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Il 24 febbraio le elezioni in Sardegna, Centrodestra in vantaggio ma la legge elettorale non aiuta



Il quadro generale. Un anno elettoralmente importante.


Ben sei regioni, pur se in date diverse (Abruzzo e Sardegna, Basilicata, Calabria, Piemonte ed Emilia-Romagna), e una considerevole tornata di comuni (circa 4mila, di cui 26 sono capoluoghi di provincia, cioè con più di 100mila abitanti) al voto per le amministrative nella seconda metà di giugno, pur se in una data ancora da stabilirsi con un decreto legge dal governo e che sarà nota non prima di fine febbraio. Oltre che, naturalmente, le elezioni europee del 26 maggio. Nonostante nel 2019 non dovrebbero tenersi elezioni politiche anticipate, sarà un anno elettoralmente importante. Dopo mesi di sondaggi si testerà la consistenza reale di tutti i partiti, delle loro coalizioni, delle loro liste e candidati, oltre che, ovviamente, la ‘tenuta’ della maggioranza che regge il governo Conte, gli equilibri di forza interni alla coalizione gialloverde e lo stato di salute delle opposizioni, dei loro leader (Berlusconi, Meloni, i contendenti alla segreteria del Pd) e di coalizioni che, fino a ieri, sembravano ‘naturali’ (centrosinistra e centrodestra) ma che, da quando è nato il governo M5S-Lega, appaiono, invece, ‘innaturali’.

Il test più importante è quello delle Regionali e il voto più prossimo è quello delle elezioni per rinnovare i Governatori e i consigli regionali dell’Abruzzo (10 febbraio) e della Sardegna (24 febbraio), mentre più lontani sono gli altri quattro appuntamenti di elezioni regionali comunque da tenersi entro l’anno: si voterà infatti, anche in Piemonte (26 maggio), in Emilia-Romagna ( a metà novembre), e infine in Basilicata e Calabria in due date ancora da decidere, ma che dovrebbero tenersi a loro volta molto dopo l’estate.

Sei le regioni al voto. Abruzzo e Sardegna le prime due.


Il dato di partenza è che le sei regioni al voto sono state tutte governate da amministrazioni uscenti di centrosinistra. Pd e alleati (Mdp e civiche) potrebbero, secondo i sondaggi, perderle tutte e sei in un filotto di catastrofiche sconfitte, mentre il centrodestra (Lega, FI, FdI, Udc, più liste civiche) potrebbe riuscire nell’impresa clamorosa di aggiudicarsele tutte e l’M5S rischia di non riuscire a spuntarla in nessuna. Come è già successo, peraltro, nelle tre elezioni regionali del 2018, quando il centrodestra ha conquistato il Molise, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino Alto-Adige (qui alleato alla Svp), l’M5S nessuna mentre il Pd le ha perse tutte e tre.


Ma ogni regione fa, ovviamente, caso e storia a sé. In Abruzzo – regione e situazione di cui abbiamo già parlato in un altro, precedente, articolo, su questo sito - la stagione di governo del centrosinistra si è chiusa in modo disastroso. Tra scandali e polemiche, l’ormai ex governatore, Luciano D’Alfonso, ha optato per restare senatore del Pd, costringendo la regione al voto anticipato il 10 febbraio. Il centrosinistra, però, è riuscito a ricompattarsi intorno alla figura del vicepresidente uscente del Csm Giovanni Legnini (molto stimato in regione) e ora spera in una sua rimonta. Ma i sondaggi continuano a dare un testa a testa tra M5S, che punta, come cinque anni fa, sulla consigliere uscente Sara Marcozzi, e il centrodestra che, dopo molto discutere, ha scelto Marco Marsilio, senatore di Fratelli d’Italia. Il centrodestra abruzzese è sempre stato litigioso, ma ora è arrivato al paradosso: la lista dell’Udc, formalmente apparentata con gli altri partiti, è stata politicamente esclusa da ogni (futuro) governo e maggioranza perché ha inserito, all’ultimo momento, due candidati ex transfughi del Pd. Salvini e Di Maio sono corsi in Regione per i loro tour elettorali, i candidati alla segreteria dem, invece, latitano, ma anche il leader di Forza Italia, Berlusconi, non è venuto.


Sardegna senza storia: Solinas (Lega) è davanti a tutti.


