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Il calcio si fa rosa? Roberta Casagrande ne parla nel suo 'Pink Power'

Il calcio e le donne, le donne e il calcio. Un tema sempre più dibattuto, perché sempre più attuale.

“Pink Power” (Di Nicolò Edizioni, 15€) è l’esordio editoriale di Roberta Casagrande, 26enne brillante giornalista messinese. Un libro che l’autrice ha scritto proprio sull’argomento, e che sarà possibile acquistare dalla prossima settimana sia online (IBS, Feltrinelli, Mondadori) che contattando direttamente la Casa Editrice.





Ne abbiamo parlato con lei, alla vigilia della presentazione al Palacultura di Messina. Moderati da Antonio Sangiorgi, giornalista sportivo, saranno presenti l’assessore comunale alla Cultura Enzo Caruso, il suo omologo alle Pari Opportunità, Laura Tringali, il professor Francesco Pira, docente di Giornalismo e Comunicazione all’Università di Messina, la Consigliera di parità della Città Metropolitana di Messina, Mariella Crisafulli, e l’editore Costantino Di Nicolò.


Dottoressa Casagrande, partiamo dal titolo. Un sapore rivoluzionario, in memoria del celebre “girl power”?

Ho scelto questo titolo quasi un claim: breve, d’impatto, facilmente memorizzabile. Nulla di rivoluzionario, piuttosto direi che si tratta di un auspicio.


Come nasce l’idea di un’opera sul calcio e sul suo rapporto con l’universo femminile nella società?

Il tutto parte dalla mia tesi di laurea di due anni fa, in cui, partendo da alcuni episodi che hanno fatto scalpore, ho analizzato la tematica a trecentosessanta gradi. Dagli albori della comunicazione sportiva – e quindi non soltanto limitata al calcio – fino ai giorni nostri. Come nasce, che argomenti tratta, come si sviluppa nel corso del tempo e rispetto ai cambiamenti della società.


Oltre alla prefazione dell’ottimo professor Francesco Pira, il libro contiene alcune interviste a giornaliste sportive. Che contributo ne ha tratto?

Si tratta di giornaliste del calibro di Alda Angrisani e Sabrina Gandolfi, che naturalmente hanno fornito una visione più complessiva del fenomeno. Il libro affronta anche la figura delle donne arbitro, delle calciatrici, delle tifose (come ad esempio lo sono io), delle donne manager in squadre o in aziende sportive. E di come vengono rappresentate dai media, che spesso propongono dei modelli dove a emergere è sempre la figura dell’uomo. Ma anche le donne devono sentirsi a proprio agio in questo contesto lavorativo.


Che prospettiva vede, considerando che lo sport è stato appannaggio quasi esclusivo degli uomini?

Lo sport nasce con uno scopo ricreativo, a tutti dev’essere concessa la possibilità di praticarlo. Tuttavia, le donne, essendosi affacciate più tardi su questo proscenio rispetto all’uomo, hanno più strada da fare. Oggi però si fa largo l’idea che lo sport sia un ambito libero, e l’universo femminile sta tentando di recuperare. Non è facile, anche perché fisicamente c’è una differenza oggettiva che rende il calcio femminile meno avvincente. Tuttavia, l’evidente divario rispetto ad altri Paesi credo si stia leggermente assottigliando: in Italia si comincia a investire in formazione, in scuole calcio, nei vivai, per rendere anche il calcio femminile sempre più competitivo.



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