Quale verità si cela dietro le dimissioni di Papa Benedetto XVI? C’era un disegno strategico internazionale giocato tra Washington e Mosca che ha portato al passo indietro del Pontefice? E soprattutto, potrebbe essere ancora il Papa regnante? Sono questi gli interrogativi ai quali tenta di dare una risposta Antonio Socci, giornalista autore di numerosi libri inchiesta sul Vaticano, nell’ultimo lavoro “Il segreto di Benedetto XVI - Perché è ancora Papa" in uscita e già un caso editoriale. Socci prosegue nella sua indagine cominciata con il bestseller “Non è Francesco” che gli ha valso una notorietà internazionale, per indagare sui segreti che si nascondono dietro la vicenda della rinuncia del "mite professore di Tubinga".
Socci parte da un presupposto condiviso da quelli che vengono definiti "tradizionalisti" o "conservatori": cioè che il cattolicesimo non avrebbe mai vissuto una crisi così profonda. Un ruolo fondamentale in questo processo si deve agli scandali riguardanti gli abusi sessuali ai danni di minori e di adulti vulnerabili, ma anche a un "grande smarrimento spirituale".
Il papato di Bergoglio avrebbe portato una grande confusione tra i fedeli al punto che in questi anni è emersa anche il l’iptesi di uno scisma. Mentre Benedetto XVI avrebbe tenuto avrebbe tenuto la barra dritta nei confronti del relativismo e del politically correct. Da Bergoglio in poi, invece, la situazione sarebbe precipitata. Fondamentale in questa crisi sarebbe stata anche la presidenza di Barack , che per Socci ha dato vita a uno scontro "intorno ai matrimoni omosessuali, all’aborto, alla ricerca sulle cellule staminali". Le tesi del presidente americano avrebbero fatto breccia anche nella Chiesa portando i vescovi a discutere di aperture dottrinali, mettendosi nel solco obamiano. L’autore ritiene, pur non avendo prove inconfutabili che “Benedetto XVI sia stato indotto all’abdicazione da una macchinazione complessa, ordita da chi aveva interesse a bloccare la riconciliazione con l’ortodossia russa, pilastro religioso di un progetto di progressiva convergenza tra l’Europa continentale e Mosca. Per ragioni simili, credo sia stata fermata anche la corsa alla successione del cardinal Scola, che da patriarca di Venezia aveva condotto le trattative con Mosca". Dietro le dimissioni di Ratzinger, insomma, si nasconderebbero motivazioni geopolitiche.
Benedetto XVI aveva avviato un dialogo con la Russia ortodossa e puntava a realizzare il sogno di Giovanni Paolo II, quello di un'Europa di popoli uniti dalle loro radici cristiane dall' Atlantico agli Urali. Ma questo progetto andava contro alla politica del momento di isolare la Russia, emarginandola. Socci scrive che «chiunque conosca un po’ la formidabile e 'imperiale' politica estera britannica può facilmente essere indotto a ritenere che ci sia stato un forte interesse politico, di quell’importante Paese, a far eleggere Jorge Mario Bergoglio».
Il giornalista poi si interroga sulla presenza, anomala nella storia della Chiesa, di due Papi. E quale è il peso di Benedetto XVI. Ratzinger continua ad abitare presso il Vaticano, insiste nel chiamarsi “papa emerito”, indossa gli abiti di un pontefice, avrebbe più volte sottolineato il carattere imperituro del papato. Ma soprattutto, Socci riporta un'interpretazione giuridica, secondo la quale le dimissioni sarebber impugnabili alla stregua di un atto nullo.
Un ałtro libro, uscito in Gran Bretagna, lo scorso anno, scritto da Catherine Pepinster, che è stata direttrice del giornale cattolico inglese The Tablet, e intitolato, “The keys and the kingdom” (Le chiavi e il regno) lanciava la tesi che l’elezione di Bergoglio sia stata preparata a tavolino molto prima del conclave. Nel libro si dice che il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, ex arcivescovo di Westminster, scomparso, organizzò a Roma, nei locali dell’Ambasciata britannica, almeno un incontro per convincere i cardinali votanti del Commonwealth a votare l’arcivescovo di Buenos Aires. Escluse però volontariamente dall’invito sia il card. Marc Ouellet, canadese, prefetto della Congregazione per i vescovi, sia il card. George Pell, australiano. Probabilmente temeva che avrebbero sconsigliato la sua azione di lobbying. La riunione sarebbe stata una chiara violazione delle norme che proibiscono ogni forma di lobbying prima di un Conclave.
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