In Sardegna (si vota il 24 febbraio) la storia invece sembra scritta. Il governatore uscente, Francesco Pigliaru (Pd), non si è ricandidato e il centrosinistra si è affidato all’ex sindaco di Cagliari, Massimo Zedda (ex Sel-SI, poi ‘arancione’), ma la sua è un’impresa disperata. L’M5S, storicamente forte, è da mesi in calo nei sondaggi, e propone Francesco Desogus. Il centrodestra punta sul senatore e segretario del Psd’Az (Partito sardo d’azione), che si è gemellato con la Lega, Christian Solinas, scelto direttamente da Salvini che punta molto sulla Sardegna, come anche sta facendo Berlusconi. Entrambi sono venuti nell’isola per un tour de force elettorale: il primo, Salvini, è stato per ben due giorni in Sardegna toccando, in pratica, tutte le principali città sarde, ovunque osannato e acclamato da folle plaudenti e a cui è arrivato a dire – senza paura di sconfinare nel ridicolo – “donne sarde, se vincerà l’islam e le invasioni dei migranti vi toccherà mettere il burqua!”. ‘Burqua’ che le donne sarde portano, orgogliosamente, da secoli: colore nero, fazzoletto e vestito in tinta, aria severa le donne sarde vestono così da millenni, almeno le più anziane, e non sono mai state né islamiche né integraliste, solo orgogliosamente sarde… Berlusconi anche è venuto due giorni, tra giovedì e venerdì, per sostenere, tra gli altri, oltre al candidato presidente, Solinas, la candidata del centrodestra alle elezioni supplettive di Quartu Sant’Elena, Daniela Noli, che è di FI, ma che anche Salvini e la Lega appoggiano, e che entro domani mattina quasi sicuramente sarà stata eletta deputata, al posto del deputato uscente, Silvano Mura, il quale si è dimesso dal Parlamento per le troppe assenze (è un velista). La partita si giocherà sugli equilibri interni tra Lega e FI, dunque, anche in Regione, più che con gli altri contendenti.


La competizione è tutta e solo interna al centrodestra.


In Sardegna, dunque, il derby è tutto tra Berlusconi e Salvini. Il Cavaliere ha trascorso ben due giornate nell’Isola, ‘onorando’ la sua seconda terra d’elezione (a Porto Rotondo ha, come si sa, una faraonica villa a mare) con l’annuncio della propria candidatura come capolista di FI in tutte le circoscrizioni, alle elezioni Europee di maggio. Gli auguri di Salvini ricevuti da Salvini a molti sono apparsi una sfida e, anche, uno sfottò. “Non temo Salvini e non mi sento in sfida con lui”, ha replicato Berlusconi. Certo, il sogno del leader di Forza Italia è che il governo gialloverde salti, il che potrebbe avvenire a patto di un cattivo risultato di M5S e di un successo della Lega, ma purché questa non cannibalizzi FI, altrimenti è inutile.

“Ho parlato con diversi parlamentari della Lega - ha confidato il Cav. – e sono consapevoli che le cose non possono andare avanti così. Presto questo governo dovrà finire perché è un caos totale ed è masochista nei confronti dell’Italia”. Ma il paradosso è che, più che la vittoria in Sardegna con un candidato scelto da Salvini, ma il molto probabile sorpasso (se non il vero e proprio rischio di doppiaggio) del leader leghista su quello azzurro nei voti ai due partiti come nelle preferenze ai due leader porterebbero FI in una condizione di semi-vassallaggio verso la Lega.


Le elezioni sarde: tutte le liste e tutti i candidati.


Al fotofinish ha ritirato la propria candidatura Ines Pisano, l’unica donna in corsa, nonché magistrata del Tar del Lazio, che era l’ottava candidata alle elezioni a governatore sardo e che aveva già presentato il suo contrassegno elettorale (“Sardegna di Ines Pisano”). Ma nell'abbandonare la corsa (motivata dal “rischio reale di contribuire esclusivamente all’eccesso di frammentazione che dobbiamo superare”), la Pisano fa un endorsement al candidato del centrosinistra, Zedda, definito “uomo indisponibile a facili compromessi”.

