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“Hanno assolto tre servitori dello Stato come me ripagati con decenni di calvario giudiziario”

Bruno Contrada, 90 anni, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde, e Capo della Squadra Mobile di Palermo




Contrada, quattro anni trascorsi in carcere, altrettanti agli arresti domiciliari per associazione mafiosa. Un calvario lungo trenta anni. Fino a quando?


Fino quando la Corte di Giustizia Europea ha con una prima sentenza del 2014 condannato l’Italia per avermi sottoposto a una pena inumana e degradante e, poi, con una seconda sentenza del 2015 ha dichiarato la mia condanna ineseguibile e improduttiva di effetti penali. Sentenza quest’ultima, recepita dalla Corte di Cassazione nel 2017.


Contrada, come ha accolto la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Palermo, che ha posto fine a un altro calvario assolvendo al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia gli ex ufficiali del Ros Nario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Dono, oltre all’ex senatore Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia al Corpo politico dello Stato, già condannati a pene severissime in primo grado. Giustizia è fatta finalmente? Questa è giustizia?


Rispondo alla sua domanda da semplice cittadino novantenne e da Dirigente Generale della Polizia di Stato a riposo. Sono lieto per l’esito del processo d’appello sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Precipuamente, per l’assoluzione dei valorosi alti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri Subranni, Mori e De Donno. Ritengo che non sia stato loro restituito l’onore della divisa indossata, perché l’onore non lo hanno mai perduto. La sentenza di ieri ha solo convalidato tale onore. Sono felice per loro e per la gloriosa Arma verso cui, sin da ragazzo, ho nutrito ammirazione e rispetto. Sentimenti, che sono rimasti invariati sino a oggi. Da funzionario della polizia e ufficiale di polizia giudiziaria, nella mia lunga carriera, pur con un sano e utile spirito emulazione, ho sempre agito in leale collaborazione con i reparti della Benemerita, espressione elevata del mio Paese e della mia patria, l’Italia.


E’ andato in scena un increscioso ribaltamento delle parti. Uomini delle istituzioni che si sono ritrovati sul banco degli imputati, accusati da quella stessa mafia che avevano combattuto e, come nel caso del generale Mori, sgominato. Come è scattato questo perverso corto circuito?


A questa domanda mi riesce difficile rispondere. Dovrei rievocare, giorno per giorno, pagina per pagina, la mia trentennale, sofferta e inenarrabile vicenda giudiziaria. Il loro, il mio, sono stati calvari ingiusti, assurdi e devastanti. Siamo sempre stati, loro non meno di me, fedeli servitori dello Stato. Hanno messo in croce e provato a infangare chi lo Stato ha solo servito con dedizione e passione. Noi questo eravamo e questo siamo per sempre rimasti.


di Antonello Sette

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