe scardinare dall’interno il mondo di Bettino e di Stefania Craxi e tre le figure che si identificano con tali caratteri: oltre al presidente ( sempre chiamato nel film con questo appellativo, mai con il suo nome ) ed a sua figlia ( chiamata Anita nel film per la sua assimilazione ad un ideale di fedeltà femminile ad un eroe ) vi è quella, molto enigmatica di Fausto ( un eccellente Luca Filippi ) il figlio di un vecchio amico di militanza del presidente che, come il padre ebbe a predire la sua fine politica, è parte essenziale del meccanismo attraverso il quale il film si regge pur non consentendo di posizionare questa bella pellicola in un preciso ambito: è, cioè, un film che può guardare sia alla sinistra che alla destra….

Penso che proprio doppio punto di visuale potrà costituire il successo del film, almeno dal punto di vista economico, perché certamente il pubblico sarà attratto da tale dualismo, ma di certo lo spettatore resterà, se non andrà a visionare il film con una minima preparazione storica sugli anni di “ Mani pulite “, con diversi dubbi sulla vera natura ed identità dei personaggi sfiorati.

Si pensi, ad esempio, alla figura del vecchio siciliano che si reca ad Hammamet in visita al presidente per convincerlo a tornare in Italia e ad affrontare quella giustizia che dopo averlo condannato per due volte teneva ancora in piedi ben quattro processi al momento della sua morte: un personaggio ambiguo, politicamente scorretto che fa pensare, appartenendo ad una non ben identificata fazione politica ( ? ), a diversi personaggi dell’epoca quasi a confermare l’idea del presidente che il suo ritorno non avrebbe potuto altro che equivalere a dar ragione ai suoi oppositori.

Molto ben impostato il rapporto padre figlia che ricorda quello tra Elettra ed Agamennone suo padre, tra Cassandra e Priamo che a lei ed alle sue profezie non volle credere e tra Re Lear e la figlia Cordelia il cui affetto verso il padre venne da quest’ultimo tardivamente compreso: tre donne forti che usano il sentimento filiale per aiutare il padre che lotta contro se stesso e verso il destino tracciato in maniera drammatica dalla politica; tre donne che si racchiudono nella figura di quella che nel film è chiamata Anita e che è interpretata da una sensibilissima Livia Rossi.

Discorso a parte merita l’interpretazione di Pierfrancesco Favino, un grande interprete, un monumento di imitazione del presidente, in tutto, negli atteggiamenti, nel modo di parlare, nelle espressioni di rabbia, nei sentimenti, una interpretazione superlativa che non può essere descritta, deve essere vista e vissuta per essere apprezzata molto di più di quanto appaia a prima vista: basti dire che per apparire quello che è nel film l’attore si è sottoposto ogni giorno delle riprese a ben cinque ore di trucco.

Non ci sembra di poter dire altrettanto di una pur bellissima Claudia Gerini nei panni dell’amante, che appare nel film solo per dire che il presidente aveva anche un’ amante, non altro.

Le meravigliose musiche che accompagnano la pellicola, molto incisive, sono di Nicola Piovani.

Malgrado tutto quanto sopra descritto, però, non mi sento di consigliare o meno la visione di una pellicola che, una volta vista la prima volta, andrebbe certamente visionata di nuovo per essere compresa.


di Andrea Gentili

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