Con Zedda restano in lizza in sette: Christian Solinas (centrodestra), Francesco Desogus (M5S), Mauro Pili (Sardi uniti), Paolo Maninchedda (Partito dei sardi), Andrea Murgia (Autodeterminatzione), Vindice Lecis (Sinistra sarda). Sono invece bene ventisei i contrassegni elettorali presentati nell’ufficio elettorale della Corte d'Appello di Cagliari in vista delle elezioni regionali del 24 di febbraio. Della coalizione di centrosinistra (Progressisti di Sardegna) che sostiene il candidato governatore Massimo Zedda, fanno parte sei liste: Campo Progressista Sardegna, Pd Sardegna, Liberi e Uguali Sardigna-Zedda presidente, Cristiano Popolari Socialisti, Progetto Comunista Sardegna, Sardegna in Comune con Zedda. Sempre con i Progressisti, ma fuori dalla coalizione di centrosinistra, sono presenti altri tre liste che sostengono il nome del sindaco di Cagliari: Noi, la Sardegna con Zedda; Futuro comune con Zedda; Giovani sardi con Zedda. In totale, dunque, sono nove le liste che sostengono Zedda. Per la coalizione di centrodestra, che sostiene Christian Solinas candidato governatore, le liste sono in totale ben 11: Riformatori, Unione di Centro, FI, Fdi-An, Psd’Az, Lega Salvini Sardegna, Uds-Unione dei sardi, Fortza Paris, Energie per l’Italia, Sardegna Civica, Sardegna Venti-Tunis. Le altre liste sono singole e presenti in appoggio ad altri quattro, rispettivi, candidati: M5S (Francesco Desogus), del Partito dei Sardi (Paolo Maninchedda), Sardi liberi (Mauro Pili). Autodeterminatzione (Andrea Murgi).


La cervellotica legge elettorale sarda e il ‘caso Murgia’.


A vincere le elezioni sarde sarà il candidato che prenderà più voti, ovviamente, ma anche se la sua coalizione dovesse raccoglierne meno di quelle del suo diretto avversario. Secondo la complessa legge statutaria elettorale, approvata nel 2013, infatti, al primo va il premio di maggioranza. Può perciò accadere che, a causa del voto disgiunto, presente, un leader raccolga più preferenze delle liste a lui collegate. E così, anche se ha ottenuto meno voti degli avversari, a queste andrà comunque la maggior parte dei seggi grazie al premio di lista assegnato al presidente. Così è accaduto già nel 2014 quando le liste di centrodestra totalizzarono il 43,89% e quelle di centrosinistra, tutte insieme, il 42,45%. I rispettivi candidati, invece, ottennero un risultato opposto: il presidente uscente, Ugo Cappellacci (FI), concluse la corsa elettorale con il 39,65&, Francesco Pigliaru (Pd) con il 42,45%. Finì che al centro sinistra vennero assegnati 36 seggi su 60 e, dunque, fu Pigliaru a diventare governatore. Le soglie di sbarramento sono un altro elemento da tener presente, all’interno della legge elettorale regionale: per accedere al ‘parlamento dei sardi’ le coalizioni devono superare il 10 % dei voti e le liste singole il 5%. La ricorda bene, questa soglia, l’esperienza della scrittrice Michela Murgia che, nonostante le quasi 76 mila preferenze raccolte sempre alle elezioni del 2014, in cui si presentò come candidata presidente per una coalizione indipendentista, rimase fuori dal Consiglio regionale. La sua candidatura ottenne il 10,30% delle preferenze, ma le tre formazioni collegate al suo nome preso solo il 6,77% dei consensi. Discorso analogo per Mauro Pili, ex governatore della Sardegna per il centrodestra ed ex parlamentare di FI: superò il 5%, ma in colazione e dunque non ottenne seggi. Cinque anni dopo Pili ci riprova con la coalizione “Sardi liberi”, risultato dell'accordo fra la sua formazione, Unidos, con “ProgRes” (che nel 2014 sostenne Michela Murgia) e con un gruppo di fuoriusciti del Psd’az, oggi alleato della Lega che non ha accettato la svolta ‘a destra’ dei sardisti. Un quadro politico, come si vede, molto frammentato e ricco di partiti e mini-coalizioni localistiche e ‘sardiste’ che non aiutano a semplificarlo e che potrebbero incidere sul risultato finale. Come non aiuta una legge elettorale così complicata e cervellotica che può riservare, per il gioco del rapporto tra candidato-governatore e coalizioni che lo sostengono, ‘sorprese’ dell’ultima ora se ci sarà fotofinish.


di Ettore Maria Colombo

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