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I virologi urlano e litigano, non come scienziati, ma come protagonisti di un talk show.

Alessandro Cecchi Paone: "La prima cosa che farei, se fossi Conte, è affidare tutta l’informazione sul Covid a Piero Angela”




Cecchi Paone, mercoledì esce il libro “Covid segreto, tutto quello che non sapete sulla pandemia”, che ha scritto con il Viceministro della Sanità Pierpaolo Sileri. Ci sveli allora qualche segreto. Quando, a esempio, ci vaccineranno? A dicembre del 2020, come dice il Presidente del Consiglio, oppure a dicembre dell’anno successivo, come sostiene il virologo Fabrizio Pregliasco?


Nessuno dei due mente. E’ in corso la più straordinaria corsa contro il tempo per trovare un vaccino, che mai sia stata messa in campo dalla scienza. A dicembre avremo le prime fiale, a meno di un anno di distanza dalla comparsa del virus, ma occorrerà un altro anno perché si completi una vaccinazione di massa, che sia in grado di produrre l’effetto gregge e, quindi, la scomparsa del Covid.


Resta il fatto che ciascuno dice la sua. Non sembra anche a lei?


I medici non esprimono opinioni. Prendono dei dati e provano a metterli insieme. Stiamo assistendo al fenomeno della costruzione della conoscenza in tempo reale e, quindi, interpretazioni diverse sono inevitabili


Anche le grida e le liti sono inevitabili?


Glielo sto dicendo ogni giorno di smetterla. Vedere i medici e gli scienziati, che litigano fra loro in tv, e ultimamente anche in modo violento, non è un bello spettacolo. C’è un problema di fondo. Nessuna delle reti televisive generaliste ha pensato a un programma settimanale di informazione specifica, che informasse e facesse ogni volta il punto e la sintesi dello stato dell’arte, al di là delle polemiche politiche e anche scientifiche. In mancanza di uno spazio di ampio respiro, è accaduto che i medici e gli scienziati si siano trasformati in opinionisti. Questo non va assolutamente bene. La colpa, però, è tutta loro, che sono caduti mani e piedi nella trappola dell’informazione spettacolo, accettando di fatto le regole del talk show. Al di fuori della scienza, ciascuno è libero di sparare piattelli dove vuole, ma la scienza non può farlo, non può e non deve dividersi. Se ci fosse stato un programma di approfondimento, si sarebbe, ad esempio, capito che, quando Zangrillo diceva a luglio che il Covid non c’era più, si riferiva, da medico, allo svuotamento delle terapie intensive, mentre i virologi avrebbero potuto spiegare che questo non voleva dire che il virus fosse morto e che non sarebbe tornato a colpire. E’ evidente che, se in talk show uno dice che è morto e l’altro che è vivo, sembrano due punti di vista inconciliabili, ma non era, invece, così. Ci sarebbe voluto uno spazio diverso, dove poter approfondire, spiegare e trovare un punto d’incontro.


Naturalmente non litigano solo i virologi, ma anche i politici. Secondo lei, che si faccia politica anche sul Covid è da Paese civile?


Dovremmo ascoltare e mettere in pratica le parole del Presidente Mattarella e anche di Papa Francesco. In un momento difficile, come questo, è vero e sacrosanto che dovremmo tutti stringerci gli uni agli altri. Purtroppo, però, la politica contemporanea è tutt’altra cosa anche nei Paesi più civili come l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Pensi che l’esito delle elezioni americane è in larga misura legato al diverso uso che i due candidati hanno fatto del Covid, Trump sostanzialmente negandolo, pur avendolo avuto, Biden sottolineandone, invece, la gravità e la necessità di intervenire. Io sono in teoria con Mattarella e con Il Papa, ma devo accettare che la politica utilizzi i momenti di crisi per trarne vantaggio e ribaltare la situazione. D’altronde, è sempre accaduto. Anche nei Promessi Sposi o nella Peste di Camus, le persone prima si preoccupavano, poi protestavano, scendevano in piazza, assalivano i forni. La storia si ripete.


Se fosse al posto di Conte, che cosa farebbe di diverso?


Predisporrei uno strumento di comunicazione diretta con gli italiani. Perché, insieme alla pandemia, c’è stata l’infodemia. Troppi a parlare, troppi a dire cose diverse. La gente ha bisogno di ascoltare parole chiare e semplici da qualcuno di cui si fida. Uno come Piero Angela, anche se penso che nessuno sia come lui. Uno che tutti i giorni, o quasi, si rivolga agli italiani per informarli, avvertirli, consigliarli, dicendo loro apertamente cosa è meglio fare e cosa non fare. Meno comitati, meno portavoce, meno parole, perché poi si fanno le domande e si ricomincia. Negli Stati Uniti, parla uno solo, Fauci, e dice una cosa sola. E ha un contraltare non scientifico, ma politico, il suo datore di lavoro Donald Trump. Vorrei Piero Angela, un grande comunicatore come lui, che si rivolgesse a tutti non solo con semplicità e competenza, ma anche con la partecipazione di un uomo, capace di appassionarsi, emozionarsi ed emozionare. Qui tirano fuori numeri, senza spiegarci quali contano e quali no, il numero dei positivi, dei ricoverati in ospedale e in terapia intensiva, dei morti, sì anche dei morti, come se fossero i numeri del lotto. Basta estrazioni a lotto. Questa confusione e questa freddezza dominanti mi fanno paura.


di Antonello Sette


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