“Quel magistrato farà la stessa fine di Falcone”. Nicola Gratteri come il giudice antimafia fatto saltare in aria il 23 maggio 1992 assieme alla moglie e agli agenti della scorta sull’autostrada siciliana per Palermo, all’altezza di Capaci. C’è anche questo nel fermo spiccato oggi nei confronti di 35 indagati dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Catanzaro guidata dal procuratore capo Gratteri. Parole di morte per il magistrato calabrese, commenti pronunciati dai boss mentre parlavano tra di loro. Persone, stando all’inchiesta, che avevano l’ossessione di essere intercettate, che eseguivano spesso bonifiche ambientali a caccia di cimici e videocamere. Ipotizzate le accuse di associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione, usura, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni. Un panorama criminale che ha portato inquirenti e investigatori e dire di aver smantellato la locale di ‘ndrangheta nell’agro di San Leonardo di Cutro, in provincia di Crotone. Le famiglie che ne farebbero parte: Mannolo, Trapasso e Zoffreo. Le ramificazioni: in Puglia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e anche all’estero. L’ammontare del valore dei beni sequestrati è di 30 milioni di euro: cinque società con sede a Botricello (Cosenza) e altrettante a Cutro (Crotone) attive nei settiori di edilizia, commercio, vendita all’ingrosso e al dettaglio di bevande, materiali per agricoltura e addirittura il servizio di posta privata. Ancora: tre stazioni di rifornimento di carburante nelle zone di Crotone e Catanzaro, tre bar e una pizzeria. Inoltre, due autoveicoli e quattro immobili.
ANCHE I VILLAGGI TURISTI PAGANO IL PIZZO
Le indagini dell’operazione “Malapianta” condotte dai finanzieri di Crotone, con il concorso dello Scico e di altri militari del Corpo, sono andate ancora più a fondo. Riferiscono di
villaggi turistici in mano alla ‘ndrangheta. Servizi e manodopera imposti dalla criminalità organizzata alle strutture ricettive in quel paradiso di mare e spiagge sul tacco della penisola bagnato dal Mar Ionio, in Calabria. La terra dove molti italiani trascorrono le loro ferie estive. Gli accertamenti eseguiti hanno rivelato che gli imprenditori erano costretti a pagare un pizzo fino a centomila euro all’anno. E comunque, sborsavano una cifra che grosso modo era pari al 10 per cento dei loro affari. Per la ‘ndrangheta un presunto affare milionario. I conti li hanno fatti i finanzieri del colonnello Emilio Fiora a partire dal 2017. I sospetti sono sorti mettendo a confronto entrate e uscite delle strutture, notando che i fornitori erano sempre gli stessi, provenienti da una identica zona della regione. Come pure i lavoratori: quelli che venivano assunti dai villaggi turistici o erano “amici” degli indagati oppure orbitavano nella loro area geografica ed erano nell’orbita del clan. Praticamente, è venuta alla luce una economia parallela illegale gestita interamente dalla ‘ndrangheta, con il drammatico effetto di negare ogni possibilità di sopravvivenza a chi voleva fare impresa e lavorare onestamente nella regione.
NEL FORTINO DELLA DROGA DEL CLAN
La droga è un’altra importante voce dei traffici gestiti dal clan. Procura e Finanza la menzionano “tra le principali attività della locale di ‘ndrangheta di San Leonardo di Cutro. Le indagini hanno dimostrato – spiegano - come i san leonardesi si sono approvvigionati di droga dalle cosche in provincia di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria e, inoltre, si sono dotati di una ramificata rete territoriale per la commercializzazione del narcotico principalmente su Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Botricello e zone limitrofe in provincia e Catanzaro, San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. In particolare – proseguono - su Crotone la base operativa dello spaccio era situata nel quartiere di via Acquabona, “fortino” dove risiedono centinaia di persone appartenenti al gruppo dei cosiddetti “zingari” di Crotone”.
di Fabio Di Chio
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